Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11552 del 02/05/2019

Cassazione civile sez. I, 02/05/2019, (ud. 07/02/2019, dep. 02/05/2019), n.11552

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17747/2017 proposto da:

Enel Produzione Spa, (OMISSIS), Enel Spa, Enelpower Spa, in persona

dei rispettivi legali rappresenti pro tempore, elettivamente

domiciliati in Roma, Via Toscana 10, presso lo studio dell’avvocato

Antonio Rizzo, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Claudio Bonora, in forza di procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.L., elettivamente domiciliato in Roma Piazzale delle

Medaglie D’oro 7, presso lo studio dell’avvocato Filippo Lino Jacopo

Silvestri, e rappresentato e difeso dall’avvocato Barbara Lodovica

Mancini, in forza di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

C.G., elettivamente domiciliato in Roma, Piazzale Delle

Medaglie D’oro 7, presso lo studio dell’avvocato Filippo Lino Jacopo

Silvestri, e rappresentato e difeso dall’avvocato Barbara Lodovica

Mancini, in forza di procura in calce al ricorso;

– ricorrente, qualificato ricorrente incidentale –

contro

Enel Produzione Spa, Enel Spa, Enelpower Spa, elettivamente

domiciliati in Roma, Via Toscana 10, presso lo studio dell’avvocato

Antonio Rizzo, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Claudio Bonora in forza di procura in calce al controricorso;

– controricorrenti incidentali –

e contro

G.L., elettivamente domiciliato in Roma Piazzale delle

Medaglie D’oro 7, presso lo studio dell’avvocato Filippo Lino Jacopo

Silvestri, e rappresentato e difeso dall’avvocato Barbara Lodovica

Mancini, in forza di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 272/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2019 dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;

uditi gli Avvocati BONORA e FUMAI per delega avv. MANCINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 16 e il 5/3/2010 Enelpower s.p.a., Enel s.p.a. ed Enel Produzione s.p.a., hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Monza l’ing. G.L., dirigente di Enel e quindi amministratore delegato di Enelpower dal 5/7/1999 al 7/8/2002, e il Dott. C.G., dirigente di Enel e quindi di Enelpower, con la qualifica di “Vice President” dal 19/1/1999 al 10/10/2002, chiedendo la loro condanna ex art. 2043 c.c. al risarcimento dei danni provocati in conseguenza di fatti illeciti commessi durante il loro operato in Enelpower, che avevano originato procedimenti penali e contabili.

In particolare, al solo ing. G. è stata contestata la percezione di tangenti sia dai dirigenti di Siemens, sia dai dirigenti di Alston Power per l’aggiudicazione di forniture; sia all’ing. G., sia al Dott. C., è stata contestata la percezione indebita di somme di denaro di pertinenza della società, attraverso meccanismi di retrocessione dei compensi versati dalla società a terzi, con riferimento a varie vicende e commesse.

Il danno complessivamente cagionato è stato quantificato per il G. in Euro 37.853.175,06 per danno patrimoniale e Euro 2.000.000,00 per danno d’immagine, e per il C. in Euro 15.008.445,63 per danno patrimoniale e Euro 1.000.000,00 per danno d’immagine.

Il Tribunale di Monza con sentenza dell’11/12/2014 ha dichiarato inammissibile la domanda di Enelpower nei confronti di G.L., in difetto di delibera dell’assemblea di soci che autorizzasse l’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c..

Il Tribunale ha condannato C.G. a pagare a Enelpower s.p.a. la somma di Euro 6.399.483,05, oltre interessi, a titolo di risarcimento dei danni derivati da illecita dazione di denaro percepita da lui e dal G. con riferimento all’aggiudicazione ad Enelpower di alcune commesse per la costruzione di centrali termoelettriche in (OMISSIS), con intermediazione del local agent Al Nowais, realizzata attraverso il meccanismo di retrocessione parziale delle provvigioni, nonchè la somma di ulteriori Euro 2.780.464,95, oltre rivalutazione monetaria e interessi, a titolo di risarcimento dei danni relativi alle retrocessioni di denaro ottenute da società riconducibili a Co.Gi., nonchè, infine, la somma di ulteriori Euro 1.750.000,00 a titolo di danno all’immagine.

Il Tribunale ha inoltre condannato G.L. e C.G., in solido fra loro, a risarcire a Enel s.p.a. il danno all’immagine, quantificato in Euro 1.750.000,00.

Le spese processuali sono state compensate fra il G. e le società attrice, mentre il C. è stato condannato alla rifusione.

2. La sentenza di primo grado è stata appellata con separati atti da G.L., da C.G., da Enel, ed Enel Produzione e Enelpower s.p.a..

Con sentenza del 24/1/2017, previa riunione dei procedimenti di appello, la Corte di appello di Milano ha respinto tutte le impugnazioni proposte e integralmente confermato la decisione di primo grado, a spese integralmente compensate.

In primo luogo, la Corte ambrosiana ha confermato la correttezza della decisione di primo grado quanto alla domanda ex art. 2043 c.c., proposta nei confronti di G.L., in quanto oggettivamente fondata su condotte illecite poste in essere da costui nell’esercizio del mandato ad amministrare e quindi necessariamente riconducibili al rapporto giuridico che lo legava, quale amministratore delegato alla società, suscettibili di essere fatte valere ex art. 2393 c.c., e necessariamente implicanti la previa delibera assembleare di autorizzazione.

Quanto a C.G., ha escluso la riconducbilità del rapporto a quelli disciplinati dall’art. 409 c.p.c., poichè il rapporto di lavoro non era l’antecedente logico e il presupposto necessario della situazione di fatto oggetto dell’azione esercitata, aggiungendo che comunque l’eccezione non avrebbe condotto all’inammissibilità della domanda.

