Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11503 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. I, 30/04/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 30/04/2021), n.11503

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 531/2019 proposto da:

A.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Gianluca Vitale, in

virtù di procura in calce al ricorso per cassazione, elettivamente

domiciliato in Roma, via Torino, n. 7, presso lo studio legale

dell’Avv. Laura Barberio;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di TORINO depositato in data 12

novembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

3/12/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con decreto del 12 novembre 2018, il Tribunale di Torino ha rigettato il ricorso proposto da A.P., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il ricorrente aveva dichiarato di essersi sposato con una ragazza di nome S., che era stata violentata e sequestrata da alcuni malviventi; di essere partito con lei per la Libia e di avere avuto due figli, di cui uno nato in Italia, che non aveva potuto riconoscere perchè ristretto in carcere; che in (OMISSIS) non era riuscito a trovare lavoro perchè gli dicevano che faceva parte delle sette e che, in caso di rientro, avrebbe potuto essere perseguitato dalle sette; di avere vissuto in Libia alcuni anni e di essere partito per la situazione di instabilità del paese con la moglie e il primo figlio in Italia.

3. Il Tribunale, dopo avere evidenziato che la difesa aveva insistito per il riconoscimento della sola protezione umanitaria, riteneva che la semplice presenza di figli minori in Italia non determinava da sola l’accoglimento della domanda e che era assente ogni forma di integrazione nel tessuto sociale italiano, nonchè l’assenza di una aggregazione familiare e di un nucleo familiare autonomo, non essendovi prova che il richiedente provvedesse al mantenimento dei bambini; il richiedente non aveva vissuto con i figli, che abitavano in luoghi diversi, nè era stato in grado di riferire le scuole frequentate e aveva erroneamente indicato la data di nascita della figlia G., nata il (OMISSIS), riferendo che aveva due anni, mentre ne aveva tre

4. A.P. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato ad un unico motivo.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e la violazione dei criteri legali per il riconoscimento della protezione umanitaria e omessa valutazione della situazione oggettiva della (OMISSIS).

1.1 Il motivo è inammissibile perchè non si confronta con nessuna delle specifiche e plurime ragioni del decidere poste dal Tribunale a fondamento della decisione.

1.2 Il Tribunale ha, infatti, evidenziato che gli elementi emersi non offrivano alcuna evidenza in ordine ad una peculiare situazione di vulnerabilità del soggetto ricorrente e che il ricorrente aveva motivato la domanda di protezione umanitaria evidenziando di non avere alcun legame con la (OMISSIS), avendo lasciato il suo paese da 15 anni e in ragione della presenza di figli minori in Italia.

Inoltre, il Tribunale ha affermato che, anche ritenendo credibile il racconto del richiedente, la presenza di figli minori non determinava da sola l’accoglimento della domanda e che dagli atti era emerso che il ricorrente era giunto in Italia una prima volta nel 2006, aveva fatto domanda di protezione internazionale che era stata rigettata nel 2008 ed era stato destinatario di due decreti di espulsione; che era stato espulso dalla Francia nel 2010 e che era rientrato in Italia nel 2015, dove era stato condotto in carcere per espiare una condanna per il reato di spaccio di droga; che espiata la condanna si era recato a (OMISSIS), mentre la moglie con i due bambini era rimasta a (OMISSIS) e che successivamente la moglie si era recata a (OMISSIS) e il ricorrente era andato a vivere nel centro di accoglienza di (OMISSIS).

1.3 La Corte di Cassazione ha più volte affermato che nell’ipotesi in cui la sentenza impugnata sia basata su plurime e distinte “rationes decidendi”, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, sussiste l’onere del ricorrente di impugnarle tutte, a pena di inammissibilità del ricorso (Cass., 18 aprile 2019, n. 10815).

1.4 In ogni caso, il ricorrente, nel denunciare il vizio di violazione di legge con riguardo alla statuizione di diniego della protezione umanitaria, svolge doglianze totalmente generiche, sia con riferimento alla dedotta situazione di vulnerabilità soggettiva, sia avuto riguardo alla situazione del paese di provenienza, sollecitando un’inammissibile rivalutazione degli accertamenti di fatto effettuata dal Tribunale, che ha, con adeguata motivazione, escluso, nel caso concreto, la sussistenza di fattori di vulnerabilità soggettiva ed oggettiva, affermando che lo stesso ricorrente aveva riferito di avere lasciato la (OMISSIS) da oltre 15 anni e mancando, peraltro, di indicare nel ricorso per cassazione rispetto a quale altro paese di transito dovesse essere effettuata, nella sussistenza dei presupposti di legge, la valutazione comparativa.

2. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

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