Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11527 del 03/06/2016

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2016, (ud. 04/02/2016, dep. 03/06/2016), n.11527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.F., – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso

giusta procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato LACERRA

Salvatore ed elettivamente domiciliato in ROMA, AL VIALE BRUXELLES,

N. 27, presso lo studio dell’avvocato SOLE Biagio.

– ricorrente –

contro

PLASTIC COMPONENTS and MODULES AUTOMOTIVE s.p.a., (quale

incorporante la “Sistemi Comandi Meccanici, S.C.M. s.p.a. (già

“OREB” s.p.a.)) – p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa giusta procura

speciale in calce al controricorso dall’avvocato DE BONIS Raffaele

ed elettivamente domiciliata in ROMA, alla VIA S. ILARIA, N. 2,

presso lo studio dell’avvocato DELLA VALLE Maria Federica.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 195 dei 13/24.7.2012 della corte d’appello di

Potenza;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 4

febbraio 2016 dal Consigliere Dott. ABETE Luigi;

Udito l’avvocato SOLE Biagio, per delega dell’avvocato LACERRA

Salvatore, per il ricorrente;

Uditi l’avvocato LONGO Feliciano, per delega dell’avvocato DE

BONIS Raffaele, per la controricorrente.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al presidente del tribunale di Potenza C.F. esponeva che aveva svolto attività professionale su incarico e per conto della “OREB” s.p.a.; che la committente non aveva provveduto al saldo delle residue sue spettanze, relative al periodo luglio 1982 – dicembre 1986 e pari a Lire 278.975.776.

Chiedeva ingiungersi alla “OREB” il pagamento della somma insoluta.

Con Decreto n. 148 del 1987 il presidente del tribunale pronunciava l’invocata ingiunzione.

Con atto di citazione notificato in data 18.4.1987 la “OREB” proponeva opposizione.

Tra l’altro contestava lo svolgimento dell’attività di amministrazione del personale da parte del ricorrente e deduceva di avergli corrisposto integralmente quanto dovuto mercè il versamento dell’importo mensile di Lire 1.000.000 sulla scorta di accordo in precedenza siglato con la medesima controparte.

Chiedeva revocarsi l’opposta ingiunzione.

Costituitosi, il ricorrente instava per il rigetto dell’opposizione.

Con sentenza n. 10109/2007 il tribunale di Potenza accoglieva l’opposizione, revocava l’ingiunzione e condannava l’opposto alle spese di lite.

Interponeva appello C.F..

Resisteva la “Sistemi Comandi Meccanici, S.C.M.” s.p.a. (già “OREB” s.p.a..

Con sentenza n. 195 del 13/24.7.2012 la corte d’appello di Potenza rigettava il gravame e condannava l’appellante a rimborsare all’appellata le spese del grado.

Premetteva la corte distrettuale che, a fronte della contestazione dell’appellata secondo cui le prestazioni dell’appellante erano limitate alle “elaborazioni delle paghe dei dipendenti OREB approntando le relative buste, i modelli previdenziali, quelli fiscali, ecc.” (così sentenza d’appello, pag. 5) e non comprendevano “l’amministrazione del personale prevista dall’art. 2 della tariffa” (così sentenza d’appello, pag. 5), gravava sull’appellante “l’onere di provare di aver eseguito la sua prestazione nei termini indicati nella parcella posta a fondamento dell’ingiunzione” (così sentenza d’appello, pag. 5).

Indi esplicitava che la documentazione prodotta dal C. in prime cure era stata oggetto di espresso disconoscimento e “la mancata istanza di verificazione, prima, e la mancata impugnazione della sentenza sul punto, ora, impedisce qualsiasi ulteriore considerazione” (così sentenza d’appello, pag. 6); che parte appellata aveva “espressamente contestato, con la memoria di replica depositata il 16 maggio 2012, la produzione documentale ulteriore depositata dall’appellante (…) allorquando la causa era già stata rimessa al collegio per la decisione” (così sentenza d’appello, pag.

6).

Esplicitava poi, in ordine all’ammontare del compenso, che rilevavano le missive in data 3.1.1986 e 8.1.1985 prodotte dall’appellata società ed in alcun modo disconosciute dall’appellante, missive al cui cospetto non rivestivano valenza alcuna “le fatture mensili (…) rilasciate a fronte dei pagamenti e (…) l’indagine della C.T.U. espletata in primo grado, della quale correttamente il Giudice di prime cure non ha tenuto conto, non potendo la consulenza supplire al difetto di attività probatoria della parte” (così sentenza d’appello, pag. 8).

Esplicitava, infine, che non meritavano seguito le ulteriori argomentazioni con cui l’appellante ambiva a fornire dimostrazione per via indiziaria e presuntiva delle sue prospettazioni.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso C.F.; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

La “Plastic Components and Modules Automotive” s.p.a. (quale incorporante la “(OMISSIS)” s.p.a.) ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Del pari ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. la controricorrente s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 116 c.p.c. e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5” (così ricorso, pag. 2).