La Corte di appello ha confermato la valutazione di inammissibilità delle produzioni documentali tardive (verbali di prove testimoniali in sede penale) non effettuate dal C. dopo lo spirare delle preclusioni istruttorie e non alla prima udienza utile dopo la formazione dei documenti, ma oltre due anni e quattro udienze dopo; in difetto di utilizzabilità di tali documenti, la Corte di appello ha confermato le valutazioni del Giudice di primo grado.

In punto quantificazione dei danni, la Corte territoriale ha ascritto valore decisivo al fatto oggettivo di una retrocessione di una parte delle provvigioni al dirigente di Enelpower, ritenuto direttamente dimostrativo della possibilità di conclusione dell’operazione a costi inferiori.

Quanto all’eccezione sollevata dal C. e basata sulla transazione intercorsa il 16/2/2007 fra Enelpower e Emirates Holding, la Corte di appello ha confermato la valutazione espressa dal Giudice di primo grado, fondata sull’art. 1304 c.c., e sull’interpretazione della transazione ritenuta relativa non all’intero danno, ma alla sola quota del condebitore transigente.

La Corte ha confermato la decisione di primo grado, quanto al l’esclusione di Enel e Enel Produzione s.p.a. dal risarcimento del danno accordato a Enelpower, alla mancanza della prova di una responsabilità per appropriazione indebita in capo al C. nelle vicende relative all’Emi Grousp e a V.B.A., alla mancanza di prova di un danno da disservizio e alla sussistenza di un danno all’immagine.

3. Avverso la predetta sentenza del 24/1/2017 hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione Enelpower, Enel e Enel Produzione s.p.a, con atto notificato il 18/7/2017, affidato a nove motivi.

Ha resistito con controricorso notificato il 27/9/2017 l’intimato G.L., chiedendo la declaratoria di inammissibilità o il rigetto dell’impugnazione.

Contro la medesima sentenza ha proposto altresì autonomamente ricorso principale per cassazione C.G. con atto notificato a Enel s.p.a. e Enelpower s.p.a. il 19/7/2017, distintamente iscritto a ruolo, proponendo tre motivi.

In data 21/9/2017 Enelpower, Enel e Enel Produzione s.p.a., hanno notificato controricorso e ricorso incidentale in relazione al ricorso proposto dal C., svolgendo a tale titolo, prudenzialmente, gli stessi nove motivi del ricorso principale già notificato in precedenza.

In data 19/10/2017 G.L. ha notificato controricorso in relazione al predetto ricorso incidentale delle società attrici, chiedendo la declaratoria di inammissibilità o il rigetto dell’impugnazione e prudenzialmente ribadendo le considerazioni di cui al suo precedente controricorso.

I distinti ricorsi proposti contro la stessa sentenza sono stati riuniti e trattati congiuntamente.

Le tre società ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c., in data 14/1/2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare la Corte osserva che il ricorso proposto dal C. come “ricorso principale” deve considerarsi “ricorso incidentale”, in quanto proposto il giorno successivo rispetto al ricorso principale proposto dalle tre società del Gruppo Enel.

Infatti, secondo consolidata giurisprudenza, il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo, perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; resta fermo, però, che tale modalità non è essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi. Detto termine decorre dall’ultima notificazione dell’impugnazione principale nel caso in cui tale impugnazione sia stata notificata anche alla parte che propone l’impugnazione incidentale. (Sez. 1, 04/12/2014, n. 25662; Sez. 2, 20/06/2014, n. 14118).

Il ricorso principale del C. si converte pertanto in ricorso incidentale, da ritenersi tempestivo.

Il ricorso incidentale proposto “prudenzialmente” dalle tre società del Gruppo Enel, inclusa Enel Produzione, nei cui riguardi il C. non aveva proposto ricorso, deve ritenersi inammissibile perchè proposto da parti che avevano già consumato il proprio potere di impugnazione avverso la medesima sentenza con il ricorso principale.

Questa Corte ha ritenuto inammissibile l’appello incidentale tardivo, che riproponga le medesime censure già introdotte dalla stessa parte mediante l’appello principale, sebbene proposto prima che l’originario gravame fosse dichiarato inammissibile perchè, qualora sia decorso il termine utile per l’impugnazione principale, non trova applicazione il principio desumibile dall’art. 358 c.p.c., secondo cui la consumazione del diritto di impugnazione si verifica solo se, al momento dell’introduzione del nuovo gravame, sia già intervenuta la dichiarazione d’inammissibilità o improcedibilità di quello precedente (Sez.6, 22/05/2018, n. 12584).

2. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, le società ricorrenti Enelpower, Enel e Enel Produzione s.p.a. denunciano la violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2392,2393 e 2043 c.c., quanto alla ritenuta inammissibilità della domanda risarcitoria avanzata verso G.L., alla ravvisata necessità della preventiva delibera assembleare di autorizzazione, alla rilevabilità di ufficio della mancanza della delibera e alla erronea interpretazione circa il rispettivo ambito di applicabilità delle norme citate in relazione all’art. 2043 c.c..

2.1. Secondo le ricorrenti per la configurabilità della responsabilità ai sensi degli artt. 2392 e 2393 c.c., occorre che la violazione commessa sia diretta estrinsecazione delle funzioni dell’amministratore e non già meramente occasionata dal loro svolgimento.

Le ricorrenti sottolineano altresì l’incomprensibile diversificazione del ragionamento seguito dalla Corte territoriale, quanto a C.G., per il quale non erano stati ravvisati ostacoli alla proposizione dell’azione extracontrattuale, benchè anch’egli fosse legato da rapporto contrattuale con la società quale dirigente.

2.2. La censura, pur formulata da tutte e tre le società ricorrenti, articola una critica relativa alla sola pronuncia dettata dalla Corte milanese con riferimento alla domanda avanzata da Enelpower verso G.L..

