Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11520 del 11/05/2017

Cassazione civile, sez. un., 11/05/2017, (ud. 10/01/2017, dep.11/05/2017),  n. 11520

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sezione –

Dott. DIDONE Antonio – Presidente di Sezione –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sezione –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. MANA Felice – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2705/2016 proposto da:

N.R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO MESSICO

7, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO TEDESCHINI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELE GRANARA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso la sentenza del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 16/06/2015;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato Daniele GRANARA;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO

Francesco Mauro, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

N.R.M., ex agente di polizia penitenziaria, impugnò innanzi al TAR della Liguria sia il provvedimento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che le aveva negato il riconoscimento della dipendenza di alcune patologie cardiache da causa di servizio, sia il preventivo parere del Comitato per la verifica delle cause di servizio.

Il TAR, con sentenza n. 286/2012, accolse il ricorso, ritenendo fondata la censura di violazione della L. n. 241 del 1990, art. 10 bis, in quanto non erano state preventivamente comunicate alla ricorrente le ragioni ostative all’accoglimento della domanda, per cui annullò gli atti impugnati ai fini di una nuova pronunzia del Comitato di verifica, se sollecitata dalla medesima ricorrente.

Successivamente l’interessata propose ricorso al TAR lamentando l’inottemperanza alla predetta sentenza sul rilievo che l’Amministrazione, in violazione del giudicato, anzichè rivalutarle la malattia contratta, aveva reiterato il procedimento amministrativo, pervenendo alla decisione di negarle l’esistenza di una patologia dipendente da causa di servizio.

A seguito di impugnazione della N. il Consiglio di Stato ha respinto l’appello dopo aver rilevato che non sussisteva la lamentata violazione del giudicato, in quanto il TAR aveva riscontrato che l’amministrazione aveva esercitato la relativa potestà in conformità al contenuto precettivo del giudicato amministrativo. In effetti, questo era costituito unicamente dalla accertata mancanza di attivazione della procedura garantistica della previa comunicazione delle ragioni ostative al riconoscimento della causa di servizio posta a base della lamentata malattia, tanto che l’amministrazione aveva poi inviato all’interessata il parere negativo con invito a controdedurre, chiedendo, altresì, al Comitato di riesaminare la posizione dell’istante. Per la cassazione della sentenza ricorre la N. con due motivi, preceduti dall’illustrazione di un aspetto preliminare della vicenda processuale e supportati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Rimane solo intimato il Ministero della Giustizia.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare la ricorrente espone che il presente ricorso, proposto ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, e dell’art. 110 C.P.A., avverso la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. 4^, n. 2986 del 16.6.2015, è ammissibile in quanto il giudice amministrativo ha omesso di pronunziarsi sui motivi dedotti in sede di impugnazione, ritenendo precluso il proprio sindacato a causa della discrezionalità tecnica espressa dalla pubblica amministrazione con l’emanazione del parere del Comitato di verifica. In tal modo, aggiunge la ricorrente, la denunziata omissione di pronunzia, cioè quella richiesta al giudice amministrativo per il riconoscimento della dipendenza delle lamentate infermità da causa di servizio, si è tradotta in un diniego di giurisdizione impugnabile innanzi a questa Suprema Corte.

2. Tanto premesso la ricorrente deduce, in via principale, la erroneità della sentenza per contraddittorietà e travisamento, nonchè per difetto di motivazione, oltre che la violazione degli artt. 24, 103, 111, 113 e 117 Cost., degli artt. 6 e 13 CEDU e dell’art. 47 della Carta dei – diritti dell’Unione Europea in materia di effettività della tutela giurisdizionale e della tutela del diritto di difesa; infine, la medesima segnala la violazione dell’art. 362 c.p.c., comma 1, e dell’art. 110 C.P.A., in relazione alla violazione dell’art. 34 C.P.A., artt. 112, 115 e 116 c.p.c..

3. Secondo la ricorrente, il giudice amministrativo sarebbe incorso nel rubricato vizio di giurisdizione nell’affermare che in ordine al suddetto parere tecnico poteva essere esercitato il cosiddetto giudizio debole, nel senso che la contestazione di una valutazione tecnica come quella resa dal Comitato di verifica poteva attenere unicamente ad aspetti di incongruità ed irrazionalità, che nella fattispecie non erano però rinvenibili. In ogni caso, il Consiglio di Stato avrebbe omesso di esercitare anche un tale tipo di sindacato, non avvedendosi che il Comitato di verifica, nell’esprimere il proprio parere, non aveva preso in minima considerazione le risultanze dell’istruttoria svolta e le osservazioni formulate dalla parte, e finendo per valutare in maniera non corretta gli esiti della consulenza d’ufficio, per cui non sarebbe stato nemmeno possibile apprezzare le ragioni della determinazione negativa dell’Amministrazione. Invero, quest’ultima si sarebbe limitata, in maniera apodittica, ad asserire che nel servizio prestato dall’interessata non si evidenziavano condizioni ambientali e circostanze di servizio straordinarie in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto.

