Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11537 del 25/05/2011

Cassazione civile sez. II, 25/05/2011, (ud. 11/03/2011, dep. 25/05/2011), n.11537

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.G. e G.B., rappresentati e difesi, per

procura speciale in calce al ricorso, dagli Avvocati ANDREUCCI Fabio

e Fabrizio Badò, elettivamente domiciliati presso lo studio del

secondo in Roma, Viale Giulio Cesare n. 14;

– ricorrenti –

contro

S.R. e N.S., elettivamente domiciliati in

Roma, Via Cunfida n. 20, presso lo studio dell’Avvocato OLIVETI

Francesco, dal quale sono rappresentati e difesi per procura speciale

a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1632 del

2008, depositata il 18 novembre 2008.

Udita, la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11 marzo 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentiti gli Avvocati Francesco Braschi, per delega dell’Avvocato

Andreucci, e Marco Menconi;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, il quale nulla ha osservato rispetto alla

relazione.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 6 agosto 2004, il Tribunale di Montepulciano, pronunciando sulla domanda proposta da C. G. nei confronti di S.R. e N.S., volta ad ottenere la demolizione di manufatti costruiti in violazione delle distanze legali, e sulle domande riconvenzionali dei convenuti, volta ad ottenere la demolizione di una costruzione destinata a pollaio posta sul terreno dei C. a distanza non regolamentare, e la condanna alla realizzazione delle opere necessarie per la regimentazione delle acque piovane che dal fondo di proprietà C. venivano riversate verso il muro di proprietà dei convenuti danneggiandone le fondamenta – domande estese anche a C.B., che veniva chiamato in giudizio -, accoglieva la domanda riconvenzionale e condannava C.G. e C.B. a convogliare nella fognatura comunale tutte le acque piovane confluenti dal loro fondo sul muro di confine di proprietà dei convenuti, e rigettava tutte le altre domande;

che l’appello proposto da C.G. e C.B. è stato dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello di Firenze con sentenza depositata il 10 novembre 2008, con la quale è stato accolto invece l’appello incidentale di S.R. e N. S., relativamente alla disposta compensazione delle spese del primo grado di giudizio;

che la Corte d’appello, dopo aver rilevato che, con l’atto di citazione, C.G. aveva chiesto la condanna dei convenuti alla demolizione dei manufatti posti a distanza non legale dal confine e che identiche conclusioni erano state rassegnate dal chiamato in causa C.B., ha ritenuto che il motivo dell’appello principale con il quale gli appellanti si dolevano della presunta violazione delle distanze legali dal pollaio esistente sul proprio terreno (e quindi non più dal confine), chiedendo che venisse fatta applicazione del principio di prevenzione, introducesse una domanda nuova e diversa, per causa petendi e petitum da quella fatta valere in primo grado;

che, ha osservato inoltre la Corte d’appello, la stessa questione della natura del muro edificato sul confine dai convenuti era stata legata all’affermazione di principio secondo cui il pollaio era stato edificato in precedenza, sicchè i convenuti avrebbero dovuto tenere il muro alla distanza legale di cui all’art. 873 cod. civ.;

che, quanto all’appello incidentale, la Corte d’appello, sul rilievo che una parte della domanda riconvenzionale era stata accolta, ha ritenuto che le spese dovessero essere poste a carico degli attori nella misura del 30%, con compensazione della restante parte;

che per la cassazione di questa sentenza C.G. e C. B. hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo cui gli intimati hanno resistito con controricorso;

che, con l’unico motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., sostenendo che la Corte d’appello avrebbe confuso l’ipotesi della nuova domanda con quella delle nuove ragioni a sostegno della domanda originariamente proposta;

che, osservano i ricorrenti, posto che la domanda era stata sin dall’inizio volta a difesa del diritto di proprietà, la causa, petendl era ed è sempre rimasta il diritto di proprietà che si è inteso difendere;

che, ravvisate le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., ai sensi di tale norma è stata redatta la prevista relazione, depositata il 22 dicembre 2010, che è stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:

“(…) Il ricorso è inammissibile, giacchè il motivo non si conclude con la formulazione del quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, atteso che la sentenza impugnata è stata depositata il 10 novembre 2008.

Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio”;

che in prossimità della trattazione del ricorso, i resistenti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., comma 3, eccependo la improcedibilità del ricorso e aderendo, comunque, alla proposta di decisione;

che il Collegio rileva che il ricorso, notificato il 30 dicembre 2009, è stato depositato presso la Cancelleria di questa Corte solo il 28 gennaio 2010, e quindi oltre il termine di venti giorni di cui all’art. 369 cod. proc. civ.;

che, nel concorso tra una causa di improcedibilità del ricorso e una di inammissibilità dello stesso, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile (Cass. n. 1104 del 2006; Cass. n. 11091 del 2009);

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2011

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