Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1153 del 18/01/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 1153 Anno 2018
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26911/2010 RG proposto da
— Consorzio per lo sviluppo dell’Elettronica e dell’Automazione
Società Consortile per Azioni, rappresentata e difesa dall’Avv. Claudio
Pellicciari, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Aterno,
n. 9;

ricorrente

contro
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale
dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

con troricorrente

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del
Piemonte, n. 25/1/10 depositata il 1 marzo 2010.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 ottobre 2017

Data pubblicazione: 18/01/2018

dal Consigliere Emilio Iannello.

Rilevato in fatto
1. La C.S.E.A. — Consorzio per lo sviluppo dell’Elettronica e
dell’Automazione Società Consortile per Azioni ricorre, con quattro
mezzi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate (che resiste con
controricorso), avverso la sentenza in epigrafe con la quale la

essa proposto, ritenendo legittimo l’avviso di accertamento con il quale
l’Ufficio, sulla base di p.v.c. della Guardia di Finanza, ha contestato la
mancata effettuazione delle ritenute Irpef sui compensi pagati nel 2000
al legale rappresentante, Renato Perone.
L’accertamento muoveva dal rilievo che, come riscontrato dai
verificatori, il Perone, amministratore delegato della Ibis S.r.l. e azionista
di maggioranza della CSEA, era stato designato proprio dalla Ibis a
ricoprire la carica di consigliere di amministrazione di quest’ultima
società, la quale lo aveva quindi nominato suo vicepresidente e
amministratore delegato, deliberando gli emolumenti spettanti; questi
però, in virtù di un accordo tra le due società, erano versati non al
Perone ma, in base a fatture con Iva e senza applicazione di ritenuta
d’acconto, alla Ibis.
Secondo la C.T.R. il versamento alla Ibis, con le descritte modalità,
non faceva venir meno la natura di compenso di lavoro autonomo,
atteso che gli importi a tale titolo erogati risultavano nella piena
disponibilità del predetto «in quanto venivano impiegati per la gestione
dei beni mobili ed immobili di proprietà dei familiari nonché soci della
Ibis o ad essi riconducibili ed utilizzabili dall’amministratore ed ai soci per
fini privati».

Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di ricorso la società contribuente denuncia vizio
di motivazione nonché violazione degli artt. 24 e 25 d.P.R. 29 settembre
1973, n. 600, in relazione agli artt. 360, comma primo, nn. 5 e 3, cod.
proc. civ., per avere la C.T.R. ritenuto sussistente il presupposto

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Commissione tributaria regionale del Piemonte ha rigettato l’appello da

dell’applicazione delle richiamate disposizioni, vale a dire la disponibilità
dei compensi da parte del Perone.
Rileva che, in base a specifici accordi tra le due società, il versamento
dei compensi spettanti a quest’ultimo veniva erogato alla Ibis S.r.l. e che
era questa — e non essa ricorrente — a riconoscere un compenso al
predetto per l’attività svolta sia presso la medesima Ibis S.r.l., sia presso

all’utilizzo di tali somme da parte della Ibis S.r.l. costituiscono fatti
puramente interni a quest’ultima, ai quali CSEA era del tutto estranea e
che non erano da questa conoscibili né controllabili; che anche
l’eventuale — ma mai dimostrata — natura di società di comodo della
Ibis S.r.l. non avrebbe potuto avere alcun rilievo rispetto alla posizione
di essa ricorrente, in quanto estranea e all’oscuro delle vicende interne
all’altra società.
2.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ancora vizio di

motivazione ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.,
nonché violazione dell’art. 2 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, ai sensi
del num. 3 della medesima disposizione.
Sotto il primo profilo lamenta che contraddittoriamente i giudici
d’appello hanno ritenuto dovuto il versamento della ritenuta d’acconto
pur riconoscendo che non essa ricorrente, bensì la Ibis S.r.l., aveva
versato i compensi al Perone, omettendo di spiegare la ragione per la
quale CSEA debba rispondere di una condotta sostanzialmente riferibile
ad altri.
Lamenta quindi che, così decidendo, la C.T.R. è incorsa anche in
violazione del principio, valevole anche in materia tributaria ai sensi del
richiamato art. 2 d.lgs. n. 472 del 1997, di responsabilità personale e del
correlato divieto di responsabilità per fatto altrui.
3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta poi omessa pronuncia sul
motivo d’appello con il quale si rappresentava il contrasto tra la sentenza
di primo grado e altra pronuncia resa dalla C.T.P. di Torino (n.
105/22/06), poi confermata anche in grado d’appello (C.T.R. Piemonte,

