Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11554 del 06/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 06/06/2016, (ud. 28/04/2016, dep. 06/06/2016), n.11554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7573/2014 proposto da:

MARECASA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 120/5, presso

lo studio dell’avvocato FERRUCCIO AULETTA, rappresentata e difesa

dall’avvocato DOMENICO FIMMANO’, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 336/50/2013 e la sentenza n. 338/50/2013 della

COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI del 17/06/2013, depositata

i102/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito l’Avvocato Francesca Todisco delega verbale dell’Avvocato

Domenico Fimmanò difensore della ricorrente, che si riporta agli

scritti.

La Corte:

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore Cons. Dott. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati, osserva:

La CTR di Napoli ha respinto gli appelli della “Marecasa srl” –

appelli proposti contro le sentenze n. 397/25/2012 e 371/25/2012 della CTP di Napoli che avevano già accolto solo parzialmente il ricorso della predetta società e rideterminato il maggior reddito imponibile già determinato negli avvisi – ed ha così confermato gli avvisi di accertamento per IVA-IRES-IRAP anni di imposta 2004-2005, notificati ad integrazione e modificazione di precedenti avvisi in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, limitatamente al maggior ammontare di reddito imponibile che era stato determinato con la pronuncia di primo grado.

La predetta CTR – dato atto che l’ambito della discussione doveva considerarsi delimitato dai motivi di impugnazione contenuti nel ricorso di appello – ha motivato entrambe le proprie decisioni nel medesimo preciso senso, e cioè nel senso che i motivi introdotti con le memorie del 5.6.2013 non potevano essere tenuti in considerazione perchè proposti in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, ed ancora (oltre a quanto qui non più rileva) nel senso che – quanto all’ipotizzata disponibilità dell’appellante a sopportare i costi di una consulenza tecnica finalizzata a chiarire l’esatto importo delle movimentazioni bancarie da cui traeva origine l’indagine – doveva considerarsi che la società medesima – avendone interesse – avrebbe potuto versare in atti una simile consulenza onde offrire al giudicante ulteriori elementi di valutazione.

La “Marecasa srl” ha interposto unico ricorso per cassazione avverso entrambe le sentenze, affidato a due motivi.

L’Agenzia si è difesa con controricorso.

Il ricorso – assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 c.p.c. – può essere definito ai sensi dell’art. c.p.c..

Infatti, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57) la parte ricorrente – dopo avere evidenziato che gli avvisi qui in esame erano stati notificati il 2.7.2011 e perciò oltre il termine dell’art. 43, sopra menzionato, scaduto il 31.12.2010 – si duole del fatto che la CTR si sia limitata ad osservare che la novità del motivo dedotto con le memorie 5.6.2013 ne impediva l’esame, mentre avrebbe dovuto “verificare d’ufficio l’estinzione del diritto per avvenuta decadenza dal potere impositivo”, per quanto la parte ricorrente non l’avesse fatto rilevare (ma a ciò, in realtà, la parte ricorrente aveva provveduto).

Il motivo appare manifestamente infondato.

Premesso che la parte ricorrente non ha allegato nè dettagliato in che modo era stato prospettato nel corso del giudizio il superamento del termine di decadenza dall’esercizio del potere impositivo (della cui pretermissione – peraltro – la parte ricorrente medesima avrebbe dovuto dolersi in ben altro modo), resta qui soltanto da evidenziare che è antico e ribadito l’insegnamento della Suprema Corte secondo cui: “Il termine di decadenza stabilito, a carico dell’ufficio tributario ed in favore del contribuente, per l’esercizio del potere impositivo, ha natura sostanziale e non appartiene a materia sottratta alla disponibilità delle parti, in quanto tale decadenza non concerne diritti indisponibili dello Stato alla percezione di tributi, ma incide unicamente sul diritto del contribuente a non vedere esposto il proprio patrimonio, oltre un certo limite di tempo, alle pretese del fisco, sicchè è riservata alla valutazione del contribuente stesso la scelta di avvalersi o no della relativa eccezione, che ha natura di eccezione in senso proprio e non è, quindi, rilevabile d’ufficio, nè proponibile per la prima volta in grado d’appello” (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 171 del 09/01/2015).

Da qui la manifesta infondatezza del motivo.

Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla nullità della sentenza per mancata ammissione della consulenza tecnica d’ufficio) la parte ricorrente si duole del diniego opposto dalla CTR all’ammissione della richiesta consulenza tecnico-contabile evidenziando che essa società non aveva i “poteri di indagine” utili a dimostrare che “ciascuna somma esistente sul conto dei soci non sia riferibile alla società”, sicchè solo il CTU nominando avrebbe potuto verificare, su mandato del giudice, la provenienza delle somme esistenti sui conti, confrontandola con la documentazione di soggetti terzi in contraddittorio con le parti. In tal guisa, solo la CTU avrebbe potuto costituire quel necessario contrappeso a tutela dell’esercizio di difesa onde ricostruire le causali delle disponibilità bancarie dei soci. La consulenza di parte suggerita dal giudicante avrebbe invece trovato il limite oggettivo della impossibilità di acquisire la documentazione esistente presso i terzi.

Il motivo appare inammissibilmente formulato.

Da un canto, per non avere la parte ricorrente identificato la norma dalla cui violazione scaturirebbe il vizio che affetta (di nullità) la pronuncia del giudice di appello. D’altro canto, per non avere la parte ricorrente evidenziato la concreta rilevanza, ai fini della decisione della causa, dell’omesso espletamento dell’accertamento officioso, non avendo dettagliato come e perchè detto accertamento si sarebbe concretamente imposto ai fini di giudicare circa la verisimiglianza dei dati acquisiti nel corso delle indagini bancarie, ed avendo perciò sostenuto il motivo di impugnazione sulla scorta di un assunto puramente teorico, del tutto slegato dalla concreta vicenda di causa. In tal modo, la parte ricorrente ha violato il canone di autosufficienza del ricorso per cassazione che le imponeva di offrire alla Corte i concreti elementi di fatto utili a consentire un previo esame della rilevanza del motivo di impugnazione.

Sull’indicata ragione di inammissibilità del motivo si veda, per tutte, Cass. Sez. L, Sentenza n. 9777 del 19/07/2001: “Poichè l’interesse ad impugnare con il ricorso per cassazione discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole, è necessario, anche in caso di denuncia di un errore di diritto a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che la parte ottemperi al principio di autosufficienza del ricorso (correlato all’estraneità del giudizio di legittimità all’accertamento del fatto), indicando in maniera adeguata la situazione di fatto della quale chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal giudice “a quo”, asseritamente erronea”.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza.

Roma, 5 dicembre 2015.

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che la sola parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa (una prima per l’udienza originariamente fissata del 16.3.2016 ed una seconda sia per quella del 28.4.2016, sia pur depositandola nel collegato procedimento n. 7573/2014 R.G. che è stato chiamato alla medesima udienza di discussione) il cui contenuto non induce la Corte a rimeditare le ragioni su cui è fondata la proposta del relatore;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo giudizio, liquidate in Euro 8.000,00 oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2016

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