Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11507 del 12/05/2010

Cassazione civile sez. I, 12/05/2010, (ud. 10/03/2010, dep. 12/05/2010), n.11507

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18030/2007 proposto da:

SOGECO S.P.A., in persona del legale rappresentante sig. T.

M. (c.f. (OMISSIS)), e il sig. T.M.

quale azionista di maggioranza, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DEI CANNONIERI 8 c/o GENTILE RINALDO, rappresentati e difesi

dall’avvocato RACANELLI Francesco, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

CURATORE FALLIMENTO SOGECO SPA, in persona del Curatore Avvocato

V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO

BUOZZI 99, presso l’avvocato D’ALESSIO ANTONIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROMITO Giuseppe Maria giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

contro

FIMIT SRG S.P.A.;

– intimato –

avverso il provvedimento del TRIBUNALE di BARI, depositato il

26/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/03/2010 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato RACANELLI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato ROMITO che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso del socio e il rigetto di quello della società.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in cancelleria il 26 marzo 2007 il Tribunale di Bari dichiarò inammissibile, perchè proposto oltre la scadenza del termine di legge, il reclamo avanzato dal legale rappresentante della fallita SO.GE.CO. s.p.a., sig. T.M., avverso i provvedimenti con cui il giudice delegato aveva disposto la vendita di un complesso immobiliare appartenuto a detta società e rigettato un’istanza di sospensione della vendita stessa.

Per la cassazione di tale provvedimento il sig. T., nell’indicata qualità di legale rappresentante della società fallita, nonchè di socio di maggioranza, ha formulato ricorso articolato in tre motivi, ai quali ha resistito il curatore del fallimento con controricorso illustrato poi da memoria.

Non ha svolto difese, in questa sede, la Società Fondi Immobiliari Italiani – Fimit – Società di gestione del risparmio s.p.a., aggiudicataria del complesso immobiliare venduto.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Prima di esaminare il contenuto del ricorso è necessario sgomberare il campo da una pluralità di eccezioni preliminari sollevate dalla difesa del fallimento, volte a far dichiarare il ricorso medesimo inammissibile.

L’inammissibilità è stata eccepita:

a) perchè nel ricorso si afferma che la procura al difensore è a margine del ricorso stesso, laddove essa invece risulta da un foglio separato, materialmente congiunto all’atto cui si riferisce ma del quale non fa diretta menzione, onde non ne sarebbe provata l’anteriorità rispetto all’atto medesimo;

b) perchè i provvedimenti del giudice delegato, in ordine ai quali il tribunale si è pronunciato in sede di reclamo con il decreto ora impugnato per cassazione, sarebbero privi dei requisiti della decisorietà e definitività, onde il ricorso al giudice di legittimità non sarebbe consentito;

c) perchè il reclamo a suo tempo proposto avverso i suddetti provvedimenti del giudice delegato sarebbe stato tardivo e su quei provvedimenti si sarebbe perciò ormai formato il giudicato;

d) perchè il decreto in questa sede impugnato si fonderebbe su due autonome rationes decidendi, una delle quali non contestata dal ricorrente.

Inammissibili risulterebbero, inoltre, le doglianze riconducibili alla previsione dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, in quanto nel ricorso non risulterebbero individuati vizi di nullità del procedimento o del decreto impugnato, nè sarebbero in questa sede denunciabili meri vizi della motivazione.

Da ultimo, il controricorrente eccepisce l’inammissibilità dei tre motivi del ricorso per mancato rispetto delle disposizioni previste dall’art. 366 bis c.p.c., applicabili ratione temporis al presente giudizio.

2. Nessuna di tali eccezioni è idonea a precludere l’esame del ricorso.

2.1. L’art. 83 c.p.c., come modificato dalla L. 27 maggio 1997, n. 141, fa sì che la procura si consideri apposta in calce all’atto difensivo anche se rilasciata su foglio separato, a condizione che sìa congiunto materialmente all’atto medesimo. La congiunzione materiale è perciò sufficiente a far ritenere che la procura si riferisca a quell’atto e ad esso preesista; nè a ciò osta il fatto che, presumibilmente per un lapsus calami, nel ricorso sia stata fatta menzione di una procura “a margine”, anzichè “in calce”.

Del tutto irrilevante è poi, a questi fini, la circostanza che la copia notificata dell’atto non consista in una fotocopia dell’originale.

2.2. La possibilità d’impugnare per cassazione provvedimenti con cui il tribunale si sia pronunciato su reclami proposti a norma della L. Fall., art. 26, avverso decisioni del giudice delegato in materia di liquidazione dell’attivo discende dall’equiparabilità di tali reclami all’opposizione agli atti esecutivi nell’ambito delle procedure espropriative individuali, come è stato di recente ribadito dalle sezioni unite di questa corte con una sentenza (n. 19506 del 2008) riguardante la procedura di concordato preventivo ma basata su considerazioni a maggior ragione valide in caso di fallimento.