Secondo le ricorrenti, la Corte di appello aveva erroneamente applicato le norme dettate in materia di responsabilità (contrattuale) dell’amministratore verso la società di capitali ad una fattispecie ed a una azione di tipo extracontrattuale, rientrante nell’ambito della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c..

2.3. La censura è infondata.

La Corte di appello ha riconosciuto che Enelpower “con modalità assolutamente esplicite” aveva dichiarato di fondare la domanda sull’art. 2043 c.c., e aveva altrettanto esplicitamente escluso di voler proporre l’azione sociale di responsabilità (pag.22-23); altrettanto chiaramente ha ammesso l’astratta possibilità di un concorso di azioni di responsabilità, contrattuale e extracontrattuale, a carico dell’amministratore, precisando ineccepibilmente, tuttavia, che la domanda ex lege aquilia deve fondarsi sulla violazione del precetto del neminem leadere e non di diritti scaturenti dal vincolo contrattuale di mandato che lega la società e il suo amministratore.

In altre e ancor più chiare parole, l’azione di responsabilità extracontrattuale promossa dalla società verso l’amministratore deve fondarsi sulla commissione di una condotta illecita dalla quale l’amministratore avrebbe dovuto astenersi, così come ogni altro consociato.

La Corte di appello, nel pieno e corretto esercizio del proprio potere-dovere di qualificazione giuridica della domanda riconosciuto dagli artt. 112 e 113 c.p.c., al di là del nomen juris utilizzato dalla parte proponente, espresso con l’antico broccardo “jura novit curia: narra mihi factum, dabo tibi jus”, ha ritenuto che l’attrice avesse effettivamente proposto l’azione sociale di responsabilità verso l’amministratore, avuto riguardo al contenuto sostanziale ed effettivo delle deduzioni di Enelpower e quindi nel rispetto dei fatti dedotti dalla parte e del principio dispositivo.

Il principio della domanda – in relazione al quale il vizio di ultra o extra petizione ex art. 112 c.p.c., risulta configurabile quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato – deve essere posto in immediata correlazione con il principio iura novit curia, di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1; di conseguenza il principio dispositivo non risulta violato se il giudice ha assegnato una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonchè all’azione esercitata in causa. Rientra, infatti, nei poteri del giudice ricercare le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame e porre a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli richiamati dalle parti (ex multis: Sez. 1, 20/06/2017, n. 15190; Sez. 2, 10/05/2018, n. 11289; Sez. 6, 09/04/2018, n. 8645).

In effetti la Corte territoriale (pagg.23-24) ha messo in luce la stretta connessione con il mandato ad amministrare di ciascuna delle circostanze di fatto addebitate al G. (percezione di tangenti da parte di imprese aggiudicatarie di gare di appalto indette dalla società amministrata; percezione di compensi attraverso meccanismi di retrocessione a proprio personale favore di parte delle provvigioni o dei compensi che la società amministrata aveva pagato a fornitori di servizi esterni quale compenso di agenzia in relazione a commesse o a contratti di consulenza o appalto di servizio).

2.4. La citazione della risalente pronuncia del 9/7/1987 n. 5989 di questa Corte, per nulla pertinente, si ritorce contro le ricorrenti.

In quel caso all’amministratore era stato addebitato un fatto illecito (appropriazione con un artificio di merce della società) da cui avrebbe dovuto comunque astenere anche il quisque de populo: non a caso, la Corte in quella sentenza ha affermato “Atti di questa natura, tra i quali sicuramente rientra la sottrazione indebita (che chiunque potrebbe commettere) di beni della società, determinano, di conseguenza, non la speciale responsabilità di cui all’art. 2392 cit. ma quella – atipica – sintetizzata dalla clausola generale dell’art. 2043 c.c., per far valere la quale la deliberazione dell’assemblea non è, ovviamente, richiesta”.

Ben diverse sono le condotte ascritte al G. che egli non avrebbe potuto commettere se non in veste di amministratore e mandatario della società, in occasione e in relazione a rapporti contrattuali trattati per conto di essa e che se commesse da un terzo non sarebbero state neppure illecite: lo stigma dell’illiceità è infatti conferito, come è evidente, dalla violazione del rapporto fiduciario e dall’azione pregiudizievole in danno della propria mandante.

Giova richiamare anche il diverso precedente con cui questa Corte ebbe a precisare che l’amministratore di società, il quale, al momento e per effetto dell’assunzione delle funzioni, acquisti la disponibilità di fondi occulti costituiti dal precedente amministratore, e poi li impieghi o li spenda, avvalendosi di quelle funzioni, all’insaputa della società, risponde verso la società medesima non quale terzo ed a titolo di illecito aquiliano, ma ai sensi dell’art. 2392 c.c., per inadempienza rispetto agli obblighi derivanti dal mandato ad amministrare. Peraltro, ferma restando la responsabilità per occultamento relativa a tutte le operazioni inerenti i fondi occulti, si distingue tra atti di disposizione compiuti nell’interesse e nell’ambito della gestione dell’impresa sociale e atti di disposizione compiuti a fini extrasocietari. Pertanto, mentre in entrambi i casi la responsabilità di cui alla citata norma è ravvisabile per l’inosservanza del dovere di tenere la società al corrente dell’esistenza di beni sociali e degli atti di utilizzazione degli stessi, con conseguente risarcibilità del pregiudizio discendente alla società stessa dall’ignoranza della propria effettiva situazione patrimoniale e gestionale, per gli atti di disposizione a fini extrasocietari, a tale responsabilità per occultamento si aggiunge quella per l’obiettiva sottrazione e dissipazione dei cespiti, la quale impone il risarcimento anche del corrispondente nocumento verificatosi sulla consistenza economica dell’ente. (Sez.1, 22/06/1990, n. 6278).

