Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11507 del 25/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 25/05/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 25/05/2011), n.11507

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega n atti;

– ricorrente –

contro

L.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 379/2006 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 29/05/2006 r.g.n. 186/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega PAOLO TOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 127 del 2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Massa ritenuta l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra L.A. e la s.p.a. Poste Italiane, per “esigenze eccezionali” ex art. 8 c.c.n.l. 1994 come integrato dall’acc. az. 25-9-97, dal 2-10-2000 al 31-1-2001, dichiarava l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 2-10-2000 e il conseguente diritto della L. alla riammissione in servizio ed alla regolarizzazione contributiva, nonchè al risarcimento del danno, determinato in tante mensilità della retribuzione globale di fatto quante ne decorrevano dalla data di notifica del ricorso introduttivo (24-1-2003), fino al 5-5-2003, data in cui la L. aveva iniziato a svolgere altra attività lavorativa, detratto l’aliunde perceptum in tale periodo; condannava, infine, la società al pagamento della metà delle spese.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma, con il rigetto della domanda di controparte.

La L. si costituiva resistendo al gravame e proponendo appello incidentale per ottenere la retrodatazione della decorrenza dell’indennità risarcitoria, nonchè la condanna della società al pagamento integrale delle spese.

La Corte d’Appello di Genova, con sentenza depositata il 20-5-2006, respingeva l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale ed in parziale riforma della sentenza appellata, condannava la società “a corrispondere altresì a L. A. a titolo di indennità risarcitoria tante mensilità di retribuzione quante ne decorrono dal 16-7-2002 al 23-1-2003, detratto l’aliunde perceptum quantificato in Euro 1.266,31, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali sugli importi annualmente rivalutati dalle singole scadenze retributive al saldo”, ponendo integralmente a carico della società le spese di primo grado, e condannando la stessa al pagamento di quelle di appello.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con un unico motivo.

La L. è rimasta intimata.

La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo la ricorrente, denunciando violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, artt. 1362 e ss. c.c. e vizio di motivazione, in sostanza lamenta che la sentenza impugnata, violando il principio della “delega in bianco” riconosciuta dalla L. del 1987 alla contrattazione collettiva ed i canoni interpretativi, nonchè con motivazione insufficiente e/o contraddittoria, erroneamente ha ritenuto che “le parti sociali abbiano inteso delimitare temporalmente l’efficacia dell’accordo sindacale del 25-9-97”.

Il motivo è infondato e tanto basta per confermare la nullità del termine apposto al contratto de quo, anche se la motivazione della sentenza impugnata merita di essere parzialmente corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Correttamente la Corte di merito ha ritenuto che la contrattazione collettiva abbia fissato termini di scadenza dell’autorizzazione alla stipula di contratti a termine per l’ipotesi de qua.

In particolare, come questa Corte ha ripetutamente affermato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l.

26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1- 10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base a tale orientamento ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr.. Cass. 29-7- 2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), va confermata la nullità del termine apposto al contratto in esame (concluso per “esigenze eccezionali” ex acc. az. 25-9-97, il 2-10-2000, in data successiva al 30-4-1998), correggendosi, però, la motivazione della impugnata sentenza che, invece, ha ritenuto che gli accordi attuativi ebbero a stabilire, non i termini entro i quali era consentita l’adozione del tipo contrattuale, ma proprio i termini che legittimamente potevano essere apposti ai contratti individuali (v., in casi analoghi, fra le altre, Cass. 10-1-2006 n. 166, Cass. 28-3-2008 n. 8121).

In tal senso, quindi, va respinto il ricorso, in parte correggendosi, come sopra, la motivazione dell’impugnata sentenza, non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno.

Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens. rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Orbene, a prescindere da ogni altra considerazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Il ricorso va pertanto respinto.

Infine non deve provvedersi sulle spese non avendo l’intimata svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2011

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