Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11513 del 12/05/2010

Cassazione civile sez. I, 12/05/2010, (ud. 10/03/2010, dep. 12/05/2010), n.11513

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Enrico Meierhofer s.r.l. in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in Roma, Via di Pietralata 320, presso

l’avv. Giulia De Nardo, rappresentata e difesa dagli avv. OLDRINI

Pietro e Luigi Remus giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Manifattura di Valle Brembana s.r.l. in concordato preventivo in

persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma,

Via G. Antonelli 15, presso l’avv. MARINO Patrizia, che con gli avv.

Daniele Giusto e Marco Bassoli la rappresenta e difende giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Brescia emesso nel

procedimento n. 278/08 in data 18.12.2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10.3.2010 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

Udito l’avv. Giusto per la controricorrente;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 18.12.2008 la Corte di Appello di Brescia rigettava i reclami proposti da Enrico Meierhofer s.r.l., dalla Manifattura dell’Abruzzo s.p.a., dalla Banca di Credito Cooperativo di Lesmo coop. a r.l. avverso il decreto con il quale il Tribunale di Bergamo aveva omologato il concordato preventivo presentato dalla Manifattura di Valle Brerabana s.r.l..

In particolare, per la parte di interesse, il motivo di opposizione della Meierhofer era incentrato sul diverso trattamento che avrebbero dovuto ricevere i crediti contestati (fra cui il suo), rispetto agli altri, ai quali soltanto sarebbe stato riferibile l’obbligo di pagamento nella percentuale del 25% entro novanta giorni dall’omologazione.

La Corte territoriale, tuttavia, riteneva corretta la decisione del primo giudice (sfavorevole sul punto all’opponente), ritenendo che l’interpretazione preferibile della proposta di concordato dovesse essere nel senso che la diversità di disciplina dei crediti contestati rispetto agli altri dovesse essere individuata esclusivamente nello slittamento del termine di pagamento indicato (novanta giorni dall’omologa), come d’altra parte precisato dalla debitrice con lettera del 25.1.2008 inviata al Commissario.

Avverso la decisione la Enrico Meierhofer s.r.l. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resisteva con controricorso la Manifattura di Val Brembana.

Entrambe le parti depositavano infine memoria. La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 10.3.2010.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i tre motivi di impugnazione la Enrico Meierhofer ha rispettivamente denunciato: 1) violazione della L. Fall., art. 160, lett. c) e d), e art. 161, per l’affermata impossibilità che i crediti contestati potessero costituire una classe di creditori e per l’illogicità dell’affermazione secondo cui la diversità di trattamento dei crediti contestati si sarebbe limitata al differimento del termine di pagamento, atteso che la normativa vigente prevede il deposito delle somme spettanti ai creditori contestati (L. Fall., art. 189);

2) violazione degli artt. 160, 161 in relazione alla L. Fall., art. 184, in quanto i crediti contestati non rimarrebbero – secondo quanto rilevato dalla Corte di appello – al di fuori del concordato per effetto della mancata indicazione della percentuale concordataria ad essi spettante, dovendosi invece considerare gli stessi facenti parte di una classe, e cioè quella dei crediti contestati;

3) violazione della L. Fall., artt. 160 e 161, in relazione alla L. Fall., art. 175, con riferimento al preteso chiarimento della proposta di concordato effettuata con la citata lettera (proposta che sarebbe stata valutata in modo problematico sia dal commissario giudiziale che dal tribunale), a fronte di una indicazione originaria di diverso tenore.

Il primo motivo di impugnazione è infondato.

La Corte di appello, infatti, dopo aver precisato che la costituzione in classe dei crediti contestati non trovava conforto nel tenore letterale dell’istanza, ha poi escluso che i crediti contestati potessero costituire una classe di creditori, essendo questa riconducibile a posizioni giuridiche ed interessi economici omogenei, statuizione contestata esclusivamente con l’affermata non comprensibilità del rilievo, atteso che la classe costituenda sarebbe quella dei crediti contestati, e quindi con una deduzione generica per di più non calibrata sulla ragione della decisione.

Ad identiche conclusioni deve poi pervenirsi per quanto riguarda la pretesa illogicità dell’affermazione della Corte territoriale, secondo cui il riferimento ai crediti contestati sarebbe limitato al termine stabilito per il relativo pagamento.

La detta illogicità sarebbe invero riconducibile al “fatto che le somme vanno comunque depositate e dunque di fatto devono essere sborsate dal debitore”, rilievo che tuttavìa è inidoneo a comprovare la sussistenza del vizio denunciato nell’interpretazione della proposta di concordato compiuta dalla Corte di appello, nel cui ambito è stata semplicemente richiamata la plausibilità dell’interpretazione data (“è assolutamente plausibile che il debitore intenda non pagare entro novanta giorni dall’omologa crediti che, a quella data, ancora siano sub judice”).

Il secondo motivo è poi inammissibile per mancanza di specifica censura avverso l’interpretazione data dalla Corte di appello alla mancata previsione nell’istanza di concordato dei crediti contestati (“l’unica alternativa sarebbe quella di ritenerli sottratti al concordato”), atteso che la stessa ricorrente ha precisato “anche se l’interpretazione testè fornita dalla Corte di Brescia ha una sua logica, ciò non esclude un’altra interpretazione altrettanto logica” (p. 19).

In ogni modo, poichè l’alternativa suggerita è quella della configurazione di una classe di creditori per i crediti contestati, la prospettazione è assorbita dalle considerazioni svolte a proposito del primo motivo di impugnazione.

E’ infine inammissibile anche il terzo ed ultimo motivo, con il quale la società Enrico Meierhofer ha sostanzialmente lamentato l’errata interpretazione della proposta di concordato, che fra l’altro sarebbe stata sollecitata dalle indicazioni formulate dallo stesso ricorrente.

La doglianza era stata già rappresentata negli stessi termini al giudice del merito, che per l’appunto l’aveva disattesa sulla base delle seguenti considerazioni: a) nella proposta di concordato l’impegno di pagamento era stato connotato da due dati, di cui uno cronologico, riferito al termine fissato in novanta giorni dal decreto di omologa, ed uno quantitativo, relativo alla percentuale offerta, sicchè sarebbe stata compatibile con il dato letterale una interpretazione che avesse ritenuto non applicabile il rispetto del termine temporale per i crediti in contestazione; b) tale interpretazione sarebbe preferibile anche per la difficoltà di individuare un trattamento differenziato per tali crediti; c) successivamente, e prima dell’adunanza dei creditori per il voto, il debitore Manifattura di Valle Brembana aveva chiarito che la posizione dei creditori contestati doveva essere interpretata nel senso indicato sub a); d) la stessa normativa (L. Fall., art. 175) avrebbe consentito modifiche della proposta originaria fino alla data dell’adunanza dei creditori, circostanza che avrebbe reso incomprensibile la doglianza del debitore relativamente all’asserita illegittimità dell’interpretazione data dalla stessa parte alla propria proposta.

Tali argomentazioni, come detto, sono state contestate nei termini assolutamente generici sopra indicati, con la riproposizione di prospettazioni già rassegnate all’attenzione del giudice e da questi non condivise, senza alcun cenno ai motivi per i quali, al di là delle apodittiche enunciazioni in tal senso, la decisione della Corte di Appello sul punto sarebbe errata. Ne consegue, conclusivamente, che il ricorso deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2010

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