2.5. Del tutto fuori fuoco appare anche la censura inerente la presunta differenza di trattamento rispetto a C.G., per il quale non erano stati ravvisati ostacoli alla proposizione dell’azione extracontrattuale, benchè anch’egli fosse legato da rapporto contrattuale con la società quale dirigente.

Si prescinda anche dal fatto che la Corte di appello, sia pur trattando del tema del rito applicabile, ha ritenuto che il rapporto di lavoro di costui rappresentasse mera occasione e non antecedente e presupposto necessario delle condotte ascrittegli: è infatti dirimente che la Corte non ha ritenuto inammissibile la domanda diretta contro il G. perchè, diversamente dalla formale etichetta, aveva natura contrattuale, ma sol perchè, per quella particolare azione contrattuale era necessaria la preventiva delibera di autorizzazione assembleare.

2.6. Una volta operata la corretta qualificazione giuridica della domanda di Enelpower ex art. 2392 c.c., la necessità della delibera preventiva di autorizzazione ai sensi dell’art. 2393 c.c., era meramente consequenziale.

Tale delibera assembleare costituisce condizione di ammissibilità dell’azione per il promovimento dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, la cui esistenza, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve essere verificata d’ufficio dal giudice (Sez.1, 10/09/2007, n. 18939; Sez. 1, 26/08/2004, n. 16999; Sez. 1, 06/06/2003, n. 9090; Sez. 1, 11/11/1996, n. 9849).

3. Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, le società ricorrenti denunciano la nullità della sentenza impugnata per aver pronunciato l’inammissibilità della domanda di Enelpower nei confronti del G., senza rilevare la decadenza di costui ai sensi dell’art. 167 c.p.c., comma 2, per aver sollevato l’eccezione solo con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, come prontamente da loro eccepito con la memoria immediatamente successiva.

La Corte territoriale inoltre non aveva considerato che le due azioni ex art. 2393, e ex art. 2043 c.c., hanno natura e fondamenti diversi e, conseguentemente, che essendo stata proposta la seconda, il rilievo d’ufficio della mancanza della delibera autorizzativa non sarebbe stato esperibile.

La censura reitera, sotto differente prospettiva, la censura precedente e si riferisce, anch’essa, solo alla posizione di Enelpower.

La critica è infondata per le ragioni dianzi esposte. La Corte di appello non ha travalicato dai propri poteri nel riqualificare, correttamente, la domanda e in conseguenza doveva, come ha fatto, verificare d’ufficio, e quindi a prescindere dalla tempestività dell’eccezione del convenuto, l’ammissibilità dell’azione.

4. Il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e il nono motivo di ricorso delle società ricorrenti Enelpower, Enel e Enel Produzione s.p.a. appaiono strettamente connessi e possono essere esaminati congiuntamente.

4.1. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, le società ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2392,2393 e 2043 c.c., e nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 156 c.p.c., comma 2, artt. 359 e 112 c.p.c., per la mancata decisione sul motivo di appello sollevato al punto 7.4. dell’atto di appello riguardante il diverso ambito della transazione stipulata con il gruppo Siemens rispetto al danno reclamato nei confronti dell’ing. G. per la percezione di tangenti per favorire la Siemens in una gara di aggiudicazione per fornitura di turbine a gas.

Il Tribunale aveva ritenuto gran parte dei danni in questione coperti dalla transazione intercorsa con Siemens; di qui l’impugnazione proposta con specifico motivo di appello sul punto.

A tal riguardo la sentenza impugnata aveva ritenuto, con considerazione ampia e onnicomprensiva, che restassero assorbiti dai rilievi inerenti l’inammissibilità dell’azione ex art. 2043 c.c., da Enelpower verso G. tutti i motivi rassegnati dalle tre società ricorrenti avverso la sentenza di primo grado con riferimento alle singole pretese creditorie fatte valere nei confronti del G..

Secondo le ricorrenti, così argomentando, la Corte di appello era incorsa in errore di diritto, facendo applicazione degli artt. 2392 e 2393 c.c., ad una fattispecie alla quale tali norme erano del tutto estranee, con riferimento all’azione proposta da Enel e Enel Produzione s.p.a.; ovvero, se questa non era la corretta lettura del passaggio motivazionale sopra citato, era incorsa in difetto assoluto di motivazione, ovvero ancora in omessa pronuncia sul punto, quanto alla domanda proposta dalle due predette società diverse da Enelpower, per le quali il Tribunale aveva ritenuto chiaramente ammissibile la domanda proposta, da valutarsi nel merito (pag.12 della sentenza 172/2015).

4.2. Con il quarto motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, le società ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2392,2393 e 2043 c.c., e nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 156 c.p.c., comma 2, artt. 359 e 112 c.p.c., per la mancata decisione sul motivo di appello sollevato al punto 7.1., lett. b), dell’atto di appello riguardante il mancato riconoscimento verso il G. di un danno di Euro 59.410,00 in riferimento alla percezione di tangenti per favorire la Siemens in una gara di aggiudicazione per fornitura di turbine a gas.

Le ricorrenti sviluppano, anche a questo proposito, le argomentazioni sopra esposte con il terzo motivo di ricorso con riferimento alla valutazione di assorbimento formulata dalla Corte di appello e ritenuta erronea quanto alla posizione di Enel e di Enel Produzione s.p.a..

4.3. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, le società ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2392,2393 e 2043 c.c., e nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 156 c.p.c., comma 2, artt. 359 e 112 c.p.c., per la mancata decisione sul motivo di appello sollevato al punto 8.1. riguardate il mancato riconoscimento dei danni provocati dal G. in riferimento alla percezione di tangenti per favorire la Alstom Power in una gara di aggiudicazione dei lavori relativi alla centrale termoelettrica del Sulcis.

Le ricorrenti sviluppano, anche a questo diverso proposito, le argomentazioni sopra esposte con il terzo motivo di ricorso con riferimento alla valutazione di assorbimento formulata dalla Corte di appello e ritenuta erronea quanto alla posizione di Enel e Enel Produzione s.p.a..

4.4. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, le società ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2392,2393 e 2043 c.c., e nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 156 c.p.c., comma 2, artt. 359 e 112 c.p.c., per la mancata decisione sul motivo di appello sollevato al punto 8.4. riguardate il diverso ambito della transazione sottoscritta con il gruppo Alstom Power rispetto al danno reclamato dalle ricorrenti verso il G. in riferimento alla percezione di tangenti per favorire la Alstom Power in una gara di aggiudicazione dei lavori relativi alla centrale termoelettrica del Sulcis.

Anche a questo proposito, tenuto conto che una parte del danno era stata ritenuta dal Giudice di primo grado coperta dalla transazione intercorsa, le ricorrenti sviluppano le argomentazioni sopra esposte con il terzo motivo di ricorso con riferimento alla valutazione di assorbimento formulata dalla Corte di appello e ritenuta erronea quanto alla posizione di Enel e Enel Produzione s.p.a..

4.6. Con il nono motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, le società ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2392,2393 e 2043 c.c., e nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli art. 132 c.p.c., n. 4, art. 156 c.p.c., comma 2, artt. 359 e 112 c.p.c., per la mancata decisione sul motivo di appello sollevato al punto 13.2. dell’atto di appello in tema di danno di immagine cagionato da G.L. con riferimento alle vicende Siemens e Sulcis.

Le ricorrenti sviluppano, anche a questo diverso proposito, le argomentazioni sopra esposte con il terzo motivo di ricorso con riferimento alla valutazione di assorbimento formulata dalla Corte di appello e ritenuta erronea quanto alla posizione di Enel e Enel Produzione s.p.a..

4.7. Le predette censure, tutte relative alle domande rivolte contro G.L., appaiono riconducibili ad un ceppo unitario e possono essere attribuite solo a Enel s.p.a. e Enel Produzione s.p.a., e non già ad Enelpower e comunque per quest’ultima risultano assorbite dal r etto dei primi due motivi di ricorso.

4.8. Nella sostanza le ricorrenti muovono alla Corte di appello un rimprovero alternativo.

Delle due l’una: o la Corte era incorsa in errore di diritto facendo applicazione degli artt. 2392 e 2393 c.c., ad una fattispecie alla quale tali norme erano del tutto estranee, con riferimento all’azione proposta da Enel e Enel Produzione s.p.a., delle quali G. non era stato amministratore, sicchè, nonostante le obiezioni mosse quanto al rapporto con Enelpower, non vi poteva essere alcun ostacolo a configurare l’esperibilità della domanda ex art. 2043 c.c., senza, ovviamente, alcuna necessità di deliberazione al autorizzativa preventiva dell’assemblea.

Oppure, se questa non era la corretta interpretazione della sentenzi, le Corte di appello era incorsa in difetto assoluto di motivazione, ovvero addirittura in omessa pronuncia sul punto, quanto alla domanda proposta dalle due predette società diverse da Enelpower, per le quali il Tribunale aveva ritenuto chiaramente ammissibile la domanda proposta, da valutarsi nel merito (pag.12 della sentenza 172/2015).

4.9. La censura è infondata.

La differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c., e l’omesso esame di un fatto decisivo controverso ovvero l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo la formula applicabile ratione temporis, si coglie nel senso che, mentre nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della domanda di appello), nella seconda ipotesi l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia. (Sez. 2, 22/01/2018, n. 1539).

Nella fattispecie la domanda proposta dalle due società diverse da Enelpower è stata respinta sia dal Tribunale, sia dalla Corte di appello, sicchè non è dato ravvisare omissione di pronuncia e conseguente nullità della sentenza.

In ogni caso non è possibile però ravvisare neppure l’omesso esame e il vizio motivazionale, come lucidamente puntualizzato dal Procuratore generale.

Infatti, anche se potrebbe sembrare che la Corte di appello, a pagina 25, penultimo capoverso, estenda automaticamente a Enel e Enel Produzione le ragioni di rigetto delle doglianze di Enelpower, alle pagine 33 e 34, sia pure ad altro proposito (e cioè con riferimento alle doglianze mosse da Enel e Enel Produzione per la loro esclusione dal risarcimento dei danni accordati a Enelpower a carico del C.), la sentenza impugnata contiene l’enunciazione di una ragione di per sè ampiamente sufficiente a giustificare il rigetto delle pretese delle due società anche nei confronti del G..

La Corte infatti ha osservato che Enel e Enel Produzione si erano basate esclusivamente sulla deduzione della loro appartenenza al Gruppo Enel, controllato da Enel, assumendo di conseguenza una sorta di automaticità di ripercussione dei pregiudizi patiti da Enelpower.

Pertanto, secondo la Corte territoriale, mancava non solo la prova ma anche la mera allegazione di una riconducibilità causale dei danni subiti da Enelpower ad altre società dotate di distinta personalità giuridica, non ravvisabile per la mera appartenenza delle società allo stesso Gruppo e per la qualità di controllante posseduta da Enel.

Ed in effetti le ricorrenti non hanno indicato in modo adeguatamente specifico per quali ragioni e su quali basi esse, soggetti dotati di personalità giuridica distinta da quella della società di cui G.L. era amministratore, avessero ritenuto di essere state direttamente e personalmente danneggiate, con conseguente vizio di autosufficienza e genericità della censura.

