Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11520 del 12/05/2010

Cassazione civile sez. I, 12/05/2010, (ud. 14/04/2010, dep. 12/05/2010), n.11520

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.O. in concordato preventivo, domiciliato in Roma, Via

F. Confalonieri 5, presso l’avv. MANZI L., che lo rappresenta e

difende, come da mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ente di Sviluppo Agricolo in Sicilia, domiciliato in Roma, Largo A.

Fochetti 28, presso l’avv. T. Di Iacovo, rappresentato e difeso

dall’avv. PIZZUTO M., come da mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, Ministero delle

Politiche agricole e forestali, Ministero dell’Economia e delle

Finanze, Agenzia per la promozione e lo sviluppo del Mezzogiorno in

liquidazione, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello stato, che per legge li rappresenta e

difende;

– controricorrenti –

contro

Agenzia per la promozione e lo sviluppo del Mezzogiorno in

liquidazione;

– intimata –

avverso la sentenza n. 550/2005 della Corte d’appello di Palermo,

depositata il 29 aprile 2005;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aniello Nappi;

uditi i difensori, avv. Albini delegato per il ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso, e avv. Pizzuto per l’Ente di

Sviluppo Agricolo in Sicilia, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Udite le conclusioni del P.M., Dr. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che

ha chiesto l’accoglimento del primo motivo dei ricorso, assorbiti gli

altri.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Palermo ha dichiarato P.O. decaduto dalla domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti dell’Ente di Sviluppo Agricolo in Sicilia, così riformando la decisione di primo grado, che aveva riconosciuto all’attore, già in concordato preventivo con cessione dei beni, un credito di L. 7.663.938.565 per l’abnorme protrarsi della sospensione, dal 30 novembre 1985 al 17 luglio 1987, dei lavori commissionatigli, con un contratto d’appalto stipulato il (OMISSIS), di cui era prevista l’esecuzione entro il 22 febbraio 1986. Ha escluso altresì la Legittimazione passiva degli altri convenuti, Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, Ministero delle Politiche agricole e forestali, Ministero dell’Economia e delle finanze, Agenzia per la promozione e io sviluppo del Mezzogiorno in liquidazione.

Per quanto ancora qui rileva, hanno ritenuto i giudici del merito che P.O., pur avendo in data 16 luglio 1987 dichiarato di voler risolvere il contratto d’appalto, aveva contestualmente e contraddittoriamente sottoscritto un atto di sottomissione relativo alla rideterminazione dei compensi. Sennonchè la dichiarazione di risoluzione del contratto era evidentemente incompatibile con la dichiarazione di accettazione delle nuove clausole contrattuali. E poichè l’abnorme sospensione dei lavori era palesemente illegittima, ne consegue che, per far valere la propria pretesa al risarcimento dei danni, P.O., avrebbe dovuto formulare o comunque reiterare ed esplicitare entro quindici giorni nel registro di contabilità le sue riserve. Non avendo provveduto tempestivamente a tale registrazione, è decaduto dalla domanda proposta.

Contro questa sentenza ricorre ora per cassazione P.O. e propone quattro motivi d’impugnazione, cui resistono con suo controricorso l’Ente di Sviluppo Agricolo in Sicilia, e con unico controricorso il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, il Ministero delle Politiche agricole e forestali e il Ministero dell’economia e del le finanze.

Il ricorrente e l’Ente di Sviluppo Agricolo in Sicilia hanno depositato memorie.

Non ha spiegato difese, invece, Agenzia per la promozione e le sviluppo del Mezzogiorno in liquidazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 102 c.p.c., in relazione agli artt. 165 e 182 c.p.c., eccependo la nullità della decisione impugnata per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti del commissario giudiziale e liquidatore dei beni ceduti con il concordato preventivo dell’impresa convenuta.

Sostiene che, essendo stato omologato il concordato nel corso del giudizio di primo grado, doveva considerarsi incluso nel patrimonio ceduto ai creditori anche il credito riconosciutogli con la decisione conclusiva di quel giudizio. Sicchè l’appello interposto contro quella decisione doveva essere notificato anche al commissario liquidatore.

1.1. – Il motivo è infondato.

Secondo una indiscussa giurisprudenza di questa corte, invero, “la procedura di concordato preventivo mediante cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni o di resistervi, nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio” (Cass., sez. 3^, 11 agosto 2000, n. 10738, m.

539541, Cass., sez. 3^, 12 maggio 2000, n. 6106, m. 536451, Cass., sez. 1^, 17 giugno 1999, n. 5986, m. 527595, Cass., sez. L, 10 settembre 1999, n. 9663, m. 529847).

Solo quando il debitore ammesso al concordato concessione dei beni sia convenuto in giudizio con azione di condanna, si è talora ritenuta necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti del liquidatore nominato dal tribunale (Cass., sez. L, 26 luglio 2001, n. 10250, m. 548529, Cass., sez. 1^, 29 aprile 1999, n. 4301, m. 525879).

Sicchè, trattandosi nel caso in esame di un giudizio promosso dal debitore concordatario, non si pone l’esigenza di integrazione del contraddittorio. Nè questa esigenza può derivare dal fatto che i convenuti hanno promosso il giudizio d’appello avverso una decisione ricognitiva del credito vantato da P.O., che rimane attore anche nel giudizio di secondo grado.

2.1 – Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2966 c.c. e R.D. n. 350 dei 1895, art. 54, dell’art. 1376 c.c., e del principio di affidamento, in relazione all’art. 112 c.p.c., vizi di motivazione della decisione impugnata.

