Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11525 del 25/05/2011
Cassazione civile sez. II, 25/05/2011, (ud. 11/03/2011, dep. 25/05/2011), n.11525
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –
Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
T.N., rappresentato e difeso, per procura speciale a
margine del ricorso, dall’Avvocato GRIMALDI Giovanni, elettivamente
domiciliato in Roma, Via P. Borsieri n. 20, presso lo studio
dell’Avvocato Anna Maria Galeazzi;
– ricorrente –
contro
M.D.;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 219 del 2009,
depositata il 10 marzo 2009.
Udita, la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio
dell’11 marzo 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
FINOCCHI GHERSI Renato, il quale nulla ha osservato rispetto alla
relazione.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
che M.D. ha chiesto la condanna di T. N. al pagamento del corrispettivo della vendita di quattro serre della superficie di 480 mq. ciascuna;
che il Tribunale di Trani ha rigettato la domanda, ritenendola meno provata rispetto a quanto sostenuto dal convenuto, il quale aveva affermato di non aver concluso alcun contratto con il M. e di avere invece acquistato circa 2.000 mq. di serre da tale V.P.;
che la Corte d’appello di Bari, con sentenza depositata il 10 marzo 2009, ha invece accolto il gravame del M., ritenendo provata la fornitura delle quattro serre come dallo stesso dedotto in citazione, in assenza di prova di un fatto estintivo del credito;
che T.N. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi;
che l’intimato non ha svolto attività difensiva;
che, ravvisate le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., ai sensi di tale norma è stata redatta la prevista relazione, depositata il 22 dicembre 2010, che è stata notificata alle parti e comunicata al Pubblico Ministero.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:
“… Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 252 e 257 cod. proc. civ., con grave error in procedendo nell’assunzione della prova testimoniale. Il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: Sussiste l’obbligo del giudice, in assenza dell’acquisizione delle dichiarazioni del teste sui rapporti di parentela, affinità, affiliazione o dipendenza con alcuna delle parti oppure interesse nella causa, necessarie, a norma dell’art. 252 cod. proc. civ., al fine di valutare la sussistenza di ragioni di parzialità che possano condizionare la deposizione rendendola inattendibile, di disporre la rinnovazione della prova, a norma dell’art. 257 c.p.c., comma 2, a maggior ragione nel caso in cui le dichiarazioni siano ritenute generiche, stringate od ermetiche, quindi, incapaci di fornire sufficiente quadro dei fatti dedotti in giudizio”.
Il motivo è inammissibile. Il ricorrente si duole infatti di nullità che si sarebbero verificate nell’assunzione delle prove testimoniali nel corso del giudizio di primo grado, ma è noto che “in tema di prova per testimoni, poichè le nullità o decadenze derivanti dalla violazione delle disposizioni contenute nell’art. 244 cod. proc. civ., e segg., hanno natura relativa e sono sanate per acquiescenza delle parti, in quanto sono stabilite dalla legge a tutela dei loro interessi, e non per motivi di ordine pubblico, la nullità per incapacità a testimoniare (art. 246 cod. proc. civ.) deve essere opposta tempestivamente dalla parte interessata secondo le modalità previste dall’art. 157 cod. proc. civ., comma 2” (Cass., n. 20652 del 2009). Il ricorrente, dunque, onde consentire alla Corte di prendere in esame il dedotto vizio, avrebbe dovuto dedurre che in occasione dell’esame di ciascun teste aveva eccepito tempestivamente la nullità della deposizione, vuoi per la sussistenza di un interesse del teste stesso, vuoi per la violazione debile norme in tema di assunzione della prova testimoniale. E nel ricorso non vi è alcun elemento che possa indurre a ritenere che dette eccezioni siano state tempestivamente formulate.
Quanto poi alla richiesta di rinnovazione delle testimonianze, è appena il caso di rilevare che “l’esercizio del potere di disporre la rinnovazione dell’esame dei testimoni previsto dall’art. 257 cod. proc. civ., esercitabile anche nel corso del giudizio di appello in virtù del richiamo contenuto nell’art. 359, involge un giudizio di mera opportunità che non può formare oggetto di censura in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione” (Cass., n. 9322 del 2010).
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce il vizio di erronea, contraddittoria e insufficiente motivazione nella valutazione di un fatto controverso decisivo per il giudizio in particolare sull’idoneità della dichiarazione acquisita agli atti e riconosciuta dal teste ad integrare le dichiarazioni di questo, quindi ad incidere direttamente sulla valutazione comparativa dell’affidabilità delle prove contrastanti. La Corte d’appello avrebbe errato dapprima nell’escludere che la quietanza richiamata e riconosciuta dal teste V. fosse idonea ad integrarne le dichiarazioni, e nel non porre a fondamento della valutazione comparativa delle prove le risultanze della scrittura riconosciuta dal teste.
Anche questo motivo è inammissibile, risolvendosi esso nella richiesta di una diversa valutazione delle risultanze istruttorie tutte valutate e tenute presenti dalla Corte d’appello in sede di decisione della controversia. La Corte d’appello ha infatti esplicitato le ragioni per le quali non poteva apprezzare la quietanza, trattandosi di documento non opponibile all’appellante, e ha svolto argomentazioni ulteriori volte a dare ragione della prova dell’assunto dell’attore, non tutte puntualmente censurate dal ricorrente; con il che viene meno anche il requisito della decisività del fatto sul quale il ricorrente ritiene che la motivazione della Corte d’appello sia insufficiente o contraddittoria o erronea.
Sussistono quindi le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, essendo il ricorso inammissibile”;
che il Collegio condivide la proposta di decisione ora richiamata, alla quale non sono state rivolte critiche di sorta;
che il ricorso deve quindi essere rigettato;
che non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il data 11 marzo 2011.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2011