Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11531 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 15/06/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 15/06/2020), n.11531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10116-2018 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALESSANDRO

FARNESE 26, presso lo studio dell’avvocato ANDREA CIRCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI MAZZI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati

VINCENZO TRIOLO, ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1552/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 25/09/2017 r.g.n. 1795/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/11/2019 dal Consigliere Dott. DE MARINIS NICOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

udito l’Avvocato MARIA PASSARELLI per delega verbale Avvocato

ANTONIETTA CORETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 25 settembre 2017, la Corte d’Appello di Milano confermava la decisione resa dal Tribunale di Milano e rigettava la domanda proposta da B.S. nei confronti dell’INPS, avente ad oggetto l’accertamento del diritto del primo al pagamento,da parte del Fondo di Garanzia di cui alla L. n. 297 del 1982 istituito presso l’INPS) dell’importo residua spettante gli a titolo di TFR non corrisposto dal datore di lavoro inadempiente.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto non dovuto l’intervento del Fondo di Garanzia, non solo per la tardività dei rilievi circa la non fallibilità in concreto del datore di lavoro inadempiente svolti soltanto in sede di gravame e pertanto inammissibili, ma, altresì, per difetto dell’attestazione in atti da parte del lavoratore dell’intervenuta pronunzia in tal senso da parte del Tribunale fallimentare, per essere il relativo accertamento di competenza di tale giudice specializzato e non del giudice del lavoro, che non potrebbe conoscerne neppure in via incidentale ove allegati e provati dall’istante gli elementi di fatto a ciò rilevanti.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il B., affidando l’impugnazione a sei motivi, cui resiste, con controricorso, l’INPS.

L’Istituto controricorrente ha poi presentato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., atteso che la mera trascrizione da parte della Corte territoriale della sentenza emessa dal primo giudice attesterebbe l’assenza di un autonomo processo valutativo che sia valso a sostenere il giudizio formulato dalla Corte medesima.

Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, il ricorrente lamenta la non conformità a diritto dell’orientamento accolto dalla Corte territoriale per cui il lavoratore che intenda accedere al Fondo di Garanzia per il pagamento del TFR sarebbe gravato dell’onere di provocare una pronunzia del Tribunale fallimentare quale unico giudice competente in ordine alla fallibilità del datore di lavoro inadempiente.

Nel terzo motivo la medesima censura di cui al motivo che precede è prospettata sotto l’ulteriore profilo dell’incongruità logica e giuridica dell’affermato necessario ricorso al giudice fallimentare rispetto alla formulazione della L.Fall., art. 1 che definisce le ipotesi di non fallibilità escludendole dall’ambito di efficacia delle proprie disposizioni.

Analogamente nel quarto motivo ad essere preso a riferimento al fine di sostenere la violazione della L. n. 297 del 1982, art. 2 è la L.Fall., art. 10, annoverando tale norma l’ulteriore ipotesi di non fallibilità, anch’essa esclusa dall’ambito di efficacia della disciplina in materia di fallimento, data dal decorso di oltre un anno dalla cessazione dell’attività o dalla cancellazione dal registro delle imprese. Non diversa censura è avanzata con il quinto motivo ma con riferimento alla L.Fall., art. 15, in base al quale non si ha fallibilità quando l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore ad Euro trentamila.

Con il sesto motivo, rubricato con riferimento al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, il ricorrente imputa alla Corte territoriale la mancata considerazione degli elementi di fatto elencati ai precedenti motivi dedotti in atti ed attestanti l’insussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi per l’assoggettabilità alla legge fallimentare dell’impresa datrice inadempiente.

La proposta impugnazione che, pur articolata su sei motivi, in ragione della stretta connessione dei medesimi, può essere qui considerata unitariamente deve ritenersi meritevole di accoglimento.

Benchè questa Corte abbia recentemente affermato che la verifica da parte del tribunale fallimentare della non assoggettabilità a fallimento dell’imprenditore, L.Fall., ex art. 15, u.c., costituisca un presupposto necessario, unitamente alla insufficienza delle garanzie patrimoniali a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata, per l’accesso alle prestazioni del Fondo per il pagamento del TFR e dei crediti di lavoro di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, (Cass. nn. 21734 del 2018, cui ha dato continuità Cass. n. 3667 del 2019), reputa il Collegio che l’anzidetto orientamento non possa essere condiviso in ragione del principio generale desumibile dalla previsione di cui all’art. 34 c.p.c., secondo cui il giudice adito procede in via incidentale a tutti gli accertamenti preliminari rispetto alla risoluzione della controversia pendente innanzi a sè, salvo che, “per legge o per esplicita domanda di una delle parti”, sia necessario “decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene alla competenza per materia o per valore alla competenza di un giudice superiore”, nel qual caso “rimette tutta la causa a quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui”.