Sostiene di essere stato erroneamente dichiarato decaduto dal diritto al risarcimento dei danni, perchè le sue pretese erano state riconosciute prima del giudizio dalla stazione appaltante, che gli aveva offerto la somma di L. 757.800.000, oltre interessi, in via di definizione amministrativa. Sicchè v’era stata una rinuncia dell’Ente di Sviluppo Agricolo in Sicilia a far valere la decadenza.

2.2 – Il motivo è inammissibile, perchè propone per la prima volta nel giudizio di legittimità questioni, implicanti l’allegazione di fatti diversi da quelli già accertati o già dibattuti nelle fasi di merito del giudizio, senza neppure dedurre di averle già prospettate.

E’ indiscusso invero che, “ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa” (Cass., sez. L, 28 luglio 2008, n. 20518, m. 604230).

3.1 – Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del R.D. n. 330 del 1895, art. 54, dell’art. 1363 c.c., e segg., in relazione all’art. 34 del Capitolato generale d’appalto per le opere e le forniture finanziate dall’Agenzia per la promozione e lo sviluppo del Mezzogiorno, vizi di motivazione della decisione impugnata.

Sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici del merito, l’illegittimità della sospensione dei lavori non escludeva il diritto dell’appaltatore di chiedere la risoluzione dei contratto, perchè sarebbe assurdo riconoscergli una maggior tutela nel caso di legittimità della sospensione. Sicchè egli chiese legittimamente lo scioglimento del contratto e tale richiesta non era in contraddizione con la contestuale, ma subordinata, accettazione dei nuovi prezzi.

Aggiunge che, contrariamente a quanto affermano i giudici del merito, la formulazione delle riserve fu tempestiva, perchè il primo atto in cui potevano essere formulate non era l’atto di sottomissione del 16 luglio 1987, che non comportava la ripresa dei lavori, ma il primo stato di avanzamento successivo all’effettiva ripresa dei lavori.

Rileva comunque che il ricorso amministrativo proposto il 5 agosto 1987 contro l’ordine di ripresa dei lavori formulava esso stesso una riserva, poi trasposta nel registro della contabilità.

3.2 – Il motivo è infondato.

Infatti, secondo la giurisprudenza di questa corte, già richiamata correttamente dai giudici del merito, l’appaltatore deve formulare, a pena di decadenza, la cosiddetta “riserva” per maggiori compensi o rimborsi conseguenti alla sospensione dei lavori ai più tardi nel verbale di ripresa dei lavori (salva restando la successiva registrazione ed esplicazione della stessa nel registro ai contabilità), ovvero, in mancanza di questo (la cui compilazione è rimessa alla iniziativa dell’appaltante; mediante tempestiva comunicazione all’Amministrazione con apposito atto scritto, restando, in proposito, irrilevante che la sospensione medesima sia ascrivibile a dolo o colpa dell’Amministrazione appaltante, sempre che si tratti di vicende o comportamenti direttamente incidenti sull’esecuzione dell’opera. Ai fini della tempestività della riserva, difatti, l’onere della formulazione da parte dell’appaltatore si rende attuale (e va, perciò, adempiuto) nel momento in cui emerge la concreta idoneità del fatto a produrre il conseguente pregiudizio ed esborso, ciò che può ben verificarsi anche solo al momento della cassazione della sospensione (cosiddetto “fatto continuativo”)” (Cass., sez. 1^, 5 maggio 1998, n. 4502, m.

515885, Cass., sez. 1^, 28 maggio 2003, n. 8540, m. 563690, Cass., sez. 1^, 17 dicembre 2008, n. 29494, m. 606030).

Nel caso in esame, come risulta dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso, il 6 luglio 1387 l’appaltatore ebbe formale comunicazione della cessazione delle cause di sospensione, allorchè sottoscrisse l’atto di sottomissione, con la contestuale manifestazione dell’intento di scioglimento dal contratto.

Ne consegue che, come hanno ben chiarito i giudici del merito, la successiva contestazione del ricorrente fu comunque intempestiva.

Infatti, se si interpreta la dichiarazione di scioglimento del contratto come una riserva, manca la tempestiva sua iscrizione nel registro di contabilità entro i successivi quindici giorni.. Se non la si intende come formulazione di una riserva, deve ritenersi che fu intempestiva la riserva manifestata solo con la proposizione del ricorso in data 7 agosto 1987, anzichè immediatamente, come richiesto all’epoca dal R.D. n. 350 del 1895, art. 53 (Cass., sez. 1^, 12 giugno 2008, n. 15693, m. 603336).

4.1 – Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del R.D. n. 350 del 1895, art. 54, vizi di motivazione della decisione impugnata.

Lamenta che i giudici del merito non abbiano preso in considerazione le pretese risarcitorie avanzate con riferimento agli ulteriori differimenti, della consegna dei lavori disposti dopo la cessazione della controversa sospensione e a causa di ritardi nel procedimento di espropriazione dei terreni da destinare all’opera pubblica commissionata.

4.2 – Il motivo è manifestamente infondato.

Le contestazioni del 16 luglio 1987, allorchè fu sottoscritto l’atto di sottomissione, e del 7 agosto 1987, allorchè fu proposto ricorso amministrativo erano, come s’è detto, inidonee a valere come riserve formulate rispetto alle già disposte protrazioni dei termini contrattuali. Non possono certo valere come riserve rispetto alle ulteriori protrazioni sopravvenute.

5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese in favore dell’Ente di Sviluppo Agricolo in Sicilia. Possono essere invece compensate le spese relative al rapporto con i ministeri, posto che il ricorrente non ha impugnato la dichiarazione del loro difetto di legittimazione passiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente Ente di Sviluppo Agricolo in Sicilia, liquidandole in complessivi Euro 18.200,00 di cui Euro 18.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge. Compensa le spese tra il ricorrente e i ministeri controricorrenti.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2010

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