4. In via subordinata la ricorrente formula la questione pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 TFUE, con riferimento all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza), censurando l’omesso o errato esercizio della giurisdizione da parte del giudice amministrativo, tradottosi, a suo giudizio, in violazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva a causa della ingiusta negazione di una decisione nel merito dell’impugnazione. Conseguentemente la medesima chiede che gli atti vengano rimessi, previa sospensione del giudizio, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea affinchè si pronunci sull’interpretazione della predetta norma di cui all’art. 47 della Carta di Nizza, a sua volta recepita dal Trattato di Lisbona e parte integrante del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.

5. Osserva la Corte che la questione preliminare e quella principale – possono essere esaminate congiuntamente in quanto tra loro connesse.

Orbene, secondo la difesa della ricorrente, il Consiglio di Stato sarebbe incorso in un diniego di giurisdizione, così violando i principi di giustizia sostanziale e di effettività della giurisdizione. Le censure risultano inammissibili.

6. Come è stato più volte affermato da queste Sezioni Unite, “le decisioni del Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza sono soggette al sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sul rispetto dei limiti esterni della propria potestà giurisdizionale, tenendo presente che in tal caso è attribuita al giudice amministrativo una giurisdizione anche di merito. Al fine di distinguere le fattispecie nelle quali il sindacato è consentito da quelle nelle quali è inammissibile, è decisivo stabilire se oggetto del ricorso è il modo con cui il potere di ottemperanza è stato esercitato (limiti interni della giurisdizione) oppure se sia in discussione la possibilità stessa, in una determinata situazione, di fare ricorso al giudizio di ottemperanza (limiti esterni della giurisdizione); ne consegue che, ove le censure mosse alla decisione del Consiglio di Stato riguardino l’interpretazione del giudicato, l’accertamento del comportamento tenuto dall’Amministrazione e la valutazione di conformità di tale comportamento rispetto a quello che si sarebbe dovuto tenere, gli errori nei quali il giudice amministrativo può eventualmente incorrere, essendo inerenti al giudizio di ottemperanza, restano interni alla giurisdizione stessa e non sono sindacabili dalla Corte di cassazione”. (v. Cass. S.U. 19-1-2012 n. 736, Cass. S.U. 26-4-2013 n. 10060 e da ultimo Cass. S.U. 29-11-2013 n. 26775; cfr. anche, fra le altre, Cass. S.U. 2-12-2009 n. 25344 e da ultimo SS.UU n. 2289 del 3.2.2014).

7. Più in generale, poi, queste Sezioni Unite hanno avuto anche occasione di affermare come debba ormai essere considerata norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che dà contenuto a quel potere, stabilendo le forme di tutela attraverso le quali esso si estrinseca (v. S.U. 23 dicembre 2008, n.30254), ma tutto ciò (come è stato precisato da Cass. S.U. n. 736/2012 cit. in motivazione) non significa che il sindacato della Suprema Corte possa estendersi a qualsiasi eventuale error in indicando o in procedendo imputato al giudice amministrativo nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme che disciplinano il giudizio di ottemperanza. Per scriminare le fattispecie in cui il sindacato sui limiti di tale giurisdizione è consentito da quelli in cui esso risulta invece inammissibile, dovendosi aver riguardo al cosiddetto “petitum sostanziale” ed all’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (cfr., ex multis, Sez. un., 25 giugno 2010, n. 15323), risulta decisivo stabilire se quel che viene in questione è il modo in cui il potere giurisdizionale di ottemperanza è stato esercitato dal giudice amministrativo, attenendo ciò ai limiti interni della giurisdizione, oppure il fatto stesso che, in una situazione del genere di quella considerata, un tal potere, con la particolare estensione che lo caratterizza, a detto giudice non spettava. In tale quadro è stato altresì precisato che “il ricorso col quale venga denunciato un rifiuto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo rientra fra i motivi attinenti alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., soltanto se il rifiuto sia stato determinato dall’affermata estraneità alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice della domanda, che non possa essere da lui conosciuta” (v. Cass. S.U. 8-2-2013 n. 3037) e nello stesso quadro è stato inoltre chiarito che “è configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale con riferimento alle regole del processo amministrativo solo nel caso di radicale stravolgimento delle norme di rito, tale da implicare un evidente diniego di giustizia e non già nel caso di mero dissenso del ricorrente nell’interpretazione della legge” (v. Cass. S.U. 30-10-2013 n.24468, Cass. S.U. 14-9-2012 n.15428). In particolare, infine, queste Sezioni Unite hanno anche affermato che “il rigetto della domanda di risarcimento del danno proposta contro la P.A., deciso in base all’interpretazione delle norme invocate dalla parte a sostegno della propria pretesa, non configura un eccesso di potere giurisdizionale da parte del giudice amministrativo, non determinandosi nè una sostituzione della volontà dell’organo giudicante a quella della P.A., nè un’autonoma produzione normativa e nè, comunque, un radicale stravolgimento delle norme di rito, tale da implicare un evidente diniego di giustizia” (v. Cass. S.U. 5-9-2013 n.20360).

