Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11520 del 25/05/2011

Cassazione civile sez. II, 25/05/2011, (ud. 16/03/2011, dep. 25/05/2011), n.11520

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24550/2005 proposto da:

G.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA S TOMMASO D’AQUINO 75, presso lo studio dell’avvocato

GAUDIO DONATELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato GALLUCCI

Vittorio;

– ricorrente –

contro

COOP EDIL SANTA FRANCESCA CHIABRINI A RL IN LIQ IN PERSONA DEL

LIQUIDATORE E AMMINISTRATORE GIUDIZIARIO PRO TEMPORE, COMES SRL IN

PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE PRO TEMPORE;

– intimati –

sul ricorso 28006/2005 proposto da:

COOP EDIL SANTA FRANCESCA CHIABRINI A RL IN LIQ P.I. (OMISSIS) IN

PERSONA DEL LIQUIDATORE RAG. F.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 4, presso lo studio

dell’avvocato MIRABELLI CENTURIONE ALFREDO, rappresentata e difesa

dall’avvocato CARRATELLI GIUSEPPE;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

COMES SRL IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE PROTEMPORE, G.

A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 390/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 13/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/03/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo

del ricorso principale, e il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione dell’11-3-1986 la s.r.l. IMPRESA COMES conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Cosenza la s.r.l. Coop. Edilizia Santa Francesca Chiabrini in liquidazione chiedendone la condanna al pagamento in suo favore della somma di L. 119.677.065 o di quella maggiore o minore oltre interessi legali e di mora per i ritardi ed i danni da svalutazione monetaria.

L’attrice a sostegno della domanda assumeva di aver eseguito in appalto i lavori relativi alla costruzione in Cosenza in località (OMISSIS) del fabbricato sociale della Coop. Edilizia convenuta per l’importo di L. 708.165.000 al netto dell’aumento offerto ed accettato del 14,90%; aggiungeva che l’opera era stata ultimata in data 27-7-1983 e che il conto finale era stato sottoscritto con riserva dall’esponente, che con successiva nota del 6-3-1984 aveva esplicato tutte le riserve; inutili erano state le sollecitazioni dirette ad ottenere le somme accreditate sia per le opere realizzate su disposizione della Direzioni del Lavori non previste in progetto sia per le illegittime detrazioni relative a presunte manchevolezze peraltro mai contestate; inoltre non era stato possibile ottenere l’esatta liquidazione della revisione prezzi, e non erano stati liquidati gli interessi legali e di mora che per legge e per contratto avrebbero dovuto essere corrisposti per il ritardo nel pagamento delle rate di acconto.

Si costituiva in giudizio la convenuta chiedendo il rigetto della domanda attrice e in via riconvenzionale la condanna della COMES al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della mancata esecuzione di alcune categorie di lavori e del ritardo nella consegna dell’immobile.

Il Tribunale adito con sentenza del 25-11-1996 condannava la Cooperativa Edilizia Santa Francesca Chiabrini al pagamento in favore della COMES della somma di L. 117.283.614 nonchè dell’ulteriore importo di L. 97.837.128 per interessi maturati sulla predetta somma dal 24-9-1983 al 31-3-1988; condannava inoltre la convenuta al pagamento degli interessi moratori con decorrenza dall’1-4-1988 al soddisfo nella misura annualmente fissata con decreto dei Ministri del Tesoro e dei Lavori Pubblici.

Avverso tale sentenza la suddetta Cooperativa Edilizia proponeva gravame cui resisteva la COMES; nelle more del giudizio interveniva volontariamente nel processo G.A., assumendo che con atto per notaio Micciulli del 18-3-1994 notificato alla Cooperativa stessa il 30-3-1984 la COMES gli aveva ceduto il credito vantato nei confronti di quest’ultima; faceva proprie quindi tutte le istanze proposte dalla COMES e chiedeva in ogni caso che la condanna della Cooperativa fosse pronunciata in suo favore.

Con sentenza del 13-7-2004 la Corte di Appello di Catanzaro, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato la predetta Cooperativa al pagamento in favore della COMES della somma capitale di Euro 22.544,39, della somma di Euro 47.544,39 per interessi moratori sul predetto importo dal 24-9-1983 all’1-1-2000, nonchè al pagamento degli ulteriori interessi D.P.R. 17 giugno 1962, n. 1063, ex art. 36, da tale ultima data al soddisfo, ed ha rigettato la richiesta del G. di versamento diretto in suo favore delle predette somme da parte dell’appellante.

Per la cassazione di tale sentenza il G. ha proposto un ricorso affidato a quattro motivi illustrato successivamente da una memoria cui la Cooperativa Edilizia S. Francesca Chiabrini in liquidazione ha resistito con controricorso formulando altresì un ricorso incidentale articolato in due motivi; la società COMES non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si osserva che con il primo motivo il G., denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto ammissibile l’eccezione dell’appellata con la quale era stata dedotta non solo la mancata esecuzione di alcuni lavori, ma anche la cattiva realizzazione degli stessi; il ricorrente principale assume che il giudice di appello ha qualificato la domanda introdotta dalla controparte relativa a vizi e difetti dell’opera, non dedotti in primo grado, come semplice eccezione, facendo peraltro discendere dal suo accoglimento effetti tipici della domanda riconvenzionale, essendo stato ridotto il credito dell’appaltatrice per i difetti riscontrati nei lavori eseguiti; era quindi stata formulata in appello una domanda nuova, come tale inammissibile; del resto, anche qualora si fosse voluto ritenere che si trattava di una eccezione riconvenzionale, si sarebbe pur sempre dovuti giungere alle stesse conclusioni in base al disposto dell’art. 345 c.p.c..

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha rilevato che, pur non essendo ammissibile in appello la domanda del committente diretta ad ottenere il risarcimento dei danni per la cattiva esecuzione dell’opera, la stessa può valere quale eccezione diretta a contrastare la domanda di pagamento del corrispettivo avanzata dalla controparte, e che una eccezione di tale contenuto può essere proposta per la prima volta nel giudizio di secondo grado ex art. 345 c.p.c..

Orbene, premesso che nella specie deve applicarsi “ratione temporis” l’art. 345 c.p.c., nella formulazione antecedente a quella introdotta con la L. 26 novembre 1990, n. 353, si osserva che tale convincimento è pienamente condivisibile in quanto conforme all’orientamento di questa Corte, in ordine al quale non vi sono plausibili ragioni per dissentire, secondo cui nella deduzione con la quale il committente fa valere le difformità ed i vizi dell’opera al fine di opporsi alla domanda di pagamento del corrispettivo preteso dall’appaltatore, non va ravvisata una domanda, bensì un’eccezione che, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., può essere proposta per la prima volta anche in appello, risolvendosi nell’allegazione di un fatto impeditivo del diritto vantato dalla controparte (Cass. 19-1-1999 n. 446; nello stesso senso Cass. 28-9-1996 n. 8567); in effetti l’allegazione difensiva avanzata per la prima volta nel giudizio di appello dalla Cooperativa Edilizia Santa Francesca Chiabrini deve essere configurata come una eccezione riconvenzionale (e non come una domanda riconvenzionale), in quanto, pur ampliando il tema della controversia, era diretta esclusivamente alla reiezione, in tutto o in parte, della domanda dell’appaltatrice, e non a chiedere l’accertamento di un diritto con autonomo provvedimento avente forza di giudicato.

Con il secondo motivo il G., deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., nonchè insufficiente motivazione, sostiene che erroneamente la Corte territoriale ha respinto la domanda dell’esponente diretta ad ottenere il pagamento in proprio favore di quanto spettante alla COMES sul presupposto che l’appellante aveva contestato la legittimazione all’intervento, con la conseguenza quindi che tale opposizione aveva impedito l’accoglimento della richiesta dell’interveniente; egli assume che la Cooperativa Edilizia Santa Francesca Chiabrini nell’atto di appello e nei successivi verbali di causa non aveva mai preso posizione nei confronti del terzo intervenuto, sollevando tardivamente soltanto nella comparsa conclusionale l’eccezione di inammissibilità dell’intervento.

Con il terzo motivo il ricorrente principale, denunciando violazione dell’art. 111 c.p.c. e motivazione insufficiente e contraddittoria, assume che la Corte territoriale, nel respingere la domanda dell’interventore, ha ritenuto erroneamente che la semplice contestazione sulla ammissibilità dell’intervento del terzo fosse elemento sufficiente a respingerla anche in assenza di una vera e propria contestazione della cessione stessa; al riguardo evidenzia che la sentenza delle S.U. di questa stessa Corte del 3-11-1986 n. 6418 menzionata dal giudice di appello a sostegno del suo convincimento aveva in realtà affermato che il terzo cessionario del diritto controverso poteva farlo valere in proprio ed ottenere una pronuncia direttamente in proprio favore, e che tale pronuncia era da lui stesso impugnabile in base all’art. 111 c.p.c., u.c..

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono fondate.

Il giudice di appello, rilevato che la Cooperativa Edilizia Santa Francesca Chiabrini aveva sollevato contestazioni riguardo alla ammissibilità dell’intervento del G. nel secondo grado di giudizio, non ha accolto la richiesta di quest’ultimo di condanna della predetta Cooperativa al pagamento in proprio favore di tutte le somme di cui fosse stata ritenuta debitrice verso la cedente in conseguenza del rapporto contrattuale dedotto in giudizio, richiamando a sostegno di tale assunto la pronuncia di questa stessa Corte a Sezioni Unite 3-11-1986 n. 6418.

Peraltro tale sentenza non è stata correttamente invocata, avendo essa affermato che, qualora il cessionario di un credito intervenga nella controversia promossa dal cedente contro il debitore, anche in grado d’appello, come consentitogli dall’art. 111 c.p.c., comma 3, in qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso, può pronunciarsi la condanna del convenuto all’adempimento direttamente in favore di detto cessionario, indipendentemente dalla mancata estromissione dalla causa del cedente, ove il cessionario medesimo abbia formulato una domanda in tal senso con l’adesione del cedente e non vi siano contestazioni da parte del debitore ceduto neppure in ordine al verificarsi della cessione stessa; pertanto secondo tale pronuncia la preclusione all’accoglimento della domanda del cessionario del credito al pagamento in proprio favore di quanto dovuto dal ceduto al cedente è costituita da opposizioni del debitore ceduto in ordine alla sussistenza o alla validità della cessione e quindi alla legittimazione stessa del cedente a far valere il proprio diritto, e non invece da una contestazione limitata alla ammissibilità dell’intervento, nella fattispecie ritenuto ammissibile dalla stessa sentenza impugnata.

Con il quarto motivo il G., deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per avere contraddittoriamente affermato che, nonostante che la suddetta Cooperativa avesse accettato la consegna dell’opera senza riserve, applicandosi nella specie la disciplina del Capitolato Generale delle Opere Pubbliche, la consegna dell’opera (che ai sensi dell’art. 1667 c.c., fa decorrere il termine previsto per l’esercizio dell’azione di garanzia per i vizi da parte del committente) si identificava con il collaudo della stessa, nella specie mai avvenuto; in realtà non era stata considerata decisiva la circostanza che il terzo collaudatore avrebbe dovuto essere nominato dalla controparte, che invece non vi aveva provveduto, cosicchè non poteva ritenersi imprescrittibile il diritto alla denuncia dei vizi in conseguenza di un comportamento attribuibile alla committente.

Inoltre il ricorrente principale rileva che la Corte territoriale erroneamente ha interpretato la generica dichiarazione contenuta nella lettera raccomandata della predetta Cooperativa circa la sussistenza di “carenze nel fabbricato” come denuncia di vizi, dovendo quest’ultima essere invece chiara e specifica.

La censura è fondata.

Sotto un primo profilo si osserva che il giudice di appello, pur avendo accertato che la Cooperativa Edilizia Santa Francesca Chiabrini aveva accettato “senza riserve” l’opera oggetto dell’appalto intercorso con la società Comes, ha rilevato che, dovendosi applicare nella specie il Capitolato Generale delle Opere Pubbliche richiamato espressamente dalle parti, la consegna dell’opera, che ai sensi dell’art. 1667 c.c., fa decorrere il termine previsto per l’esercizio dell’azione di garanzia per i vizi da parte del committente, si identificava con il collaudo dell’opera, con la conseguenza che prima del collaudo – nella fattispecie mai avvenuto – il suddetto termine non può decorrere; in proposito si osserva che tale principio si ricollega all’ipotesi in cui il collaudo debba essere effettuato da un terzo (come espressamente affermato dalla stessa pronuncia di questa Corte 10-1-1996 n. 169 menzionata dalla sentenza impugnata), e non invece nella fattispecie, laddove le parti avevano pattuito di riservare le operazioni di collaudo ad un terzo collaudatore nominato dalla Cooperativa (secondo quanto affermato dallo stesso giudice di appello a pag. 9 della sentenza impugnata), cosicchè deve quantomeno presumersi, in assenza di deduzioni di segno contrario, che la mancata esecuzione del collaudo debba essere ascritta al comportamento della Cooperativa stessa che di fatto ha così inteso rinunciare a tale facoltà.

Deve poi aggiungersi che la Corte territoriale ha comunque attribuito rilevanza alla circostanza che, sia pure dopo l’accettazione dell’opera “senza riserve”, la Cooperativa con lettera raccomandata del 5-4-1984 ricevuta dalla COMES il 6-4-1984, quindi entro il termine di sessanta giorni dalla consegna dell’opera, aveva evidenziato la sussistenza di “carenze nel fabbricato”, invitando l’appaltatrice alla eliminazione delle stesse.

Orbene tale convincimento non può essere condiviso posto che, seppure non è necessaria ai fini dell’art. 1667 c.c., una denuncia specifica ed analitica delle difformità e dei vizi dell’opera, tale cioè da consentire l’individuazione di ogni anomalia di quest’ultima, occorre comunque, onde impedire la decadenza del committente dalla garanzia cui è tenuto l’appaltatore, una sia pur sintetica indicazione delle difformità o dei vizi, suscettibile di conservare l’azione di garanzia anche con riferimento a quei difetti accettabili, nella loro reale sussistenza, solo in un momento successivo (Cass. 23-1-1999 n. 644); è quindi evidente che il richiamo a “carenze nel fabbricato” non risponde a questa esigenza, posto che il contenuto di tale denuncia resta su di un piano di estrema genericità (anche avuto riguardo alle caratteristiche complesse dell’opera, trattandosi di un fabbricato destinato a realizzare gli scopi sociali della suddetta Cooperativa), come tale non suscettibile di consentire di avere cognizione, sia pure in maniera concisa, dei pretesi vizi riscontrati, ai quali in effetti non vi è alcun riferimento.

Venendo quindi all’esame del ricorso incidentale, si osserva che con il primo motivo la Cooperativa Santa Francesca Chiabrini, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 190 e 342 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4, censura la sentenza impugnata per aver esaminato l’eccezione della controparte, riguardante la decadenza dell’esponente dalla garanzia per i vizi dell’opera, nonostante che fosse stata formulata tardivamente soltanto in una memoria di replica del 4-5-1998.

La censura è infondata.

Premesso che, come rilevato a pag. 6 della sentenza impugnata, con ordinanza del 15-7-1998 la causa era stata rimessa sul ruolo istruttorio per l’ammissione della prova testimoniale dedotta dall’appellante, e che inoltre successivamente con ulteriore ordinanza del 30-3-2000 la Corte territoriale aveva disposto il rinnovo delle indagini tecniche, ne consegue che in ordine alla suddetta memoria di replica del 4-5 1998 ed alla eccezione ivi formulata la successiva rimessione della causa sul ruolo ha consentito la regolare realizzazione del contraddittorio.

Con il secondo motivo la ricorrente incidentale, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1460 e 1667 c.c., assume che la sentenza impugnata, prima di esaminare nel merito la denuncia dei vizi dell’opera, avrebbe dovuto disattendere l’eccezione di decadenza dalla garanzia, dovendosi applicare nella fattispecie il principio “inadimplenti non est adimplendum”.

La censura è inammissibile per difetto di interesse, posto che, come già esposto, il giudice di appello ha respinto la suddetta eccezione di decadenza dalla garanzia.

Il ricorso incidentale deve pertanto essere rigettato.

In definitiva all’esito dell’accoglimento del secondo, del terzo e del quarto motivo del ricorso principale la sentenza impugnata deve essere cassata, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi, accoglie il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, rigetta il primo ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2011

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