Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11509 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/06/2020, (ud. 06/03/2020, dep. 15/06/2020), n.11509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18527-2019 proposto da:

M.S., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIAGRAZIA STIGLIANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. R.G. 15403/2018 del TRIBUNALE di BARI,

depositato il 03/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/03/202(1 dal Consigliere Relatore Dott. Vella

Paola.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Bari ha rigettato le domande di riconoscimento di (gradatamente) status di rifugiato, protezione sussidiaria, protezione umanitaria o diritto di asilo, proposte dal cittadino bangladese M.S., il quale dichiarava: di essere fuggito ancora minorenne dal Bangladesh (distretto di Shariatpur) per le condizioni di estrema povertà in cui versava la sua famiglia contadina, anche a causa di un incidente occorso al padre, rimasto invalido; di aver vissuto per circa cinque mesi in Libia, dove lavorava senza essere mai pagato cd anzi venendo ripetutamente picchiato dai datori di lavoro; di non poter rientrare in patria per problemi economici, avendo la sua famiglia venduto il terreno di proprietà per aiutarlo a raggiungere l’Italia;

2. il ricorrente ha proposto un unico motivo di ricorso per cassazione, mentre l’intimato non ha svolto difese;

3. a seguito di deposito della proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. il ricorrente lamenta l’omessa valutazione di fatti decisivi ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, per le condizioni di vulnerabilità rappresentate nelle relazioni psico-sociali offerte al tribunale, quali: il fatto di essere fuggito ancora minorenne dal suo Paese per le condizioni di povertà estrema in cui viveva con la sua famiglia di contadini; di essere stato “sfruttato e aggredito continuamente in Libia”; di essere neomaggiorenne senza famiglia al seguito; di aver trovato un regolare lavoro domestico a tempo indeterminato nonchè ospitalità gratuita; di non poter rientrare nel proprio Paese senza subire una grave compromissione dei propri diritti fondamentali inviolabili, stante la “situazione politico-economica molto grave con effetti d’impoverimento radicale riguardanti la carenza di beni di prima necessità”, essendovi in Bangladesh 50 milioni di poveri (il 32% della popolazione) “che sopravvivono con meno di due dollari al giorno”;

5. la censura è inammissibile in quanto non rispetta il paradigma del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che rende l’apparato argomentativo sindacabile in sede di legittimità solo entro precisi limiti (ex plurimis Cass. 17247/2006, 18587/2014), qui non rispettati, non risultando assolto l’onere del ricorrente di indicare – ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8503/2014; conf. ex plurimis Cass. 27415/2018);

5.1. ai fini della protezione umanitaria, peraltro, “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. 23778/2019, 1040/2020) e al riguardo le Sezioni Unite di questa Corte, pur ribadendo che “l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e Oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”, tuttavia hanno precisato che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (Cass. Sez. U, nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; Cass. 4455/2018, 630/2020).

5.2. ai fini di una simile verifica – effettuabile dal giudice anche esercitando i propri poteri istruttori officiosi – risulta “necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei perchè da essi possa desumersi che il suo rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass. 27336/2018, 8908/2019, 17169/2019).

5.3. quanto ai maltrattamenti subiti in Libia, si richiama l’orientamento di questa Corte per cui, il fatto che in un paese di transito si sia consumata una violazione dei diritti umani, non comporta di per sè raccoglimento della domanda di protezione umanitaria, essendo a tal fine necessario accertare che lo straniero venga ad essere perciò privato della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, per effetto del rimpatrio nel Paese di origine, di cui cioè si abbia la cittadinanza (Cass. 4455/2018), non già di un Paese terzo (cfr. Cass. 2861/2018, 13858/2018, 29875/2018); pertanto, solo se debitamente allegate e potenzialmente idonee – quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità – ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona, le eventuali violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza possono legittimare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018), purchè in presenza di specifiche e concrete condizioni, da allegare e valutare caso per caso (Cass. 13096/2019);

5.4. nel caso di specie, il ricorrente non ha allegato, sulla base di specifiche circostanze, di aver subito eventi traumatici tali da ingenerare una condizione di vulnerabilità rilevante ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (ex multis, Cass. 4455/2018, 2861/2018, 13858/2018, 29875/2018, 13096/2019), ma si è limitato a dedurre del tutto genericamente di essere stato picchiato dai datori di lavoro che non volevano pagarlo;

5.5. le affermazioni del tribunale per cui “non risulta una effettiva lesione di diritti fondamentali… nè è comprovata una situazione denotante specifica vulnerabilità del soggetto (non bastevole essendo, a tal fine, la sola minore età del richiedente al momento dell’ingresso in Italia, avendo costui una rete familiare in patria che potrebbe plausibilmente agevolare il suo reinserimento)” e “non può dirsi comprovata una stabile integrazione socio-economica” in Italia (essendo stato prodotto solo il contratto di lavoro non corredato dalle relative buste paga), integrano pertanto valutazioni di merito non adeguatamente censurate in questa sede (Cass. Sez. U, 34476/2019; Cass. 24155/2017, 22707/2017, 6587/2017, 195/2016);

5.6. l’assenza di difese delle parti intimate esonera dalla pronuncia sulle spese; sussistono però i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002 ex art. 13, comma 1-quater (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019; Cass. Sez. U, 4315/2020).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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