Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11527 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. I, 15/06/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 15/06/2020), n.11527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8677-2018 r.g. proposto da:

(OMISSIS) s.r.l. in liquidazione (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona

del legale rappresentante pro tempore il liquidatore Dott.

T.F., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in

calce al ricorso, dall’Avvocato Francesco Poggiali, con cui

elettivamente domicilia in Roma, Via Giovanni Antonio Plana n. 4,

presso lo studio professionale Associato Panini & Bucciarelli;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione (cod. fisc. (OMISSIS)),

con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore il curatore fallimentare Dott. S.R.,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al

controricorso, dall’Avvocato Nunzia Basile, con la quali

elettivamente domicilia in Roma, a Largo Apuleio n. 15, presso lo

studio dell’Avvocato Sara D’Onofrio;

– controricorrente –

contro

P.M. e V.F.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, depositata in

data 12.2.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

4/3/2020 dal Consigliere Dott. AMATORE Roberto.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Firenze ha rigettato il reclamo proposto, ai sensi della L.Fall., art. 18, da (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione nei confronti della curatela della predetta società fallita, nonchè nei confronti di P.M. e V.F. (creditori istanti), confermando pertanto la sentenza, emessa in data 18 ottobre 2017, dal Tribunale di Siena, con la quale era stato dichiarato il fallimento della predetta società debitrice, dopo aver peraltro dichiarato inammissibile la proposta di concordato dalla stessa società presentata al tribunale senese.

La corte del merito ha rilevato che: a) l’impresa debitrice aveva, invero, proposto domanda di concordato preventivo con riserva, L.Fall., ex art. 161, comma 6 e il Tribunale aveva, poi, assegnato un primo termine di giorni sessanta per il deposito della proposta di concordato, nominando commissario giudiziale il Dott. S. e disponendo, altresì, entro quindici giorni, il deposito della somma di 13.000 Euro, come acconto del compenso del professionista nominato e delle spese generali del procedimento; b) il Tribunale aveva, inoltre, concesso due proroghe per consentire il deposito della richiesta fideiussione, a garanzia del pagamento del fondo spese; c) alla scadenza del termine, la società (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione aveva chiesto una proroga di ulteriori 60 giorni del termine per la presentazione del piano concordatario, richiesta rigettata dal Tribunale per il mancato deposito della polizza assicurativa; d) più in particolare, il Tribunale aveva evidenziato che, con riguardo alla possibilità dell’intervento di un soggetto “assuntore”, disponibile, cioè, a garantire ai creditori privilegiati e chirografari una percentuale superiore a quella che avrebbero ricavato nell’alternativa ipotesi di fallimento, non era stato indicato dalla società proponente nè il nome dell’assuntore nè la capacità economico-patrimoniale e finanziaria di quest’ultimo, non essendo stata depositata nei termini documentazione che certificasse l’impegno dell’assuntore; e) in ordine al contestato stato di insolvenza, il complesso immobiliare di proprietà della società debitrice era da tempo assoggettato ad esecuzione immobiliare, costituendo, in concreto, l’unica posta attiva patrimoniale contenuta nel bilancio sociale e risultando peraltro apposta in bilancio per un valore di oltre 3 milioni di Euro, valore lontano da quello di mercato e dal prezzo di offerta di vendita nella procedura esecutiva immobiliare; f) la debitoria complessiva ammontava ad Euro 6 milioni, come da elenco dei debitori depositato dalla stessa società debitrice nella proposta di concordato con riserva; g) la società debitrice non era stato neanche in grado di fornire la garanzia per il pagamento dell’acconto sulle spese del concordato per la esigua somma pari ad Euro 13.000, con ciò confermando lo stato di insolvenza della reclamante; h) non erano state allegate da parte della società reclamante circostanze idonee a far ritenere che la pluralità dei giudizi in corso potessero apportare maggiori benefici ai creditori laddove le predette cause civili fossero proseguite nella sede concordataria, piuttosto che in quella fallimentare.

2. La sentenza, pubblicata il 12.2.2018, è stata impugnata da (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione ha resistito con controricorso.

La parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 5. Osserva la ricorrente che, ai fini della valutazione dello stato di insolvenza, per le imprese operative sul mercato è richiesto un giudizio di prognosi sulla capacità dell’imprenditore di attrarre credito, monitorata per un determinato e apprezzabile arco temporale, ovvero sulla sua capacità di continuare ad operare proficuamente sul mercato, a differenza, invece, di un’impresa in liquidazione (come nel caso di specie), ove l’accertamento dello stato di insolvenza deve essere scrutinato avendo riguardo alle finalità tipiche della fase di liquidazione, e cioè tramite un giudizio essenzialmente statico (e non dinamico, come nel primo caso). Si evidenzia che la corte territoriale aveva disatteso tale principio, per come affermato costantemente dalla giurisprudenza di legittimità, non avvedendosi, peraltro, che la società reclamante non aveva debiti nei confronti dei propri dipendenti (come tali da soddisfare in privilegio) e che i debiti maturati nei confronti di P. e V. erano, al contrario, direttamente collegati all’inadempimento contrattuale operato da Banca Etruria, con la quale la reclamante aveva intrecciato un contenzioso giudiziale di carattere risarcitorio. Si evidenzia ancora che non vi era stato alcun serio esame da parte della corte distrettuale dei bilanci depositati nè della situazione contabile della società per verificare la sussistenza dello status di insolvenza e che tale condizione doveva essere valutata anche alla luce dei crediti risarcitori azionati nei confronti della Banca Etruria, in relazione ai quali era ipotizzabile una soluzione transattiva relativamente alle contrapposte pretese. Osserva ancora la ricorrente che la debitoria indicata dalla corte fiorentina (sei milioni di Euro) non corrispondeva alla realtà dei fatti, posto che l’unico ingente debito indicato nei bilanci era quello contratto con il predetto istituto di credito, per il quale era tuttavia prevedibile una soluzione transattiva.

