Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11500 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. I, 30/04/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 30/04/2021), n.11500

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15566/2019 proposto da:

O.C., rappresentato e difeso, congiuntamente e

disgiuntamente, dagli Avv.ti Francesco Del Stabile, e Mariangela Di

Biase, giusta nomina e procura speciale in calce al ricorso per

cassazione, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Davide Lodi, in Roma, alla via Corfinio, n 23;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di CAMPOBASSO depositato il 2 aprile

2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

2/12/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con decreto del 2 aprile 2019, il Tribunale di Campobasso ha rigettato e dichiarato manifestamente infondato il ricorso proposto da O.C., cittadino proveniente dalla (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il richiedente aveva riferito di essere fuggito dalla (OMISSIS) ((OMISSIS)) perchè si era rifiutato di entrare in un gruppo dedito alle rapine, gruppo che aveva ucciso i suoi genitori, e che la Polizia aveva pensato che facesse parte della banda e quindi era scappato nella foresta, dopo essere riuscito a seppellire i genitori e dopo che aveva saputo che la sua casa era stata incendiata.

3. Il Tribunale ha ritenuto che non erano state prospettate situazioni di persecuzione come elencate nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 avendo egli dichiarato di essere fuggito perchè ricercato dagli appartenenti ad una banda locale; che non sussistevano nemmeno i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria poichè la situazione della (OMISSIS) non era di guerra civile essendo presenti in altre regioni unicamente bande armate di diversa etnia in lotta fra loro, che le forze governative cercavano di controllare e che il richiedente non aveva fatto alcun riferimento a conflitti armati o a situazioni di violenza; che non sussistevano le condizioni di vulnerabilità in quanto le difficoltà del richiedente attenevano a questioni di violenza legate alla operatività di un gruppo di criminali locali e non erano connesse a violazioni dei diritti umani fondamentali; la domanda era manifestamente infondata in quanto le circostanze prospettate dal ricorrente erano chiaramente riferite ad esigenze personali e locali e l’interesse concreto azionato neppure in astratto era ricollegabile alle norme e ai presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria; che stante la manifesta infondatezza non appariva necessaria l’audizione ulteriore del richiedente.

4. O.C. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a tre motivi.

5. L’Amministrazione intimata ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo il Tribunale indicato le fonti, mentre nella zona del sud della (OMISSIS) era noto che le operazioni di polizia erano caratterizzate da pesanti violazioni dei diritti umani.

1.1 Il motivo è inammissibile.

1.2 Il Tribunale, oltre ad affermare che il richiedente non aveva prospettato situazioni di persecuzione specifiche, ha precisato da un lato che la situazione della (OMISSIS) non era di guerra civile essendo presenti in altre regioni unicamente bande armate di diversa etnia in lotta fra loro, che le forze governative cercavano di controllare e dall’altro, con specifica e autonoma ragione del decidere che non è stata espressamente contestata, che il richiedente non aveva fatto alcun riferimento a conflitti armati o a situazioni di violenza che interessavano lo stato di provenienza, non essendo qualificabili come tali le violenze di una banda locale dedita alle rapine.

1.3 Da ciò discende l’inammissibilità della doglianza, avendo la Corte di Cassazione più volte affermato che nell’ipotesi in cui il provvedimento impugnato sia basato su plurime e distinte “rationes decidendi”, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, sussiste l’onere del ricorrente di impugnarle tutte, a pena di inammissibilità del ricorso (Cass., 18 aprile 2019, n. 10815; Cass., 10 agosto 2017, n. 19989).

2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo il Tribunale considerato che egli era fuggito dal Paese di origine perchè oggetto di gravi minacce e che egli aveva già formato in Italia un nucleo familiare, essendo lo stesso padre di un bambino di pochi mesi, O.A.B., nato a (OMISSIS), così non valorizzando l’interesse del minore e il suo diritto a non essere privato della figura paterna.

2.1 Il motivo è inammissibile.

2.2 Sul punto, deve rammentarsi che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., 22 febbraio 2019, n. 5358).

La condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 15 maggio 2019, n. 13079).

Con particolare riferimento al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, questo, tuttavia, può assumere rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Resta da aggiungere che il fattore dell’integrazione sociale in Italia, peraltro genericamente allegato in ricorso, è recessivo, qualora difetti la vulnerabilità, come affermato da questa Corte con la pronuncia 23 febbraio 2018, n. 4455.

2.3 Il Tribunale, sul punto, ha affermato, con motivazione che rispetta i principi richiamati, neppure censurata dal ricorrente, che non sussistevano le condizioni di vulnerabilità in quanto le difficoltà del richiedente attenevano a questioni di violenza legate alla operatività di un gruppo di criminali locali e non erano connesse a violazioni dei diritti umani fondamentali e che la domanda era manifestamente infondata in quanto le circostanze prospettate dal ricorrente erano chiaramente riferite ad esigenze personali e locali e l’interesse concreto azionato non era ricollegabile, neppure in astratto, alle norme e ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

2.4 Anche con riguardo alla richiesta di audizione del richiedente, la doglianza è infondata perchè il ricorrente non ha indicato le specifiche circostanze fattuali su cui avrebbe voluto essere sentito, nè l’incidenza di tali fatti nella fattispecie in esame.

In proposito, questa Corte, anche di recente ha statuito che “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass., 7 ottobre 2020, n. 21584).

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta il vizio di motivazione apparente e contraddittoria, l’omesso esame di circostanze decisive quali le minacce e i soprusi subiti, nonchè lo status di padre, non avendo il Tribunale ritenuto necessaria l’audizione personale del ricorrente, senza approfondire la vicenda personale e il contesto socio-politico (OMISSIS).

3.1 Anche il terzo motivo è inammissibile, poichè la motivazione dettata dal Tribunale, pur sintetica, è esistente e consente di ricostruire il percorso logico seguito nel rispetto dei canoni di congruità logica e come tale è idonea a sottrarsi alla dedotta censura.

E’ utile ribadire che il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza ricorre ogni qualvolta il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logico-giuridica, rendendo così impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

3.2 In ordine, poi, al dedotto esame di circostanze quali le minacce e i soprusi subiti, nonchè lo status di padre, rileva un ulteriore profilo di inammissibilità, poichè il ricorrente non ha rispettato le prescrizioni sulle modalità di deduzione del vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come individuate dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 7 aprile 2014, n. 8053, e nulla ha argomentato in ordine alla loro necessaria decisività, ovvero all’essere state oggetto di discussione tra le parti, nè ha indicato puntualmente quando esse siano state dedotte.

4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, in ragione del contenuto del controricorso, con il quale l’Amministrazione interessata non svolto sostanziali difese.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

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