Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11523 del 11/05/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. VI, 11/05/2017, (ud. 02/03/2017, dep.11/05/2017),  n. 11523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 702/2016 proposto da:

D.G.L., elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA PRATI DEGLI STROZZI N. 21, presso lo studio dell’avvocato

UMBERTO FLAMINI, rappresentato e difeso dall’avvocato DEBORA DE

LUCA;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ SPA, in persona del procuratore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

SPADAFORA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIORGIO SPADAFORA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 683/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 20/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 02/03/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA

CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. D.G.L. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Pescara, l’Allianz s.p.a. chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni da lui subiti a seguito del furto della propria autovettura assicurata dalla predetta società, del valore di Euro 12.394,97, oltre rivalutazione ed interessi.

Si costituì in giudizio la società di assicurazione, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale rigettò la domanda e condannò l’attore al pagamento delle spese di giudizio.

2. La pronuncia è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 20 maggio 2015, in riforma di quella di primo grado, ha condannato la società di assicurazione al pagamento della somma di Euro 5.165, pari al valore assicurato del veicolo, con gli interessi dal giorno della domanda al saldo, ponendo a carico della parte appellata i due terzi delle spese di entrambi i gradi di giudizio, compensate quanto al residuo terzo.

3. Contro la sentenza d’appello ricorre D.G.L. con atto affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso la s.p.a. Allianz.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c. e non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., rilevando che la Corte di merito avrebbe liquidato un risarcimento troppo basso, posto che era stato dimostrato in giudizio che la vettura, sostanzialmente nuova, aveva un valore di Euro 11.775,21.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Si osserva che la censura è formulata con una tecnica non rispettosa dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), posto che il ricorrente fa riferimento ad una serie di produzioni documentali (attestato di polizza e quietanza premio) senza indicare se e dove essi siano stati depositati e messi a disposizione di questa Corte; in particolare, la censura non specifica quale fosse l’entità del valore per il quale il bene era assicurato contro il furto.

Oltre a ciò, il motivo non contesta la ratio decidendi della sentenza secondo cui il valore di Euro 5.165 corrispondeva al valore per il quale il veicolo era stato effettivamente assicurato (a prescindere, quindi, da quello effettivo).

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1219 e 1224 c.c., lamentando che erroneamente la Corte di merito non abbia riconosciuto la rivalutazione del credito di valore liquidato e la decorrenza degli interessi dalla effettiva data della messa in mora.

2.1. Il motivo non è fondato.

E’ esatto, come il ricorrente rileva, che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che, con riguardo all’assicurazione contro i danni, nel cui ambito va ricondotta l’assicurazione contro il furto o la rapina, il debito d’indennizzo dell’assicuratore, ancorchè convenzionalmente convenuto, nella sua espressione monetaria, nei limiti di un massimale, configura un debito di valore e non di valuta, assolvendo la funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell’assicurato (sentenza 5 gennaio 1991, n. 44, ribadita, tra le altre, dalle successive sentenze 7 maggio 2009, n. 10488, e 28 luglio 2015, n. 15868).

Nel caso di specie, però, tale giurisprudenza non giova al ricorrente, perchè la lacunosità del primo motivo determina il rigetto del secondo. Non risultando quale fosse l’effettivo contenuto della polizza, non è chiaro se la somma riconosciuta dalla Corte d’appello fosse la massima erogabile, costituendo in tal caso un debito non suscettibile di ulteriore rivalutazione; allo stesso modo, la data della presunta messa in mora, rilevante al fine dell’eventuale decorrenza degli interessi da un momento anteriore rispetto a quello della domanda giudiziale (così come riconosciuto in sentenza), risulterebbe da una lettera che è genericamente indicata nel ricorso (p. 12), senza che alcuna verifica sia consentita sul punto a questa Corte.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 91 c.p.c., lamentando che erroneamente la Corte d’appello ha compensato per un terzo le spese del doppio grado di giudizio, che il ricorrente sostiene dovessero essere poste per intero a carico della società di assicurazione.

3.1. Il motivo non è fondato.

La censura – che non è propriamente tale, perchè il ricorrente afferma che l’appello doveva essere accolto integralmente, e da questo deduce che le spese andavano poste per intero a carico della parte soccombente – non considera che la Corte di merito ha valutato, ai fini della compensazione parziale, la circostanza per cui la condanna non era stata pronunciata per l’intera somma richiesta, bensì soltanto per una parte. Quanto, poi, all’entità della liquidazione, la censura è generica, invocandosi solo la pretesa necessità di applicare un diverso scaglione, senza le ulteriori e necessarie contestazioni in ordine ai presunti errori commessi dalla Corte di merito.

4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai parametri introdotti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA