Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11520 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. I, 15/06/2020, (ud. 05/02/2020, dep. 15/06/2020), n.11520

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20491/2015 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliata in Roma, via Pietro Della

Valle, 2, presso lo studio dell’avvocato Schillaci Francesco, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cassiani Marco, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Enasarco, Inps, P.M.G., Procuratore generale presso la

Corte d’Appello di Bologna;

– intimati –

avverso la sentenza n. 9/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 19/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/02/2020 dal Cons. DE MARZO GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 19 febbraio 2015, la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha assegnato a P.M.G. la quota pari all’80% della pensione di reversibilità erogata dall’INPS e dall’Enasarco, a seguito del decesso dell’ex-coniuge della prima, R.G., e a F.M. il restante 20%.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che era inammissibile la questione di legittimità costituzionale della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9, prospettata per contrasto con l’art. 3 Cost., senza indicare quali fossero i tratti di uguaglianza tra convivenza matrimoniale e convivenza more uxorio, che avrebbero reso illegittima una disciplina differenziata tra le due ipotesi; b) che esattamente il Tribunale aveva escluso di poter riconoscere al dato della convivenza more uxorio rilievo esclusivo o preminente rispetto alla durata del matrimonio, essa rappresentando un mero correttivo equitativo rispetto al criterio legale; c) che le percentuali di riparto individuate dal primo giudice (90 e 10%) non apparivano eque, tenuto conto del contesto nel quale si era svolta la convivenza della F. e del sacrificio al quale si era sottoposta per effetto della malattia, presto insorta, del R.; d) che la durata delle due convivenze (trentasei anni quella con la P., nel corso della quale erano nati quattro figli, e sedici quella con la F., in assenza di prole) manifestava una netta prevalenza in favore della prima moglie; e) che la durata del vincolo non poteva essere seriamente confrontata, giacchè il secondo matrimonio era intervenuto quattro anni dopo la sentenza di divorzio, in prossimità del decesso del R.; f) che l’età del coniuge superstite era inferiore a quella dell’ex-coniuge; g) che non era smentita l’affermazione del primo giudice secondo il quale l’assegno divorzile rappresentava una fonte di sostentamento per la P., laddove il R., in costanza di convivenza con la nuova compagna, aveva alienato un immobile valutato in quasi due milioni di Euro, sicchè era ragionevole ritenere che la F. avesse potuto godere di tali proventi; h) che le superiori considerazioni inducevano a determinare la diversa percentuale di ripartizione sopra ricordata.

3. Avverso tale sentenza la F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La P. non ha svolto attività difensiva. L’INPS ha depositato procura speciale alle liti, senza svolgere alcuna attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23 (recte: della L. n. 898 del 1970, art. 9 sopra ricordata), per contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., in relazione alla diversità di trattamento riservata in subiecta materia alle coppie sposate e a quelle fondate non sul vincolo del matrimonio, ma su uno stabile legame affettivo nel quale le persone svolgono la loro personalità.

Il primo motivo, nella parte in cui censura l’adozione da parte del giudice di merito, in via principale, del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, temperato da criteri correttivi di carattere equitativo, denunciando l’illegittimità costituzionale della L. l dicembre 1970, n. 898, art. 9, comma 2, è infondato così come manifestamente infondata è la prospettata questione di legittimità costituzionale.

La giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che, in tema di attribuzione delle quote della pensione di reversibilità ex art. 9 cit., a favore dell’ex coniuge divorziato e del coniuge già convivente e superstite, la ripartizione del trattamento economico va effettuata, oltre che sulla base del criterio primario della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, quali l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, le condizioni economiche dei due e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali, in forza del principio solidaristico, secondo cui il meccanismo divisionale non è strumento di perequazione economica fra le posizioni degli aventi diritto, ma è preordinato alla continuazione della funzione di sostegno economico, assolta a favore dell’ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell’assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi (V., ad es., Cass. 21 settembre 2012, n. 16093).

La soluzione è confortata dalle indicazioni di Corte Cost. 4 novembre 1999, n. 419, che ha ritenuto infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3, nella parte in cui prevede esclusivamente la durata del rapporto matrimoniale quale criterio di ripartizione della pensione di reversibilità tra divorziato e coniuge superstite, in riferimento agli art. 3 e 38 Cost..

La Corte ha rilevato che, “in presenza di più aventi diritto alla pensione di reversibilità (il coniuge superstite e l’ex coniuge), la ripartizione del suo ammontare tra di essi non può avvenire escludendo che si possa tenere conto, quale possibile correttivo, delle finalità e dei particolari requisiti che, in questo caso, sono alla base del diritto alla reversibilità. Ciò che, appunto, il criterio esclusivamente matematico della proporzione con la durata del rapporto matrimoniale non consente di fare. Difatti una volta attribuito rilievo, quale condizione per aver titolo alla pensione di reversibilità, alla titolarità dell’assegno, sarebbe incoerente e non risponderebbe al canone della ragionevolezza, nè, per altro verso, alla duplice finalità solidaristica propria di tale trattamento pensionistico, l’esclusione della possibilità di attribuire un qualsiasi rilievo alle ragioni di esso perchè il tribunale ne possa tenere in qualche modo conto dovendo stabilire la ripartizione della pensione di reversibilità. La mancata considerazione di qualsiasi correttivo nell’applicazione del criterio matematico di ripartizione renderebbe possibile l’esito paradossale indicato dal giudice rimettente, il quale sottolinea come, con l’applicazione di tale criterio, il coniuge superstite potrebbe conseguire una quota di pensione del tutto inadeguata alle più elementari esigenze di vita, mentre l’ex coniuge potrebbe conseguire una quota di pensione del tutto sproporzionata all’assegno in precedenza goduto, senza che il tribunale possa tener conto di altri criteri per ricondurre ad equità la situazione”.