Va premesso, al riguardo, che questa Corte ha ormai consolidato il principio di diritto secondo cui le prestazioni erogate dal Fondo di garanzia gestito dall’INPS hanno natura previdenziale e non retributiva (così, tra le più recenti, Cass. n. 25016 del 2017): si tratta infatti di obbligazioni affatto autonome rispetto a quelle gravanti sul datore di lavoro e inserite nell’ambito di un rapporto assicurativo contributivo-previdenziale, ancorchè nella loro misura coincidenti, per ciò che specialmente riguarda il TFR, con le obbligazioni di cui è debitore il datore di lavoro, di talchè il loro sorgere è connesso ad un fatto costitutivo differente rispetto a quello che ne media la genesi nell’ambito del rapporto di lavoro.

Più precisamente, per ciò che riguarda il pagamento del TFR (rectius: della prestazione previdenziale modulata sul TFR spettante al lavoratore assicurato), tale fatto costitutivo consiste non già nella cessazione del rapporto di lavoro, ma nel verificarsi dei presupposti previsti dalla L. n. 297 del 1982, art. 2, che sono rispettivamente, da un lato, la verifica del credito del lavoratore mediante l’insinuazione al passivo del fallimento del datore di lavoro (art. 2, commi 2 ss.) e, dall’altro lato, qualora il datore di lavoro non sia soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, il previo esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito, da cui risulti l’insufficienza, totale o parziale, delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro stesso (art. 2, comma 5).

Con riguardo a tale ultima fattispecie, che è quella che rileva ai fini del presente giudizio, questa Corte ha precisato che l’espressione “non soggetto alle disposizioni del R.D. 16 marzo 1942, n. 267”, di cui all’art. 2, comma 5, cit., va interpretata nel senso che l’azione nei confronti del Fondo di garanzia deve trovare ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi perchè appartenente ad una categoria di imprenditori non sottoponibili neanche in abstracto ad una procedura concorsuale, vuoi perchè, in concreto, il fallimento non è o non è più esperibile per ragioni oggettive (cfr. fra le più recenti, Cass. n. 24767 del 2017), tra le quali rilevano adesso quelle di cui alla L.Fall., art. 1, comma 2, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 1, comma 1.

Ciò premesso, è evidente che, rispetto alla domanda giudiziale concernente la prestazione previdenziale cui è tenuto il Fondo di garanzia, la verifica della non assoggettabilità del datore di lavoro alle procedure concorsuali costituisce una tipica questione pregiudiziale in senso logico, che nessuna norma di legge impone che debba essere definita con efficacia di giudicato; di più, è una questione che nessuna delle parti del processo potrebbe validamente chiedere che sia decisa con efficacia di giudicato, dal momento che, svolgendosi la controversia previdenziale tra il lavoratore assicurato e l’ente previdenziale chiamato al pagamento ed essendo il datore di lavoro terzo estraneo a tale vicenda, l’accertamento che in essa dovesse essere compiuto circa la sua non assoggettabilità a fallimento non potrebbe mai far stato nei suoi confronti, in considerazione dei limiti soggettivi del giudicato stesso.

Non induce a diverse conclusioni l’argomentazione di Cass. n. 21734 del 2018, cit., che, al fine di affermare il necessario previo adito del giudice fallimentare, valorizza la circostanza che determinate situazioni che in concreto legittimerebbero l’esclusione della procedura concorsuale (quali, nel caso ivi deciso, “una soglia di rilevanza dell’insolvenza riferita all’indebitamento complessivo dell’impresa e non alla posizione del creditore istante per il fallimento”) possono essere accertate soltanto in sede fallimentare, cioè con il concorso degli altri creditori: questo è piuttosto un problema di prova, nel senso che, ad es., non si potrebbe ritenere provata la non assoggettabilità a fallimento di un imprenditore commerciale sulla base della mera allegazione, da parte del lavoratore assicurato che chieda l’intervento del Fondo, di un credito di importo inferiore alla soglia definita dalla L.Fall., art. 15, u.c.; in questo senso, anzi, va senz’altro rimarcato che il lavoratore assicurato, che adducendo una situazione di concreta non assoggettabilità al fallimento del proprio datore di lavoro chieda l’intervento del Fondo di garanzia, resta pur sempre onerato della prova delle circostanze costitutive del fatto che ha dato luogo al sorgere del rapporto previdenziale, tra le quali appunto la non assoggettabilità a fallimento del proprio datore di lavoro, sia essa predicabile in abstracto o in concreto, e il mancato o insufficiente assolvimento di tale onere non potrà che comportare il rigetto della domanda.

Il ricorso, pertanto, va accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà in conformità, disponendo, altresì, per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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