Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11502 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/06/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 15/06/2020), n.11502

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19069-2019 proposto da:

U.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TEOFILO

FOLENGO 49, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MARIA FACILLA,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO 80014130928 COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VICENZA, in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 4621/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato

il 29/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE

PARISE.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con decreto n. 4621/2019 depositato il 29-05-2019 il Tribunale di Venezia ha respinto il ricorso di U.F., cittadino della Nigeria, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, all’esito del rigetto della relativa domanda da parte della Commissione Territoriale. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere di religione cristiana e di essere fuggito dalla Nigeria perchè minacciato dai suoi vicini, che volevano impedirgli la sepoltura di sua madre. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale della Nigeria e dell’Edo State, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

2. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Mancata assunzione dell’onere probatorio”. Quanto alla prova delle condizioni e i presupposti per la dichiarazione di rifugiato, rimarca il ricorrente che l’onere probatorio incombente sulla parte richiedente asilo deve considerarsi attenuato – così come previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 – a causa delle difficoltà di reperire prove da parte di chi si trova in fuga da una situazione di pericolo. Deduce, richiamando la giurisprudenza di questa Corte e la normativa di riferimento, che il suo racconto erroneamente era stato ritenuto inattendibile dalla Commissione, senza tenere conto della situazione di confusione in cui si trovava il richiedente per la sua condizione di soggetto fragile e senza effettuare i doverosi approfondimenti istruttori.

2.1. Con il secondo motivo (per refuso indicato come terzo in ricorso) il ricorrente lamenta “Sussistenza del diritto di asilo”. Censura la sentenza impugnata per violazione di diritto di asilo contemplato dall’art. 10 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 3. Rileva che l’art. 10 Cost., prevede il diritto di asilo nel territorio della Repubblica per lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese di origine l’effettivo esercizio delle libertà democratiche e religiose garantite dalla Costituzione italiana. Adduce che in Nigeria sono gravissime le violazioni dei diritti umani, stanti i casi di arresti, torture, sevizie, sparizioni improvvise, come risulta dalle fonti di conoscenza che richiama.

2.2. Con il terzo motivo (per refuso indicato come quarto in ricorso) il ricorrente si duole del diniego della protezione sussidiaria. Rileva che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. G) e H), conformemente a quanto previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. F) e G), definisce “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se tornasse nel Paese di origine, o, nel caso di apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito nel presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese. Dopo aver richiamato la normativa di riferimento a la giurisprudenza di questa Corte, deduce che in Nigeria la situazione della sicurezza è caratterizzata da diffusi atti di criminalità e di terrorismo, nonchè da violente sommosse in varie aree del Paese.

2.3. Con il quarto motivo (per refuso indicato come quinto in ricorso) il ricorrente lamenta il diniego della protezione umanitaria. Deduce che le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e art. 5, comma 6, in applicazione del principio di diritto internazionale del “non refoulement” stabiliscono che in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione, in linea con i principi espressi nel richiamato art. 10 Cost.. Rileva che nel caso in esame risulta evidente la sussistenza dei presupposti di applicazione delle suddette norme, essendo notoria la situazione di violenza generalizzata e di grave violazione dei diritti umani del suo Paese. Infine rappresenta, sotto il profilo del periculum in mora, che “nei suoi confronti, a seguito del diniego impugnato, potrebbe essere emesso un provvedimento di espulsione ed accompagnamento alla frontiera a mezzo della Forza Pubblica per il rientro nel proprio paese di origine, dove eventualmente sarebbe in grave pericolo”. Chiede pertanto un provvedimento cautelare di sospensione.

3. Preliminarmente deve ritenersi inammissibile la richiesta di provvedimento cautelare di sospensione, potendo tale richiesta essere rivolta esclusivamente al giudice del merito D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, comma 13.

I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione perchè involgono, sotto distinti ma collegati profili, il giudizio di credibilità e la valutazione sulla situazione del Paese di origine ai fini del riconoscimento del rifugio e della protezione sussidiaria, sono inammissibili.

3.1. Il ricorrente, censurando, sub specie del vizio di violazione di legge, il giudizio di non credibilità, motivatamente espresso dal Tribunale, si limita a richiamare diffusamente la normativa di riferimento e la giurisprudenza di questa Corte e neppure si confronta con il percorso argomentativo di cui al decreto impugnato. I Giudici di merito hanno rimarcato in dettaglio vari profili di incoerenza, contraddittorietà e genericità dei fatti narrati (pag.n. 4 del decreto impugnato), ritenendo di natura privata la vicenda narrata, sì da non potere integrare ipotesi di rifugio. Inoltre il Tribunale ha affermato che il richiedente non aveva allegato di poter subire un danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) (pag.n. 4 del decreto impugnato), e neppure detta affermazione è specificamente censurata.

3.2.Quanto alla protezione sussidiaria di cui all’art. 14 cit., lett. c), l’accertamento della situazione del Paese di origine del richiedente integra un apprezzamento di fatto, sindacabile solo nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5 (Cass. n. 30105/2018). Nella specie, il Tribunale ha esaminato e descritto ampiamente la situazione della Nigeria, con indicazione delle fonti di conoscenza, affermando che nell’Edo State, da cui proviene il ricorrente, non risultavano le criticità riferibili ad altre zone. Le deduzioni svolte al riguardo in ricorso, oltre ad essere del tutto

generiche, sono inammissibilmente dirette ad una

ricostruzione fattuale difforme da quella motivatamente effettuata dai Giudici di merito.

4. Anche la doglianza riferita al diniego della protezione umanitaria è inammissibile.

Occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

Ciò posto, non è minimamente specificata in ricorso quale sia la condizione di vulnerabilità del ricorrente, che è stata esclusa con motivazione adeguata dal Tribunale (pag.n. 7 decreto impugnato), rispetto alla quale, ancora una volta, il ricorrente non si confronta. Le deduzioni svolte in ricorso, limitate al richiamo della normativa di riferimento, sono, pertanto, estranee al decisum, non essendo dato rinvenire alcun riferimento alla motivazione, sul punto, del decreto impugnato. Il ricorrente neppure indica elementi individualizzanti di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019).

Il fattore di integrazione lavorativa e sociale in Italia del ricorrente, che, peraltro, il Tribunale neppure ha ritenuto compiutamente dimostrato, non può essere isolatamente considerato, diventando recessivo se difetta la vulnerabilità, come nella specie, ed inoltre la situazione del Paese di origine, in termini generali ed astratti, è di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata, in conformità a Cass. n. 4455/2018).

5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro2.100 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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