La Corte costituzionale ha concluso nel senso che il giudice deve “tenere conto” dell’elemento temporale, la cui valutazione non può in nessun caso mancare; anzi a tale elemento può essere riconosciuto valore preponderante e il più delle volte decisivo, ma non sino a divenire esclusivo nell’apprezzamento del giudice, la cui valutazione non si riduce ad un mero calcolo aritmetico, aggiungendo che “la diversa interpretazione, che porta alla ripartizione dell’ammontare della pensione esclusivamente in attuazione di una proporzione matematica, non giustificherebbe, tra l’altro, la scelta del legislatore di investire il tribunale per una statuizione priva di ogni elemento valutativo, potendo la ripartizione secondo quel criterio automatico essere effettuata direttamente dall’ente che eroga la pensione, come avviene in altri casi nei quali la ripartizione tra più soggetti che concorrono al trattamento di reversibilità è stabilita in base ad aliquote fissate direttamente dal legislatore”.

L’orientamento è stato ribadito da Corte Cost. 14 novembre 2000, n. 491, la quale ha sottolineato che “la diversità tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio rappresenta, poi, un punto fermo di tutta la giurisprudenza costituzionale in materia ed è basata sull’ovvia constatazione che la prima è un rapporto di fatto, privo dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività dei diritti e dei doveri che nascono soltanto dal matrimonio e sono propri della seconda”.

Siffatta ricostruzione va confermata dal momento che anche la L. 20 maggio 2016, n. 76 ha distinto le unioni civili, per le quali ha previsto, con l’art. 1, comma venticinquesimo, l’applicabilità, nei limiti della compatibilità, dell’art. 4, art. 5, comma 1, e dal quinto al comma 11, della L. n. 898 del 1970, artt. 8,9,9-bis, 10,12-bis, 12-ter, 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies, dalle convivenze di fatto di cui al successivo comma 36, per le quali si è previsto (a parte il diritto di continuare ad abitare, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni: quarantaduesimo comma), ricorrendo lo stato di bisogno, l’applicabilità della disciplina in tema di alimenti (sessantacinquesimo), in tal modo confermando che l’esistenza di diverse forme espressive dell’interesse dell’individuo a realizzare la propria personalità nelle formazioni sociali non comporta affatto una loro assoluta equiparazione, che finirebbe per negare la stessa ragion d’essere della distinzione.

E’ certamente esatto che “la distinta considerazione costituzionale della convivenza more uxorio e del rapporto coniugale, affermata dalla costante giurisprudenza di questa Corte, non esclude affatto la comparabilità delle discipline riguardanti aspetti particolari dell’una e dell’altro che possano presentare analogie, ai fini del controllo di ragionevolezza a norma dell’invocato art. 3 Cost.” (Corte Cost. 3 novembre 2000, n. 461).

Tuttavia, pur considerando la scelta del legislatore di riconoscere nel 2016 una tutela minima per il solo caso di bisogno del convivente di fatto, resta il rilievo che, anche dal punto di vista delle conseguenze patrimoniali (e della conseguente correlazione con il diritto previdenziale), le situazioni restano distinte.

Peraltro, come rilevato da Corte Cost. 461 del 2000 cit., la riferibilità dell’art. 2 Cost. “anche alle convivenze di fatto, purchè caratterizzate da un grado accertato di stabilità” non comporta un necessario riconoscimento, al convivente, del trattamento pensionistico di reversibilità che non appartiene certo ai diritti inviolabili dell’uomo presidiati dall’art. 2 cit..

Il tema, sollevato in ricorso, delle incertezze applicative correlate all’interpretazione giurisprudenziale del sistema, non consente di individuare profili di contrasto con la Costituzione, dal momento che l’eventualità di tali esiti si accompagna a qualunque criterio discrezionale rimesso alla valutazione del giudice ed è fisiologico quando venga in questione l’apprezzamento di molteplici fattori legati alla dimensione umana del rapporto (peraltro, nella specie, la ricorrente si è vista riconoscere un 20% in secondo grado e il 10% in primo grado, il che non vale a dimostrare una assoluta e radicale diversità di epiloghi decisori).

2. Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, per avere la Corte territoriale, dopo avere sottolineato l’opportunità di seguire, al fine di individuare la percentuale di ripartizione, un criterio sostanziale, optato per la valorizzazione di dati meramente formali, considerando superficialmente i contenuti della ben diversa e penetrante assistenza prestata dalla ricorrente al marito sino alla morte.

La doglianza è inammissibile.

Questa Corte ha chiarito, in linea generale, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476).

Peraltro, la sentenza impugnata è stata depositata il 19 febbraio 2015. Pertanto, viene in questione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi del comma 3 del medesimo art. 54, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge di conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

E, come specificamente affermato nelle ordinanze 10 febbraio 2015, n. 2498 e 1 luglio 2015, n. 13448, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nel caso di specie, le doglianze si risolvono nella reiterazione della prospettazione difensiva e, appunto, nella inammissibile aspirazione ad una diversa rivalutazione delle risultanze istruttorie.

3. In conclusione, il ricorso, complessivamente infondato, deve essere respinto.

Nulla per le spese, dal momento che anche l’INPS, limitandosi a depositare la procura speciale, non ha sostanzialmente svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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