8. Quanto al secondo motivo si osserva che lo stesso è inammissibile per le seguenti ragioni: – Anzitutto, in materia di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato, il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla Corte di cassazione – non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori “in iudicando” o “in procedendo” per contrasto con il diritto dell’Unione Europea, salva l’ipotesi, “estrema”, in cui l’errore si sia tradotto in una interpretazione delle norme Europee di riferimento in contrasto con quelle fornite dalla Corte di Giustizia Europea, sì da precludere l’accesso alla tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo. (v. in tal senso Cass. Sez. U., n. 2242 del 6.2.2015).

Inoltre, si è precisato (Sez. U, n. 14042 dell’8.7.2016) che il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, omesso dal Consiglio di Stato, non può essere disposto, sulla medesima questione, dalle Sezioni Unite della Suprema Corte innanzi alle quali sia stata impugnata la corrispondente decisione, spettando ad esse solo di vagliare il rispetto, da parte del primo, dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, senza che, su tale attribuzione di controllo, siano evidenziabili norme dell’Unione Europea su cui possano ipotizzarsi quesiti interpretativi.

Da ultimo si è ribadito (Sez. U, n. 2403 del 4.2.2014) che in materia di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato, il controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111, ultimo comma, Cost. affida alla Corte di cassazione – non include anche una funzione di verifica finale della conformità di quelle decisioni al diritto dell’Unione Europea, neppure sotto il profilo dell’osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267, terzo comma, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, dovendosi tener conto, da un lato, che nel plesso della giurisdizione amministrativa spetta al Consiglio di Stato – quale giudice di ultima istanza garantire, nello specifico ordinamento di settore, la conformità del diritto interno a quello dell’Unione, se del caso avvalendosi dello strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, mentre, per contro, l’ordinamento nazionale contempla – per reagire ad una lesione del principio di effettività della tutela, conseguente ad una decisione del giudice amministrativo assunta in pregiudizio di situazioni giuridiche soggettive protette dal diritto dell’Unione – altri strumenti di tutela, attivabili a fronte di una violazione del diritto comunitario che sia grave e manifesta.

9. In definitiva può affermarsi che nella fattispecie, essendosi in presenza di un giudizio di ottemperanza che, secondo la ricorrente, non sarebbe stato correttamente inteso nel suo contenuto dal Consiglio di Stato, non si versa nell’ambito dell’eccesso di potere giurisdizionale del giudice amministrativo sindacabile innanzi alle Sezioni Unite. Invero, in base ai summenzionati principi, non si è in presenza di una violazione dei limiti esterni della giurisdizione, rientrando la decisione impugnata nei limiti interni della giurisdizione amministrativa, stante la motivata interpretazione, da parte del Consiglio di Stato, del contenuto del giudicato amministrativo oggetto del giudizio di ottemperanza e la susseguente decisione di merito di condivisione del parere negativo del Comitato di verifica.

10. E’, inoltre, da escludere che ricorrano i presupposti per la richiesta di rimessione degli atti alla Corte di giustizia Europea ex art. 267 T.F.U.E., non essendo ravvisabile, per quanto sopra detto, una decisione erronea tradottasi in una interpretazione delle norme Europee di riferimento in contrasto con quelle fornite dalla Corte di Giustizia Europea, sì da precludere l’accesso alla tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo.

11. In definitiva va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Non va adottata alcuna statuizione in merito alle spese del presente giudizio atteso che il Ministero della Giustizia è rimasto solo intimato. Sussistono i presupposti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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