Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11543 del 11/05/2017


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Cassazione civile, sez. I, 11/05/2017, (ud. 08/03/2017, dep.11/05/2017),  n. 11543

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9028/2011 proposto da:

V.G., (C.F. (OMISSIS)), in proprio, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Filippo Cevenini n. 12, presso l’avvocato

Spingardi Luca, rappresentato e difeso da se medesimo unitamente

all’avvocato Ferracuti Fabrizio, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.p.a.;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TERAMO, depositata il 19/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/03/2017 dal cons. FALABELLA MASSIMO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale SOLDI Anna Maria, che ha chiesto che la Corte

accolga il presente ricorso nei limiti indicati nelle conclusioni.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con ricorso depositato l’8 giugno 2009, V.G. proponeva opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) s.p.a.: deduceva che aveva richiesto l’ammissione del suo credito privilegiato di Euro 149.999,41 con domanda di insinuazione del 25 marzo 2009 e che il giudice delegato aveva dichiarato esecutivo lo stato passivo, rilevando, con riferimento al credito in questione, che esso era stato “determinato a percentuale, senza dimostrazione dell’attività di consulenza continuativa”. Asseriva l’istante che l’esclusione del credito era erronea in quanto egli aveva svolto in favore della società fallita un’attività di consulenza e di assistenza professionale duratura e continuativa e che il conferimento dell’incarico non era stato mai posto in discussione dalla società (OMISSIS).

Il Tribunale di Teramo, con decreto depositato il 19 febbraio 2011, rigettava l’opposizione e per l’effetto confermava lo stato passivo del fallimento.

2. – Contro dalle provvedimento ricorre per cassazione V.G., che ha fatto valere due motivi di impugnazione illustrati da memoria. La curatela fallimentare, benchè intimata, non ha svolto difese in questa sede di legittimità. Il pubblico ministero ha fatto pervenire le sue conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo viene dedotta violazione ed erronea applicazione della L. Fall., artt. 98 e 99, nonchè dell’art. 115 c.p.c., oltre che omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto controverso decisivo del giudizio. Il decreto è censurato con riferimento alla ritenuta insussistenza dei vizi di costituzione della curatela fallimentare connessi all’eccepito mancato deposito dell’autorizzazione del giudice delegato (quanto alla resistenza nel procedimento di opposizione allo stato passivo). Sostiene il ricorrente che la controparte avrebbe dovuto depositare l’autorizzazione del Giudice delegato nel termine perentorio di dieci giorni prima dell’udienza di comparizione: di contro, il Tribunale aveva erroneamente affermato che il mancato deposito della predetta autorizzazione non era sanzionato da nullità, potendo l’autorizzazione essere rilasciata in un momento successivo. Il ricorrente, inoltre, ravvisa contraddittorietà nella motivazione del giudice dell’opposizione: rileva, in particolare, che il Tribunale non aveva tratto le necessarie conseguenze dall’affermazione secondo cui la costituzione tardiva determinava, a carico del convenuto, il maturarsi di preclusioni; lo stesso istante osserva, ancora, che l’asserzione del giudice di prime cure circa l’asserita facoltà, in capo al resistente, di proporre domande riconvenzionali non era comprensibile e risultava comunque non corretta, alla luce della modificazione della L. Fall., art. 99, operata con il D.Lgs. n. 5 del 2006.

1.1. – Il motivo è privo di fondamento.

E’ sufficiente osservare, in proposito, che, come osservato da questa S.C., ai sensi della L. Fall., art. 31, nella formulazione risultante dal D.Lgs. n. 5 del 2006, non è richiesta l’autorizzazione del giudice delegato per la costituzione del curatore nei giudizi d’impugnazione del decreto di esecutività dello stato passivo e in quelli in materia di dichiarazione tardiva di credito (Cass. 18 maggio 2012, n. 7918, secondo cui la novella non giustifica un dubbio di costituzionalità della disciplina, per la violazione dei limiti di cui all’art. 1, comma 6, della legge delega – L. n. 80 del 2005 – attesi i criteri ivi posti dell’abbreviazione dei tempi per l’accertamento del passivo e dell’accelerazione dei giudizi).

2. – Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 127 del 2004, tabella D), n. 4, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. Si evidenzia, con la censura, che il requisito della continuità cui fa riferimento il decreto ministeriale al fine del calcolo a percentuale del compenso professionale non presupponga affatto, corni invece ritenuto erroneamente dal Tribunale, la trattazione di una pluralità di controversie, ma unicamente lo svolgimento di un’attività di assistenza e consulenza stabile e duratura. Viene inoltre dedotto che il Tribunale, una volta negata l’applicabilità della tariffa professionale “a percentuale”, escludendo la prova di una attività continuativa di assistenza legale, avrebbe dovuto ricorrere ai criteri determinativi indicati dalle vigenti tariffe forensi per l’espletamento di attività strettamente giudiziali.

2.1. Tale motivo appare fondato nei termini che si vengono a esporre.

Il Tribunale ha osservato che il professionista che intenda reclamare il compenso a norma del D.M. n. 127 del 2004, tabella D, n. 4 abbia “l’onere, innanzi tutto, di allegare e provare di aver svolto per un apprezzabile lasso di tempo la propria attività di consulenza, mediante la trattazione di una pluralità di pratiche o controversie” e che non risultava provato che l’attività di consulenza avesse “assunto il carattere della continuità”.

Il predetto decreto ministeriale, per quanto qui interessa, prevede un onorario a percentuale per prestazioni di assistenza in procedure concorsuali giudiziali e stragiudiziali sempre che “esigano continuativa attività di consulenza”.

Ciò significa che per la determinazione degli onorari dell’avvocato che abbia assistito il proprio cliente nella presentazione di un’istanza di ammissione al concordato preventivo o all’amministrazione controllata, l’applicazione dei criteri a percentuale, di cui alla tariffa in materia stragiudiziale, è possibile solo quando risulti accertata anche una continuativa attività di consulenza per la determinazione dell’attivo (Cass. 29 maggio 2008, n. 14443, con riferimento alla disciplina del D.M. n. 585 del 1994, coincidente con quello in esame, nella parte che qui viene in rilievo).

Offra, il richiamo, svolto dal Tribunale, alla necessità che l’attività del professionista implichi la trattazione di una pluralità di pratiche o di controversie non appare corretto, dal momento che l’operato del professionista è piuttosto da riguardare nella sua finalizzazione alla determinazione dell’attivo, come sopra rilevato: in conseguenza, l’attività professionale va remunerata tutte le volte in cui sia stabilmente e ininterrottamente posta in atto in vista di un tale risultato. Competeva pertanto al giudice di prime cure verificare, nella fattispecie, se potesse ravvisarsi una continuatività dell’attività di consulenza nell’accezione indicata.

Inammissibile è, invece, la seconda censura, vertente sulla lamentata mancata applicazione dei criteri determinativi del compenso previsti dalla tariffa professionale. Detta censura, infatti, risulta totalmente carente di specificità; il ricorso non precisa quali fossero gli elementi di riscontro, riferiti alle attività concretamente svolte dal ricorrente, che avrebbero consentito al Tribunale di procedere alla liquidazione richiesta sulla base della tariffa forense.

3. – In conclusione, la sentenza, con riferimento alla questione circa il carattere continuativo dell’attività da remunerarsi, va cassata; la causa deve essere pertanto rinviata al Tribunale di Teramo, in altra composizione, per un rinnovato esame dell’attività svolta, da attuarsi facendo applicazione del principio sopra richiamato. Allo stesso Tribunale è rimessa la decisione circa le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

accoglie il secondo motivo nei sensi di cui in motivazione e rigetta il primo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia la causa al Tribunale di Teramo in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 2017

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