2. Il secondo mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza per omessa valutazione delle prove documentali offerte, ai sensi dell’art. 116 c.p.c.. Si evidenzia che era stata omessa dalla corte territoriale qualsiasi valutazione in merito alla effettiva situazione contabile risultante dai bilanci depositati ed alla situazione aggiornata dei debiti nei confronti del ceto creditorio bancario.

3. Con il terzo motivo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, un vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 94, codice di rito, non risultando sussistenti i gravi motivi previsti dalla norma citata per la condanna del legale rappresentante della società fallita.

4. Il ricorso è infondato.

4.1 Il primo motivo è, in parte infondato, e, in altra parte, inammissibile.

4.1.1 Sotto il primo profilo, giova ricordare che è principio costantemente affermato in giurisprudenza quello secondo cui – quando la società è in liquidazione – la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione della L.Fall., art. 5, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13644 del 30/05/2013; Cass. n. 21834-2009; cfr. anche Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25167 del 07/12/2016; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 19414 del 03/08/2017).

4.1.2 Ciò posto, osserva la Corte come non risponda al vero la doglianza secondo cui il provvedimento qui impugnato non si sarebbe attenuto al principio di diritto qui riaffermato per il corretto scrutinio delle condizioni legittimanti la declaratoria di insolvenza delle società in liquidazione, atteso che la corte fiorentina, con valutazione in fatto qui non censurabile, ha espresso proprio un giudizio di tipo comparativo-statico tra le poste patrimoniali attive della società debitrice (costituite, in buona sostanza, dal solo immobile oggetto di esecuzione immobiliare il cui valore doveva essere apprezzato in quello della base d’asta della vendita fallimentare – Euro 457.000 – a fronte del diverso valore dichiarato nella sede concordataria, per come appostato in bilancio, e cioè Euro 3 milioni); e quelle passive (consistenti in una debitoria di elevatissimo importo, e cioè un’esposizione debitoria pari ad oltre 6 milioni di Euro, per come risultante dall’elenco dei creditori allegato dalla stessa società debitrice nel ricorso per l’accesso alla soluzione concordata della crisi).

Ne consegue che – senza voler entrare nel merito delle valutazioni rimesse all’esclusivo apprezzamento dei giudici delle precedenti fasi di giudizio – lo squilibrio risultava palese e manifesto, proprio alla luce di quel giudizio comparativo di carattere statico sopra ricordato e correttamente applicato dalla corte fiorentina anche nel caso di specie.

4.1.3 Le ulteriori doglianze articolate dalla ricorrente, nel primo motivo di censura, risultano invece inammissibili, per come formulate.

4.1.3.1 Sotto un primo profilo di osservazione, va evidenziato come il denunciato omesso esame delle risultanze di bilancio (come tali idonee – in ipotesi – a determinare un diverso apprezzamento dello stato di insolvenza) non sia stato allegato da parte della ricorrente ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quanto piuttosto sempre sotto l’egida del vizio di violazione di legge, risultando, già sotto tale preliminare profilo, la doglianza irricevibile.

Sul punto non è inutile ricordare che, secondo la giurisprudenza di vertice espressa da questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

4.1.3.2 Sotto altro profilo, va evidenziato come le ulteriori censure relative all’apprezzamento dell’entità complessiva della debitoria riscontrata attingano, invero, il merito della decisione e l’apprezzamento delle prove rimesso all’esclusivo giudizio dei giudici del merito e come tali non possono essere ricevute in questo giudizio di legittimità.

Sul punto, va ulteriormente ricordato che, in tema di ricorso per cassazione, la deduzione avente ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione ed è, pertanto, inammissibile ove trovi applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012 (Sez. 6 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018). Più precisamente, la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non consente, comunque, alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito.

Va aggiunto, a conclusione del discorso, come nel primo motivo la parte ricorrente non abbia neanche dedotto un vizio di motivazione, oggi proponibile nelle ristrette maglie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quanto piuttosto il vizio di violazione di legge, in relazione al parametro normativo di cui alla L.Fall., art. 5.

4.2 Il secondo motivo risulta essere del pari inammissibile perchè, da un lato, è volto di nuovo a sollecitare la Corte di legittimità ad uno scrutinio della documentazione richiamata (situazione contabile della società fallita) al fine di accreditare un diverso (e più favorevole giudizio) in ordine alla valutazione dello stato di insolvenza dell’odierna ricorrente e perchè, dall’altro, non corrisponde neanche al vero il denunciato vizio di omesso esame della documentazione sopra ricordata, avendo la corte fiorentina esaminato la documentazione contabile della fallita (peraltro, allegata da quest’ultima anche in sede di presentazione della domanda di concordato con riserva), apprezzandola, con giudizio in fatto, nel senso sopra chiarito.

4.3 Il terzo motivo è invece inammissibile, in ragione della sua evidente genericità di formulazione, non avendo spiegato la ricorrente le ragioni per le quali la corte territoriale sarebbe incorsa nella denunciata violazione dell’art. 94 c.p.c., nella condanna alle spese del legale rappresentante della fallita.

Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della curatela controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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