2.3. La tempestività o la tardività del reclamo a seguito del quale è stato emesso il decreto ora impugnato con ricorso per cassazione non è questione che possa incidere sull’ammissibilità di tale ricorso, giacchè questo verte proprio sulla correttezza della decisione del tribunale che ha ritenuto il reclamo intempestivo: si tratta, cioè, del merito della questione sottoposta all’esame di questa corte, e non già di un profilo di ammissibilità del ricorso.

2.4. E’ bensì vero che, nell’impugnato provvedimento, il tribunale ha prospettato una pluralità di rationes decidendi, prendendo in considerazione due ipotesi alternative: l’una secondo la quale l’istanza di sospensione della vendita, contro il cui rigetto era stato proposto reclamo dal difensore del sig. T., sarebbe stata già a suo tempo formulata da detto difensore in base ad una procura rilasciatagli dal medesimo cliente; l’altra secondo la quale, invece, una tale precedente procura avrebbe fatto difetto. Ed è vero anche che il tribunale ha ritenuto il reclamo tardivo, e perciò inammissibile, in entrambe tali ipotesi.

Non è esatto, però, che il ricorso per cassazione ora proposto – come meglio si vedrà tra breve – non investa entrambi gli ipotizzati scenari.

2.5. Neppure è dato comprendere per qual ragione sarebbero inammissibili i profili di doglianza del ricorso riconducibili alla previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, posto che la questione sottoposta all’esame di questa corte è certamente di carattere processuale, giacchè involge il tema della tempestività e dell’ammissibilità di un reclamo proposto a norma della L. Fall., art. 26.

Quanto alla denuncia di vizi di motivazione, è sufficiente ricordare che l’ultimo comma dell’art. 360 c.p.c. (come novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006) consente ormai di prospettare un tal genere di vizi nel ricorso straordinario per cassazione, proposto a norma dell’art. 111 Cost., con la medesima latitudine in cui lo si può fare in caso di ricorso ordinario proposto a norma del primo comma dello stesso art. 360 c.p.c..

2.6. Contrariamente a quanto genericamente sostenuto dalla difesa del fallimento, infine, è da ritenere che i quesiti di diritto che figurano al termine di ciascun motivo del ricorso siano pienamente rispettosi del disposto del citato art. 366 bis c.p.c..

3. Il ricorso può, dunque, essere esaminato nel merito, non senza peraltro aver avvertito che l’esame avrà riguardo unicamente alla proposizione di detto ricorso da parte del sig. T. nella veste di legale rappresentante della società fallita.

L’indicazione con la quale il medesimo sig. T. si qualifica anche “azionista di maggioranza” di detta società, se per un verso inequivocabilmente sta a significare che il ricorrente ha inteso agire anche in questa ulteriore qualità (e dunque in proprio), per altro verso non è certo idonea ad evidenziare un idoneo titolo di legittimazione, atteso che il provvedimento impugnato è stato emesso nei confronti della fallita SO.GE.CO, come sopra rappresentata, e non certo nei confronti personali del socio, e che quest’ultimo – indipendentemente dall’entità della sua partecipazione sociale – non ha alcun titolo per esercitare direttamente i diritti facenti capo alla società.

4. Per intendere correttamente le questioni poste dal ricorso occorre anzitutto brevemente ricapitolare il contenuto dell’impugnato decreto del tribunale che, come già accennato, sviluppa due argomentazioni alternative.

Giova peraltro premettere che le disposizioni della legge fallimentare alle quali si farà riferimento sono quelle vigenti in epoca anteriore alla riforma cui il legislatore ha posto mano col D.Lgs. n. 5 del 2006, trattandosi di una procedura di fallimento già pendente alla data di entrata in vigore di quest’ultimo decreto.

4.1. In primo luogo il tribunale, dopo aver rilevato che il provvedimento reclamato era stato emesso dal giudice delegato a seguito di un’istanza di sospensione della vendita immobiliare formulata dall’avv. Racanelli, oltre che quale creditore in proprio anche nella dichiarata qualità di difensore del legale rappresentante della società fallita, ha dedotto la tardività del reclamo dall’essere stato esso proposto il 31 gennaio 2007 avverso un provvedimento notificato al medesimo avv. Racanelli sin dal 15 dicembre 2006. Il termine di dieci giorni fissato dalla citata L. Fall., art. 26, risultava quindi non esser stato rispettato.

Il medesimo tribunale ha dato atto che, pur avendo l’avv. Racanelli speso il nome del proprio assistito nell’istanza di sospensione, poi non accolta dal giudice delegato, nessuna specifica procura risultava essere allegata a quell’istanza. Nondimeno, il tribunale ha reputato che il professionista avesse agito in forza di un idoneo mandato, rilasciato in una precedente fase della procedura concorsuale, in calce ad una diversa istanza depositata il 25 febbraio 2005; ed ha aggiunto che, comunque, la procura poteva considerarsi integrata dalla successiva ratifica, desumibile dal mandato in calce allo stesso reclamo.

4.2. In via alternativa, formulando una sorta di subordinata logica, il tribunale ha però anche voluto esplorare l’ipotesi secondo la quale – contrariamente a quanto sopra reputato – si fosse voluto escludere la riferibilità dell’anzidetta istanza di sospensione della vendita al legale rappresentante della società fallita, per non esservi un idoneo rapporto di mandato tra costui e l’avv. Racanelli.