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la CSEA, con regolare contabilizzazione; che le ulteriori vicende in ordine

sent. n. 48/30/08) che aveva deciso in modo diametralmente opposto la
medesima questione, ancorché con riferimento ad altro anno d’imposta,
prospettando sotto tale profilo anche vizio di motivazione per non avere
la C.T.R. accennato neppure ad una argomentazione in ordine al
rappresentato contrasto giurisprudenziale.
4. Con il quarto motivo la ricorrente infine denuncia violazione di

compensazione delle spese processuali. Sostiene che, attesa la
soccombenza, coerenza logica avrebbe imposto una consequenziale
condanna di essa ricorrente alle spese del giudizio e che la diversa
statuizione adottata sul punto dimostra che i giudici d’appello hanno
avuto non poche perplessità nel confermare la sentenza di primo grado.
5. I primi due motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili per la
loro intima connessione, sono infondati con riferimento a tutti i profili
dedotti (in parte sovrapponibili).
Non sussiste la violazione di legge dedotta con il primo motivo,
avendo il giudice avallato l’atto impositivo sulla base di una ricostruzione
della fattispecie in termini di interposizione fittizia che ha consentito ad
essa di riconoscere negli importi erogati per le prestazioni rese dal Dott.
Perone nella sua qualità di vicepresidente del consiglio di
amministrazione e amministratore delegato, di fatto — al di là della
imputazione formale dei versamenti all’altra società, quali compensi
reversibili — redditi dello stesso, in quanto entrati nella sua piena e
diretta disponibilità o di suoi familiari, per fini privati.
La censura contestualmente mossa rispetto a siffatto accertamento
si appalesa altresì inammissibile, omettendo di evidenziare fatti
controversi e decisivi che possono ritenersi non considerati dai giudici di
merito.
Tale in particolare non può considerarsi la dedotta estraneità della
contribuente a quelle che il contribuente afferma essere vicende interne
in ordine all’utilizzo delle somme versate a Ibis.
Occorre al riguardo rammentare che la denuncia ex art. 360 n. 5

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legge, nonché vizio di motivazione, con riferimento alla disposta

c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis,

successivo al d.lgs. n. 40

del 2006 e anteriore alla I. n. 134 del 2012) deve specificare il «fatto»
controverso e decisivo in relazione al quale la motivazione si assume
viziata, dovendosi intendere per «fatto» non una questione trattata o un
punto deciso, ma un vero fatto, principale o secondario (Cass. 5
febbraio 2011, n. 2805; Cass. 27 luglio 2012, n. 13457).

motivazione della sentenza impugnata, ancorché succinta, postula la
consapevolezza della diversa formale imputazione dei versamenti nonché
della distinta soggettività degli enti coinvolti, ma nondimeno giunge a
una ricostruzione sostanzialistica della vicenda e con essa alla
individuazione della effettiva natura dei versamenti e alla identificazione
del soggetto che ne costituisce effettivo percettore, attraverso una
congrua e come tale insindacabile lettura degli elementi risultanti degli
accertamenti compiuti dai verificatori.
La doglianza piuttosto investe l’esito globale del ragionamento
decisorio, ciò che tradisce l’attesa di una rinnovazione decisoria
estranea alla funzione istituzionale del giudice di legittimità (Cass. 28
marzo 2012, n. 5024; Cass. 7 gennaio 2014, n. 91).
Ne discende, in tale prospettiva, l’insussistenza anche della dedotta
violazione del principio di responsabilità personale in materia tributaria,
consentendo l’operata ricostruzione di riconoscere nella contribuente una
piena partecipazione all’operazione (resa innegabile dalla coincidenza tra
organo rappresentativo della società erogatrice dei compensi e soggetto
che ne risulta all’effettivo percettore).
6. Il terzo motivo è inammissibile nella parte in cui denuncia vizio di
omessa pronuncia, in quanto contraddetto dalla contestuale
prospettazione, in relazione alla medesima questione, anche di vizio di
motivazione (v. Cass. 01/06/2007, n. 12886).
Nel caso di specie, peraltro, come evidenziato anche in ricorso, la
sentenza impugnata enumera espressamente tra gli argomenti difensivi
riproposti in appello anche quello in questione, ma lo considera per

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La ricorrente omette una siffatta indicazione, e per contro la

l’appunto tale e di fatto ad esso non assegna nel ragionamento decisorio
alcun peso, il che è scelta ove del caso sindacabile semmai sul piano
della congruità della motivazione piuttosto che quale omessa pronuncia.
Ciò posto, è anche da escludere che nel caso possa in concreto
ravvisarsi vizio di motivazione, non potendo certamente riconoscersi al
mero contrasto con altri precedenti di merito rilievo di fatto decisivo, sia

giudicato, sia perché, quand’anche ciò sia avvenuto, si tratterebbe di
giudicati che non esplicano alcun vincolo nella presente sede, in quanto
relativi a diversi periodi d’imposta e non incidenti su fatti che abbiano
caratteristica di durata e che non siano variabili da periodo a periodo (v.
Cass. Sez. U 16/06/2006, n. 13916).
7. È infine palesemente inammissibile il quarto motivo per difetto di
interesse.
È appena il caso infatti di notare che la parte soccombente non ha
alcun motivo di dolersi della compensazione delle spese anziché della
sua stessa condanna alla loro rifusione in favore della controparte.
8. Il ricorso va in definitiva rigettato, con la conseguente condanna
della ricorrente al pagamento, in favore di controparte, delle spese
processuali.

P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore
della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità
liquidate in euro 4.500 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso il 25/10/2017
Il Presidente
(Aurelio a pabianca)

perché non risulta nemmeno dedotto che su di essi si sia formato il

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