Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11536 del 25/05/2011

Cassazione civile sez. II, 25/05/2011, (ud. 11/03/2011, dep. 25/05/2011), n.11536

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.S., M.M., M.E.,

MA.SA., tutti rappresentati e difesi, per procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato LIMONGELLI Sergio,

domiciliato per legge in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

civile della Corte Suprema di Cassazione;

– ricorrenti –

contro

M.F., rappresentato e difeso, per procura speciale

a margine del controricorso, dall’Avvocato CAPRIOLI Giovanni,

elettivamente domiciliato in Roma, via di Vigna Murata n. 1, presso

lo studio dell’Avvocato Corrado Carrubba;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 159 del 2009,

depositata il 21 marzo 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11 marzo 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, il quale nulla ha osservato rispetto alla

relazione.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che M.F., assumendo di essere erede legittimo di F.E., deceduta in data (OMISSIS) senza lasciare testamento, e che l’atto con il quale la sua dante causa aveva venduto a Ma.Ed., nipote ex sorore, un immobile sito in (OMISSIS), per il prezzo dichiarato di L. 20.000.000, era in realtà simulato, ha chiesto al Tribunale di Lecce di dichiarare la simulazione dell’atto in questione e, nel caso in cui il detto atto avesse integrato una donazione, la riduzione della stessa sino alla quota spettante per legge ad esso attore;

che, instauratosi il contraddittorio, la convenuta ha contestato la domanda;

che, disposta ed eseguita l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli eredi della F., e cioè del fratello dell’attore M.F., e riassunto il giudizio a seguito del decesso della Ma., nei confronti dei suoi eredi M.M., Ma.Sa., M. S. (che si costituivano in giudizio) e Ma.El.

(che rimaneva contumace), l’adito Tribunale ha rigettato la domanda;

che ha proposto appello M.F., cui hanno resistito M.E., Sa. e S., mentre M. E. è rimasto contumace;

che la Corte d’appello di Lecce, con sentenza depositata il 21 marzo 2009, ha rigettato il motivo di gravame concernente il capo della sentenza di primo grado di reiezione della domanda di simulazione e ha invece accolto il motivo di gravame relativo alla reiezione della domanda di riduzione;

che la Corte d’appello ha ritenuto che la vendita dell’immobile, del valore accertato dal CTU di L. 85.000.000 al prezzo di L. 20.000.000, integrasse un negozio con causa mista (vendita + donazione), potendosi desumere l’animus donando, dalla stessa qualità delle parti (la Ma. era strettamente legata alla F., in quanto convivente con M.E. e madre degli appellati, nipoti ex figlio della stessa F., e dagli stretti rapporti, perfino di transitoria coabitazione tra loro intercorsi);

che, ha osservato la Corte territoriale, non era del resto opponibile all’appellante la scrittura privata, priva di data certa, nella quale il prezzo dell’immobile veniva indicato in L. 50.000.000, delle quali 20.000.000 corrisposti dalla Ma. in contanti e le restanti 30.000.000 sostituiti dall’obbligo vitalizio dalla medesima assunto di prestare assistenza alla F.;

che la Corte ha quindi ritenuto che, non essendovi nell’asse della F. altri beni oltre l’immobile alienato alla Ma., ed essendo questo indivisibile, la riduzione dovesse operare per equivalente, ponendosi a carico degli eredi di Ma.Ed.

l’obbligo di pagare all’appellante la somma di Euro 11.979,68, oltre interessi legali sulla somma annualmente rivalutata, con decorrenza dall’11 novembre 1988 alla pubblicazione della sentenza, e dei soli interessi legali per il periodo successivo e sino al saldo;

che avverso tale sentenza, M.S., M., E. e Sa. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui ha resistito M.F.;

che, con il primo motivo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., nonchè vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia;

che, sostengono i ricorrenti, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe carente quanto all’accertamento dell’animus demandi che, anzi, non era neanche stato allegato dall’attore nell’atto di citazione;

che, con il secondo motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 809 cod. civ., art. 1362 cod. civ., e segg., art. 2729 cod. civ., nonchè vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe affermato l’esistenza di un negozio misto sulla base di una presunzione semplice, del tutto inidonea a sorreggere la decisione assunta;

che, ravvisate le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., ai sensi di tale norma è stata redatta la prevista relazione, depositata il 22 dicembre 2010, che è stata notificata alle parti e comunicata al Pubblico Ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:

“(…) Il ricorso è inammissibile.

Ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006 e sino al 4 luglio 2009, i motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità (art. 375 cod. proc. civ., n. 5), dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4) e, qualora – come nella specie – il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Quanto ai motivi con i quali di denuncia violazione di legge, si è chiarito che il quesito di diritto non può essere desunto dal contenuto del motivo, poichè in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (Cass., ord. n. 20409 del 2008).

Con riferimento al vizio di motivazione, si è altresì precisato che la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass., n. 16002 del 2007).

Entrambi i motivi di ricorso non corrispondono ai requisiti ora indicati.

Quanto alle denunciate violazioni di legge, l’inammissibilità dei motivi discende dalla mancata formulazione del quesito di diritto.

Quanto ai denunciati vizi motivazionali, difettano sia la chiara indicazione del fatto controverso, sia il momento di sintesi delle ragioni per le quali la sentenza sarebbe affetta dal vizio di motivazione. Le censure, peraltro, non sembrano tenere debitamente conto delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata e si risolvono in una inammissibile richiesta di riesame delle circostanze di fatto, già adeguatamente valutate dalla Corte d’appello, con motivazione congrua ed immune dai denunciati vizi. In realtà, i ricorrenti svolgono le proprie censure limitandosi a contrapporre alla interpretazione della Corte d’appello la propria e non individuando nè la violazione di specifici canoni di ermeneutica contrattuale, nè illogicità o incongruità della soluzione accolta dalla Corte d’appello.

Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio”;

che il Collegio condivide la proposta di decisione ora richiamata, alla quale non sono state rivolte critiche di sorta, avendo il solo resistente depositato memoria adesiva alle conclusioni della relazione;

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2011

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