5. Con il settimo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, le società ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in ordine alla decisione sulla portata dell’accordo transattivo sottoscritto da Enelpower il 16/2/2007 con Emirates Holding, relativo alla vicenda delle commesse in (OMISSIS), per aver la Corte di appello ritenuto che tale accordo si riferisse non già al mero piano dell’inadempimento contrattuale ma al medesimo danno di natura extracontrattuale conseguente alla condotta illecita delle controparti, e in particolare alla quota di Al Nowais, in contrasto con una serie di elementi testuali che invece ancoravano inequivocabilmente l’intesa transattiva in questione alla relazione contrattuale intercorsa fra le parti contraenti.

5.1. La censura appare priva di autosufficienza e specificità, anche nella parte relativa alla posizione di Enelpower per la quale non sarebbe comunque assorbita.

Infatti le ricorrenti non danno conto dei termini con cui avrebbero sottoposto la questione alla Corte di appello con specifico motivo di gravame, non menzionato in sentenza (che tratta in modo approfondito solo della censura svolta dal C. in ordine alla ritenuta natura parziale e non integrale della definizione transattiva in questione) e descritto solo molto genericamente, in termini di mera enunciazione, alla pagina 8 del ricorso (“censuravano la sentenza di primo grado, tra l’altro, con riferimento ai capi in cui….. aveva ritenuto che l’ulteriore accordo transattivo stipulato da Emirates Holding con Enelpower coprisse parzialmente i danni sofferti da quest’ultima in relazione alla vicenda delle commesse in (OMISSIS)…”).

Non è quindi possibile comprendere dal ricorso e dalla sentenza se e quali critiche fossero state mosse alla decisione di primo grado sul punto.

5.2. Inoltre, come annota persuasivamente la difesa del controricorrente G., il motivo prospetta la violazione dei canoni ermeneutici in modo del tutto generico e svincolato da specifici passaggi della sentenza impugnata in cui l’uno o altro criterio interpretativo sarebbe stato violato, o mal applicato, e scivola perciò inevitabilmente in una censura di merito, con la quale rimprovera alla Corte territoriale di aver adottato una interpretazione del contratto diversa da quella sostenuta dalle ricorrenti.

In materia di interpretazione del contratto, la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica esige una specifica indicazione dei canoni in concreto inosservati e del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice del merito; nessuna delle due censure può, invece, risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. D’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i profili, quella attribuita al contratto dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Sez. 1, 02/05/2006, n. 10131).

6. Con l’ottavo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, le società ricorrenti denunciano nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 7, artt. 244,245,345,350 e 356 c.p.c., e art. 2721 c.c., quanto al rigetto della domanda di condanna al risarcimento del danno da disservizio, determinato dalla mancata ammissione della richiesta di prova orale reiterata in grado di appello.

6.1. La Corte di appello aveva respinto la relativa richiesta con motivazione del tutto incongrua, legata alla natura ed oggetto dei due capitoli in questione (n. 312 e 313), postulanti una conferma documentale, in difetto di ricorrenza delle ipotesi espressamente codificate che escludono il ricorso alla prova orale, imponendo il ricorso alla prova documentale.

6.2. La censura è infondata.

Le ricorrenti ravvisano violazione di legge attribuendo alla Corte di appello l’affermazione dell’inammissibilità della prova orale e della necessità della prova documentale al di fuori dell’ambito di operatività delle limitazioni dettate in materia di prova del contratto (art. 2721 c.c., espressamente richiamato, ma anche gli articoli seguenti del codice).

In altre parole, la Corte di appello avrebbe rifiutato di ammettere la prova testimoniale dedotta, già respinta in primo grado e in ipotesi decisiva a fronte del rigetto della domanda risarcitoria del “danno da disservizio” per difetto di prova, ritenendo, in assenza di un divieto normativo, necessaria la prova documentale dei fatti dedotti, così interferendo nella libertà della parte di scegliere, fra quelli ammissibili, il mezzo di prova preferito.

La Corte milanese, tuttavia, non ha formulato affatto l’affermazione che le ricorrenti le attribuiscono, allorchè ha osservato che “…le circostanze dedotte nei capitoli di prova articolati in primo grado postulano per loro stessa natura ed oggetto una conferma documentale, ragione che evidenzia l’inammissibilità della prova richiesta…..”.

Ossia la Corte di appello non ha detto che i fatti dedotti dovevano essere provati per iscritto e attraverso documenti, ma ha affermato che il contenuto concreto dei due capitoli in questione implicava, per natura ed oggetto, una conferma documentale, ossia che il teste da escutere si riferisse al tenore di documenti, che invece non erano stati prodotti, o comunque puntualmente richiamati, e che non potevano quindi costituire la necessaria base di integrazione del contenuto dei capitoli e delle sue risposte.

Il capitolo 312, di per sè considerato, anche a prescindere dal mancato riscontro documentale e delle genericità addirittura emblematica, possiede una evidente natura valutativa, chiedendo ai

testimoni di esprimere un giudizio sull’esistenza

dei danni lamentati (“Vero che – a seguito delle vicende corruttive oggetto della presente causa- le attrici hanno subito costi e/o mancati guadagni derivanti dalla compromissione della efficienza e dell’efficacia dell’attività delle attrici stesse e dalla necessità di onerosi interventi correttivi quali le modifiche della strutture organizzativa, la risoluzione di rapporti contrattuali, l’attività di consulenza legale per la tutela risarcitoria civile e il reiterato coinvolgimento del servizio di internai auditing aziendale”.

Il capitolo 313 (“Vero che al 9/2/2005 i costi e/o mancati guadagni ammontavano a Euro 5.295.827,48 di cui Euro 2.115500,00 per spese sostenute per il procedimento penale, Euro 1.984.682,66 per assistenza legale stragiudiziale, Euro 841.579,42 per funzioni di auditing e Euro 354.065,40 per spese di organizzazione”) si riferiva evidentemente per sua natura a documenti e conteggi di spesa non richiamati nell’ambito del capitolo, come finiscono per vero con l’ammettere le ricorrenti (pag.49), facendo riferimento a fonti documentali esterne, asseritamente menzionate nella sentenza di primo grado, non richiamate nei capitoli (il che è di per sè già dirimente), e che neppure risultano prospettate nei motivi di appello.

7. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente C.G. denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 409,413 e 439 c.p.c., poichè il giudizio nei suoi confronti era stato erroneamente introdotto con citazione a comparire, mentre la causa rientrava fra quelle soggette all’art. 409 c.p.c..

7.1. La violazione della norma sulla competenza, derivante dall’introduzione della causa dinanzi al Tribunale di Monza con atto di citazione, anzichè con ricorso avanti il Tribunale di Milano, ove si trovava la dipendenza presso la quale il Dott. C. operava, ovvero avanti il Tribunale di Roma (ove era sorto il rapporto di lavoro e ove si trova l’azienda) determinava nullità e improcedibilità dell’azione.

7.2. Il motivo è inammissibile.

Da un lato, il ricorrente sembra prospettare una violazione delle norme sulla competenza (art. 360, comma 1, n. 2) pur deducendo violazione di nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

In secondo luogo, il ricorrente non indica come e quando avrebbe formulato nel processo di primo grado l’eccezione di incompetenza territoriale e tantomeno come e quando avrebbe svolto un motivo di appello in proposito; anzi, per vero, neppure sostiene di aver fatto l’uno o l’altro, poichè tali adempimenti non sono certamente soddisfatti dalla mera deduzione dell’applicabilità al rapporto controverso del rito speciale previsto per controversie di cui all’art. 409 c.p.c..

In terzo luogo, il ricorrente non censura in modo specifico e puntuale la motivazione addotta dalla Corte di appello per giustificare l’esclusione del rapporto con Enelpower dal rito speciale previsto per controversie di cui all’art. 409 c.p.c., e tantomeno e soprattutto lo specifico rilievo opposto dalla Corte che la tesi sostenuta dal C. non avrebbe comunque comportato l’inammissibilità da questi predicata.

Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’omesso mutamento del rito (da quello speciale del lavoro a quello ordinario e viceversa) non determina ipso iure l’inesistenza o la nullità della sentenza ma assume rilevanza invalidante soltanto se la parte che se ne dolga in sede di impugnazione indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte (Sez.1, 19/01/2017, n. 1332; Sez. 3, 27/01/2015, n. 1448; Sez. 3, 18/07/2008, n. 19942).

8. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente C. denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1226 e 2697 c.c., in ragion dell’avvenuta liquidazione equitativa del preteso danno all’immagine subito da Enel e Enelpower s.p.a..

8.1. La Corte territoriale si era limitata a condividere le ragioni espresse dal Giudice di primo grado, senza considerare le censure svolte dall’appellante, che, in particolare, avevano investito il rilievo attribuito dal Tribunale alla sentenza contabile del 9/11/2015, caducata dalla sentenza 26806/2009 delle Sezioni Unite della Cassazione.

Per altro verso, il Consulente tecnico nominato in primo grado nella sua relazione non aveva rilevato alcuna traccia di danni all’immagine aziendale delle società attrici.

8.2. Tale ultima circostanza è del tutto irrilevante, perchè nè il Giudice di primo grado, nè il Giudice di appello vi hanno fatto riferimento, mentre il ricorrente deduce solamente vizio di violazione di legge.

Mentre la sentenza impugnata dà conto degli elementi valorizzati ai fini della valutazione equitativa, il ricorrente non indica il contenuto delle censure da lui mosse che sarebbero state ignorate, cosa questa peraltro che potrebbe semmai fondare una denuncia di vizio motivazionale, per giunta solo se attinente all’omesso esame di fatto decisivo sottoposto al contraddittorio.

La Corte di appello non ha affatto motivato sulla base della decisione della Corte dei Conti, al cui proposito ha solo dato atto del suo annullamento da parte della Corte di Cassazione per difetto di giurisdizione; inoltre il ricorrente non dimostra e neppure indica se e in che misura tale sentenza abbia influenzato la valutazione del giudice di primo grado e dei termini in cui egli abbia posto la questione in appello.

8.3. In ogni caso l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (Sez.3, 13/10/2017, n. 24070; Sez.1, 15/3/2016, n. 5090; Sez.3. 3/12/2015, n. 24625; Sez. I, 14/10/2013, n. 23233); la liquidazione del danno non patrimoniale presuppone una valutazione necessariamente equitativa, la quale non è censurabile in Cassazione, sempre che i criteri seguiti siano enunciati in motivazione e non siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto (Sez.3, 25/05/2017, n. 13153).

9. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente C. denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 184 bis e 345 c.p.c., e art. 92 disp. att. c.p.c..

8.1. Il ricorrente si duole del fatto che i Giudici non abbiano ammesso la produzione dei verbali delle udienze penali del 25/1/2011 e 1/2/2011, formatisi successivamente allo spirare dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, così determinando la sua condanna in relazione ad una ulteriore voce di danno, per il mancato raggiungimento della prova liberatoria sul punto.

Dopo le udienze penali predette, le parti hanno chiesto in due occasioni un rinvio in pendenza di trattative e solo dopo l’udienza del 8/11/2011 si è resa necessaria l’acquisizione dei verbali; inoltre nelle more fra il giuramento del C.t.u. (8/11/2011) e l’esame della relazione (24/10/2013) erano trascorsi ben due anni e nel corso delle operazioni peritali i verbali erano stati sottoposti dal Consulente di parte a quello d’ufficio, il quale, sull’opposizione dei Consulenti di parte attrice, avrebbe dovuto investire il Giudice per la soluzione della questione.