In questa seconda ipotesi è chiaro che la notifica all’avv. Racanelli del decreto emesso dal giudice delegato non sarebbe stata, di per sè, idonea a far decorrere il termine per la proposizione del reclamo da parte del legale rappresentante della società fallita.

Tuttavia, il tribunale ha ritenuto che ugualmente il reclamo di costui non avrebbe potuto dirsi tempestivamente proposto: e ciò in quanto, esclusa la legittimazione della società fallita a reclamare avverso un diniego di sospensione della vendita non da essa richiesta, il provvedimento impugnato avrebbe potuto essere individuato solo nella precedente ordinanza che aveva disposto farsi luogo alla vendita. Ma siffatta ordinanza risaliva al 13 luglio 2006, era stata debitamente pubblicizzata e non avrebbe potuto essere impugnata solo dopo che si era conclusa, con un’aggiudicazione provvisoria, la prima fase della procedura di vendita e si era in attesa della seconda fase per effetto di una proposta in aumento del quinto; tanto più che la stessa società fallita aveva riconosciuto di aver avuto notizia di tale proseguimento di gara almeno sin dal 1 dicembre 2006 e, non trattandosi di provvedimenti per i quali sia prescritta la notifica al fallito, una diversa interpretazione rischierebbe d’impedire sine die la stabilizzazione dell’acquisto dell’aggiudicatario. Inoltre – ha osservato ancora il tribunale – essendo stato l’atto di reclamo proposto il 31 gennaio 2007, ma recando esso la data del 9 dicembre 2006, se ne deduce la piena conoscenza dell’atto impugnato da parte del reclamante sin dalla data da ultimo riferita: quindi da più di dieci giorni prima dell’effettiva proposizione del mezzo d’impugnazione.

5. La società ricorrente, come già accennato, si pone l’obiettivo di confutare la decisione impugnata con riguardo ad entrambi gli ipotizzati scenari, al primo dei quali si riferisce il secondo motivo di ricorso, che conviene esaminare prioritariamente.

5.1. Assume la ricorrente che il tribunale, facendo decorrere il termine per il reclamo dalla data della notifica del provvedimento reclamato all’avv. Racanelli, presso il quale il legale rappresentante della società fallita aveva eletto domicilio in occasione di una diversa istanza proposta nell’ambito della medesima procedura fallimentare, avrebbe violato l’art. 47 c.c., oltre che la L. Fall., art. 26, artt. 136 e 739 c.p.c., non potendosi estendere gli effetti dell’elezione di domicilio oltre i limiti dello specifico affare cui si riferisce.

5.2. La censura non coglie però nel segno.

La pronuncia del tribunale non si fonda sul fatto che il predetto avv. Racanelli fosse domiciliatario della parte che ha dichiarato di rappresentare nell’istanza di sospensione della vendita, bensì sulla sua qualifica di procuratore di detta parte, desunta dal mandato rilasciato in calce ad una precedente istanza e, comunque, dalla ratifica ritenuta implicita nella procura per la proposizione del successivo reclamo.

La stessa società ricorrente, in realtà, non contesta di aver conferito procura all’avv. Racanelli nel procedimento del quale si discute – nè comunque contesta la considerazione secondo la quale l’eventuale difetto originario di procura sarebbe stato sanato dalla ratifica successiva, insita nel mandato a proporre il reclamo – ma focalizza la propria doglianza solo sul difetto di idonea elezione di domicilio presso detto difensore. Circostanza, questa, del tutto irrilevante: in quanto, a norma dell’art. 170 c.p.c., comma 1, destinatario della notificazione del provvedimento da impugnare è il procuratore costituito, non la parte; e pertanto il luogo che rileva, ai fini della medesima notificazione, è il domicilio (reale o eletto) del procuratore, non il domicilio eletto dalla parte (si vedano, in argomento, Cass. 28 aprile 2004, n. 8169, Sez. un. 15 luglio 1991, n. 7827, ed altre conformi pronunce di questa corte).

Una volta acquisito, quindi, che l’avv. Racanelli era il procuratore costituito della società fallita nel procedimento de quo, deve per ciò stesso concludersi che la notifica a lui fatta del provvedimento del giudice delegato fosse idonea a far decorrere il termine per la proposizione del reclamo avverso detto provvedimento. Fondatamente, quindi, il tribunale ha reputato che il reclamo sia stato proposto dopo che quel termine era ormai spirato e che, di conseguenza, fosse inammissibile.

5.3. L’inammissibilità del reclamo tardivamente proposto avverso il provvedimento con cui è stata rigettata l’istanza di sospensione della vendita ovviamente assorbe anche il reclamo avverso la precedente ordinanza di vendita.

L’esame dei rimenanti motivi di ricorso si rivela, pertanto, superfluo.

6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società fallita, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che vengono liquidate in Euro 10.000,00 (diecimila) per onorari ed Euro 200,00 (duecento) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 (diecimila) per onorari ed euro 200,00 (duecento) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2010

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