Adduce che “la consulenza tecnica d’ufficio ammessa e espletata ben ha evidenziato, sulla scorta della documentazione prodotta in primo grado (…), come l’attività svolta dal ricorrente era quella portata e richiesta con il decreto ingiuntivo opposto” (così ricorso, pag. 3); che, del resto, se “al consulente è conferito l’incarico di accertare fatti non altrimenti accertabili che con l’impiego di tecniche particolari, il consulente è percipiente, la consulenza costituisce fonte diretta di prova ed è utilizzabile al pari di ogni altra prova ritualmente acquisita al processo” (così ricorso, pagg. 4 – 5); che, d’altra parte, “è nel potere discrezionale del giudice disattendere le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio (…), purchè disponga di elementi istruttori e di cognizione proprie, (…) sufficienti a dar conto della decisione adottata” (così ricorso, pagg. 3 – 4).

Il ricorso è destituito di fondamento.

Si rileva previamente che, a rigore, il motivo di ricorso si specifica e si qualifica esclusivamente in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Occorre tener conto, da un lato, che C.F. censura sostanzialmente il giudizio di fatto cui la corte distrettuale ha atteso (del resto il ricorrente deduce testualmente: “la motivazione, con la quale il giudice del merito disattende la consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio, è soggetta al sindacato (…) nei limiti della congruità e correttezza logico giuridica”: così ricorso, pag. 5).

Occorre tener conto, dall’altro, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi –

violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa).

Si rileva altresì che, alla luce, per un verso, dell’analitica enunciazione – dianzi operata – delle formulate ragioni di censura, alla luce, per altro verso, delle motivazioni – in precedenza rappresentate – alla cui stregua la corte distrettuale ha disconosciuto ogni fondamento al motivo d’appello rubricato “In merito alla mancata prova della pretesa di controparte” (cfr. al riguardo sentenza d’appello, pag. 4), è ben evidente che il ricorso non si correla puntualmente alla ratio decidendi (cfr. Cass. 17.7.2007, n. 15952, secondo cui i motivi di ricorso per cassazione devono connotarsi, a pena di inammissibilità, in conformità ai requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata).

Il ricorrente avrebbe dovuto far segno di specifica e puntuale censura le surriferite affermazioni della corte territoriale, segnatamente – si reitera – le affermazioni alla cui stregua la corte di Potenza non ha inteso attribuire valenza alcuna alla documentazione prodotta dall’appellante, attuale ricorrente, e in prime e in seconde cure.

Si rileva inoltre che, in ossequio al canone di cosiddetta “autosufficienza” del ricorso per cassazione (cfr. Cass. sez. lav.

4.3.2014, n. 4980), quale positivamente sancito all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), ben avrebbe dovuto il ricorrente, onde consentire a questa Corte il compiuto riscontro, il compiuto vaglio dei suoi assunti, riprodurre più o meno integralmente nel corpo del ricorso il testo della relazione di consulenza tecnica d’ufficio.

E ciò tanto più giacchè C.F. ha assunto che l’espletata consulenza tecnica avrebbe avuto carattere “percipiente”, ovvero che al consulente era stato “conferito l’incarico di accertare fatti non altrimenti accertabili che con l’impiego di tecniche particolari” (così ricorso, pag. 4).

Si rileva comunque che con la spiegata impugnazione il ricorrente null’altro prospetta se non un’asserita migliore e più appagante valutazione degli esiti dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio (“la consulenza tecnica d’ufficio ammessa e espletata ben ha evidenziato (…) come l’attività svolta dal ricorrente era quella portata e richiesta con il decreto ingiuntivo opposto”: così ricorso, pag. 3).

Il motivo, dunque, involge gli aspetti del giudizio – interni al discrezionale ambito di valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento dei fatti – afferenti al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di siffatto convincimento rilevanti nel segno dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il motivo del ricorso, pertanto, si risolve in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394;

altresì Cass. sa. lav. 7.6.2005, n. 11789).

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di merito risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente esaustivo e congruo sul piano logico –

formale.

Si ribadisce in particolare che la corte distrettuale ha – tra l’altro – attribuito peculiare significato alle missive in data 3.1.1986 ed 8.1.1985 prodotte dall’appellata società e, sulla scorta delle risultanze della documentazione suscettibile di rivestir valenza, ha considerato superflua l’indagine espletata dall’ausiliario officiato in prime cure.

Evidentemente, in tal guisa, il giudice d’appello non ha inteso reputar “percipiente” l’esperita c.t.u..

Del tutto ingiustificate, quindi, sono le deduzioni del ricorrente secondo cui “nella specie la corte di merito non ha verificato se si vertesse in un’ipotesi, nella quale la prova dei fatti potesse essere acquisita solo con l’impiego di particolari cognizioni tecniche ed, in caso affermativo, se la parte gravata dall’onere di provarli, ne avesse allegato l’esistenza” (così ricorso, pag. 5); che “solo se la verifica si fosse conclusa negativamente, avrebbe potuto escludere che la c.t.u. espletata costituisse valida fonte di prova” (così ricorso, pag. 5).

Il rigetto del ricorso giustifica la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

Si dà atto che il ricorso è stato notificato in data 24.10.2013.

Ne discende, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che il rigetto dell’impugnazione determina l’obbligo per il ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente C.F. a rimborsare alla controricorrente “Plastic Components and Modules Automotive” s.p.a. (quale incorporante la “Sistemi Comandi Meccanici, S.C.M.” s.p.a.) le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, che il rigetto dell’impugnazione determina l’obbligo per il ricorrente C.F. di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sez. Sesta Civ. – Sottosezione 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 4 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2016

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