9.2. La natura della violazione della legge processuale dedotta dal ricorrente è ambivalente, visto che si riferisce sia alla mancata rimessione in termini in primo grado, con il riferimento all’art. 184 bis c.p.c., peraltro improprio (perchè al giudizio, iniziato a marzo del 2010 si applicava semmai ratione temporis l’istituto generalizzato dell’art. 153 c.p.c., comma 2, introdotto dalla L. n. 69 del 2009), sia alla mancata ammissione delle prove nuove in secondo grado con il riferimento all’art. 345 c.p.c..

Le censure svolte non confutano la ratio decidendi adottata dalla Corte di appello e soprattutto non giustificano minimamente il ritardo nella presentazione dell’istanza fra il primo momento in cui la stessa poteva essere effettuata (10/5/2011) e quella in cui ciò è concretamente avvenuto (24/10/2013).

9.3. Del tutto irrilevante appare il riferimento al tentativo del Consulente di parte del C. di sottoporre i documenti al Consulente d’ufficio durante le operazioni peritali, a cui, sull’opposizione dei Consulenti di parte delle società attrici, il Consulente d’ufficio non aveva dato ingresso.

Tale rifiuto era del tutto legittimo, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo il quale quando l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l’ausilio di speciali cognizioni tecniche, è consentito al consulente di acquisire anche ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, ma solo quando si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza (Sez. 1, 15/06/2018, n. 15774; Sez.1, 11/1/2017 n. 512; Sez.2, 14/12/2015,n. 25140). Al contrario, il divieto è pienamente operante quando l’onere della prova sia a carico di una parte e non si rientri nella sopraindicata fattispecie, eccezionale e derogatoria, come accadeva evidentemente nella fattispecie in cui il C. intendeva suffragare il proprio onere probatorio non assolto con la produzione di verbali di prove testimoniali assunte in giudizio penale.

9.4. Del tutto inappropriato appare altresì il richiamo all’art. 92 disp. att. c.p.c., secondo il quale se, durante le indagini che il consulente tecnico compie da sè solo, sorgono questioni sui suoi poteri o sui limiti dell’incarico conferitogli, il consulente deve informarne il giudice, salvo che la parte interessata vi provveda con ricorso.

Anche se la legge utilizza il verbo “dovere”, una interpretazione logica e sistematica della norma porta ad escludere il carattere vincolato dell’iniziativa; da un lato, il consulente può non ravvisare il presupposto della res dubia, ritenendo scontata una certa lettura del mandato e dei quesiti; dall’altro, e soprattutto, la parte interessata non rimane indifesa dinanzi ad una interpretazione del consulente che non condivide perchè dispone della possibilità di tutelarsi autonomamente, rivolgendosi direttamente al giudice.

Nella fattispecie il Consulente d’ufficio aveva ritenuto (giustamente) di poter escludere la sussistenza di una questione meritevole di essere sottoposta al giudice, stante l’evidente inammissibilità della produzione tentata da parte del C. e in ogni caso questi ben poteva rivolgersi direttamente al giudice, come testualmente prevede la norma invocata.

9.5. Ciò assorbe le ulteriori considerazioni che la produzione del documento doveva essere effettuata dal difensore tecnico, e non dal consulente di parte, e doveva comunque essere indirizzata al giudice, visto che implicava una rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., comma 2; ovviamente, inoltre, tale istanza poteva essere proposta anche durante le operazioni peritali, non ricorrendo alcuna ipotesi di sospensione del processo.

9.6. Appare pertanto del tutto corretta la conferma della correttezza della valutazione del Tribunale in punto inammissibilità della richiesta di rimessione in termini e conseguentemente dell’applicazione dell’art. 345 c.p.c., effettuata dalla Corte milanese, in difetto del presupposto della non imputabilità della mancata produzione.

Deve infatti escludersi che la parte che sia incorsa in decadenza nella produzione di un documento – senza che ricorrano le condizioni di cui all’art. 184 bis c.p.c., e senza formulare istanza di rimessione in termini secondo il procedimento previsto dall’art. 294 c.p.c. – possa poi aggirare la sanzione processuale mediante l’allegazione tardiva del medesimo documento ad atti processuali compiuti nelle successive fasi processuali, ovvero possa rinnovare, senza incontrare alcun limite, tale produzione in grado di appello, determinando sostanzialmente una riapertura della istruzione, consentita solo in ristrettissimi limiti in quel tipo di giudizio (Sez.3, 20/03/2017, n. 7055).

10. In conclusione debbono essere respinti il ricorso principale di Enelpower, Enel e Enel Produzione s.p.a., e il ricorso principale, qualificato incidentale, di C.G.; come osservato in precedenza, deve essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, proposto da Enelpower, Enel e Enel Produzione s.p.a. in replica al ricorso del C. e fondato sugli stessi motivi del corrispondente ricorso principale.

11. La soccombenza reciproca giustifica ex art. 92 c.p.c. l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità fra Enelpower, Enel e Enel Produzione s.p.a., da un lato, e C.G., dall’altro.

Enelpower, Enel e Enel Produzione s.p.a., in solido fra loro, dovranno invece rifondere le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, a G.L. nei cui confronti sono integralmente soccombenti, senza che sussista alcuna eccezione e grave ragione per derogare alla regola generale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale proposto da Enelpower s.p.a., Enel s.p.a. e Enel Produzione s.p.a. e il ricorso principale convertito in ricorso incidentale proposto da C.G.; dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto da Enelpower s.p.a., Enel s.p.a. e Enel Produzione s.p.a.;

dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità tra Enelpower s.p.a., Enel s.p.a. e Enel Produzione s.p.a. e C.G.;

condanna le ricorrenti Enelpower s.p.a., Enel s.p.a. e Enel Produzione s.p.a., in solido fra loro, a rifondere le spese del giudizio di legittimità al controricorrente G.L., che liquida in Euro 20.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 500,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2019

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