Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11526 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. I, 30/04/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 30/04/2021), n.11526

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1266-2019 r.g. proposto da:

W.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Antonio

Almiento, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Oria

(Brindisi), Vico Torre S. Susanna n. 18;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex

lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Lecce, depositato in data

23.11.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/1/2021 dal Consigliere Dott. Amatore Roberto.

 

Fatto

RILEVATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Lecce ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da W.S., cittadino del Ghana, dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: 1) di essere nato a Baku e di essersi successivamente trasferito a Gyamassi (Ghana) all’età di dodici anni, di appartenere al gruppo etnico kusasi e di professare la religione musulmana; 2) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perchè responsabile di un incidente stradale a causa del quale erano morte cinque persone, temendo pertanto la vendetta dei familiari delle vittime.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, in quanto non ricorrevano i presupposti applicativi per il riconoscimento del predetto status e, quanto alla richiesta protezione sussidiaria, sia in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto sia in relazione al fatto che il ricorrente non aveva allegato, come pericolo di danno grave, la possibile carcerazione in Ghana quanto piuttosto solo la vendetta privata dei parenti delle vittime del sinistro stradale; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Ghana, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perchè il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano nè una condizione di soggettiva vulnerabilità determinata dalla compressione dei diritti umani fondamentali della persona nel paese di provenienza.

2. Il decreto, pubblicato il 23.11.2018, è stato impugnato da W.S. con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, in ordine alla valutazione di non credibilità del racconto e alla violazione del principio dell’onere della prova attenuato.

1.1 Il motivo per come formulato è inammissibile.

1.1.1 Sul punto è necessario ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Più precisamente, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).

Orbene, osserva la Corte come, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretenda, ora, un’inammissibile rivalutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente e del giudizio di complessiva attendibilità di quest’ultimo, profilo che è irricevibile in questo giudizio di legittimità perchè non dedotto nel senso sopra chiarito e perchè comunque rivolto ad uno scrutinio di merito delle dichiarazioni che invece è inibito al giudice di legittimità.

2.Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per omesso esame del ricorrente, con conseguente nullità del decreto impugnato e del relativo procedimento.

2.1 Il motivo è anch’esso inammissibile.

2.1.1 Giova ricordare che, secondo un orientamento espresso recentemente da questa Corte (cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa, condividendone le ragioni), in riferimento alla mancata audizione del richiedente in sede giurisdizionale in caso di procedimento D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020; in senso conforme, anche Sez. 1, Sentenza n. 22049 del 13/10/2020, secondo cui verbatim “il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza”).

2.1.2 Ciò posto, le doglianze articolate dal ricorrente sul punto qui in discussione sono inammissibili perchè formulate in modo del tutto generico, non avendo il richiedente spiegato e specificato, nel presente ricorso per cassazione, i fatti a suo tempo dedotti a fondamento dell’istanza di audizione avanzata innanzi ai giudici del merito e non avendo neanche dedotto la rilevanza ed utilità del predetto mezzo istruttorio.

3. Il terzo mezzo deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e della direttiva 2004/83/CE, nonchè vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in ordine al mancato approfondimento istruttorio officioso.

3.1 I motivo è inammissibile in quanto il ricorrente dimentica le rationes decidendi poste a sostegno del diniego della richiesta protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b, e cioè, da un lato, la valutazione di non credibilità del racconto del richiedente protezione (profilo – secondo quanto già sopra precisato – non adeguatamente censurato neanche con il primo motivo di ricorso) e, dall’altro, l’allegazione, come danno grave, non già della possibile carcerazione in Ghana quale responsabile del reato di sinistro stradale, quanto piuttosto della possibile ritorsione violenta dei parenti delle vittime, profili quest’ultimi che rendono pertanto irrilevante il richiesto approfondimento istruttorio, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

4. Con il quarto motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, in riferimento al diniego della invocata protezione sussidiaria.

4.1 La censura, per come prospettata dal ricorrente, è inammissibile.

4.1.1 In relazione al diniego della richiesta protezione sussidiaria e alla dedotta violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), denunciata con riguardo al mancato approfondimento istruttorio officioso relativo alla situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, giova ricordare che, alla stregua delle indicazioni ermeneutiche impartite da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014; C-542/13, par. 36; C-285/12; C-465/07), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018).

Il motivo – così articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, – è inammissibile perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna del Ghana, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo peraltro richiamato qualificate fonti informative internazionali.

4.1.2 Quanto al contestato profilo del diniego dell’invocata protezione sussidiaria, articolata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, occorre qui richiamare quanto già sopra osservato, e cioè che la doglianza non considera la ratio decidendi del rigetto della predetta richiesta di tutela che si fonda sulla valutazione di non credibilità del racconto, profilo quest’ultimo che è stato censurato con argomentazioni già ritenute inammissibili in relazione al primo motivo di ricorso.

5. Il ricorrente censura inoltre il decreto impugnato, prospettando una quinta doglianza con la quale declina vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. n. 110 del 2017, nonchè all’art. 10 Cost. e 3Cedu, per non aver riconosciuto il tribunale la richiesta protezione umanitaria in presenza di condizioni ostative all’espulsione dello straniero collegate al rischio di persecuzione nel paese di provenienza.

5.1 Anche in questo caso le censure – peraltro formulate in modo generico e rivolte ad una rivalutazione in fatto dei presupposti applicativi dell’invocata tutela – non si confrontano con le rationes dedidendi poste a sostegno del diniego dell’invocata protezione umanitaria, e cioè l’accertamento, con scrutinio in fatto non più censurabile in questa sede se non nei ristretti termini di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, della mancanza sia del requisito dell’integrazione socio-lavorativa del ricorrente nel contesto italiano sia del requisito di una condizione di soggettiva vulnerabilità collegata ad una possibile situazione di deprivazione dei diritti umani fondamentali nel paese di provenienza, con ciò escludendo che il giudizio di comparazione richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. ss.uu. n. 29459/2019 e Cass. 4455/2018) si potesse risolvere in senso favorevole al richiedente con l’accertamento di una condizione di vulnerabilità qualificata in vantaggio di quest’ultimo.

6. Con il sesto motivo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dell’art. 8 Cedu e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo, sempre in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria. La censura è inammissibile.

6.1 E’ necessario premettere che la giurisprudenza di vertice espressa da questa Corte, negli arresti già sopra ricordati (v. ss.uu. n. 29459/2019) ha fissato il principio secondo cui “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato”. Tale approdo interpretativo costituisce la conferma del precedente orientamento giurisprudenziale rappresentato dalla nota sent. n. 4455/2018, secondo la quale il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza”.

6.1.1 Ciò posto in termini generali, va subito osservato come il tribunale salentino non si sia invero sottratto al giudizio comparativo sopra ricordato, escludendo in radice che tale bilanciamento si potesse risolvere in senso favorevole al richiedente già solo per la mancata dimostrazione da parte di quest’ultimo di un’adeguata integrazione sociale nel paese di accoglienza e comunque per l’assenza di una condizione di soggettiva vulnerabilità collegata ad una situazione di deprivazione del nucleo fondamentale dei diritti umani nel paese di provenienza.

6.2 Sotto altro profilo, la censura è inammissibile anche perchè vorrebbe far ripetere alla Corte di legittimità un nuovo scrutinio sui presupposti fattuali che presidiano il giudizio comparativo sopra evocato, e cioè il grado di integrazione del richiedente nel contesto sociale italiano e la condizione di soggettiva vulnerabilità nel senso sopra chiarito, scrutinio che – come è noto – è inibito a questo giudice.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660/2019.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

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