Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11507 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. I, 30/04/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 30/04/2021), n.11507

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17486/2019 proposto da:

M.M.R., rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanbattista

Scordamaglia, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANZARO, depositato il

14/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/01/2021 dal cons. Dott. CLOTILDE PARISE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 1421/2019 depositato il 14-5-2019 e comunicato il 23-5-2019 il Tribunale di Catanzaro ha respinto il ricorso di M.M.R., cittadino del (OMISSIS), avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, all’esito del rigetto della sua domanda di protezione internazionale da parte della competente Commissione Territoriale. Il Tribunale, all’esito dell’audizione del richiedente, ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dallo stesso, il quale riferiva di essere fuggito per timore di essere ucciso dagli zii paterni, affiliati al potente partito politico (OMISSIS), per questioni inerenti la proprietà di alcuni terreni. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del (OMISSIS), descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso sono così rubricati: “1. Violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 motivazione illogica con riguardo alla credibilità del ricorrente”; “2. Violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, lett. b) con riferimento alla protezione sussidiaria”; “3. Violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.: Violazione D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – mancata comparazione tra integrazione sociale e situazione personale del richiedente”. Con il primo motivo il ricorrente censura il giudizio di non credibilità espresso dal Tribunale, contestando la ricostruzione dei fatti di cui al decreto impugnato. In particolare rimarca che il suo racconto non era affatto sommario e gravemente implausibile, come affermato dal Tribunale, ma preciso e dettagliato, nel decreto impugnato non era stata espressa alcuna valutazione al riguardo, in violazione dell’art. 132 c.p.c. e il Tribunale non ha esercitato i poteri istruttori ufficiosi in ordine alla vicenda personale narrata. Con il secondo motivo si duole della mancata attivazione di poteri istruttori ufficiosi sia in ordine alla sua vicenda personale, sia circa la situazione generale del suo Paese, deduce di avere diritto alla protezione sussidiaria per il pericolo correlato al timore, da ritenersi fondato, di essere ucciso dagli zii, nonchè per la situazione generale del suo paese, in ordine alla violenza dilagante e alla pericolosità della stessa, agli attacchi terroristici, alla grave violazione dei diritti umani, come risulta dal report di Amnesty International del 2017-2018 e COI del 2017 che richiama. Con il terzo motivo si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria, richiama la normativa di riferimento, rileva che il suo Paese non può ritenersi sicuro e che manca nel decreto impugnato l’indagine collegata alla violazione dei diritti alla vita e all’incolumità personale, quella sul contesto di provenienza correlato alla sua vicenda personale e il giudizio comparativo come da pronuncia n. 4455/2018 di questa Corte, in considerazione della sua documentata attività di lavoro dal settembre 2018.

2. I motivi primo e secondo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, involgendo, sotto distinti ma collegati profili, il giudizio di non credibilità e la valutazione della situazione del Paese di origine del ricorrente, sono inammissibili.

2.1. Secondo l’orientamento di questa Corte al quale il Collegio intendere dare continuità, il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in base ai parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sè solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. L’art. 3 citato, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142/2019; Cass. n. 20580/2019). La suddetta verifica, in quanto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.2. Ciò posto, le censure non si confrontano con la motivazione del decreto impugnato e sono dirette a sollecitare, inammissibilmente, una rivisitazione del merito in ordine al giudizio di non credibilità, riproponendo il ricorrente la propria ricostruzione del narrato, che assume essere non contraddittorio. Infatti il Tribunale, all’esito dell’audizione personale del richiedente, ha compiutamente esaminato i fatti allegati, rilevando plurimi profili di contraddittorietà ed incongruenza del suo racconto (pag. 11 decreto). Una volta accertata dai Giudici di merito l’inattendibilità della vicenda dedotta come ragione causativa del rischio di danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) non vi è ragione di attivare il dovere di cooperazione istruttoria ufficiosa, neppure in ordine alla protezione delle Autorità statali (tra le tante Cass. n. 3340/2019 e Cass. n. 27336/2018).

Inoltre, anche in tema di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (tra le tante Cass. n. 30105 del 2018). Nella specie il Tribunale ha motivatamente escluso la sussistenza di una situazione rilevante ai sensi dell’art. 14 citato, lett. C indicando le fonti informative privilegiate utilizzate ((OMISSIS) 2018 – pag. 14 decreto), e il ricorrente, nell’illustrazione del secondo motivo, si limita a svolgere generiche critiche al decisum sul punto, focalizzando le argomentazioni difensive sulle persecuzioni degli zii, ritenute, motivatamente, non credibili dal Tribunale, per quanto si è già detto.

3. Anche il terzo motivo è inammissibile.

3.1. Con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

3.2. Ciò posto, il ricorrente, denunciando il vizio di violazione di legge, richiama la normativa di riferimento e sentenze di merito e di legittimità, nonchè afferma di essere soggetto vulnerabile a causa della sua vicenda personale, ritenuta non conducente dai Giudici di merito, nonchè della situazione del suo Paese, connotato da gravi violazioni sistematiche di diritti umani, ma non deduce di aver allegato nel giudizio di merito ulteriori elementi individualizzanti di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019). Inoltre deduce genericamente la mancata considerazione del contesto di provenienza, idoneo a provocare, in caso di rimpatrio, lesione alla sua dignità umana, rimarcando di essere integrato in Italia, come da rapporto di lavoro documentato.

La censura non si confronta con la motivazione del decreto impugnato. Il Tribunale, pur dando atto del rapporto di lavoro a tempo determinato citato nel ricorso, esprimendo, peraltro, perplessità sulla genuinità della documentazione lavorativa, ha ritenuto insussistenti profili di vulnerabilità e non dimostrato un effettivo radicamento del ricorrente, che non conosce la lingua italiana, non ha legami affettivi in Italia e non ha una condizione lavorativa e abitativa stabile.

L’assenza di integrazione accertata dal Tribunale preclude la valutazione comparativa rispetto alla condizione in cui il ricorrente si troverebbe in caso di rimpatrio, mancando uno dei fattori di comparazione. Inoltre la situazione del Paese di origine, ove prospettata in termini generali ed astratti come nella specie, è di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata, in conformità a Cass. n. 4455/2018).

4. Nulla deve disporsi circa le spese del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

 

 

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