Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11500 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/06/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 15/06/2020), n.11500

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18937-2019 proposto da:

H.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIO FAA’ DI

BRUNO 15, presso lo studio dell’avvocato MARTA DI TULLIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO 80014130928 COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SIRACUSA, in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope elgis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSE 1l’A, depositato il

17/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE

PARISE.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con decreto n. 959/2019 depositato il 17-05-2019 il Tribunale di Caltanissetta ha respinto il ricorso di H.A., cittadino del Pakistan, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito perchè temeva di essere ucciso ai wahabiti, i quali avevano ucciso suo zio, che era un leader sciita. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Pakistan, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

2. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, dell’art. 16 Direttiva Procedure 2013/32 UE, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8”. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 7 e art. 14, lett. b)”. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”. Censura il giudizio di non credibilità, richiamando la normative di riferimento e lamentando la mancata attivazione del dovere di cooperazione istruttoria, in ordine all’acquisizione di informazioni sia sulla fondatezza degli allegati rischi di persecuzione, sia sulla situazione generale del suo Paese. Si duole, inoltre, del diniego della protezione umanitaria, richiamando la normativa di riferimento e le pronunce di questa Corte sui presupposti per il riconoscimento della tutela residuale.

3. Sono inammissibili i primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, involgendo le censure, sotto distinti ma collegati profili, il giudizio di non credibilità della vicenda personale narrata e la valutazione della situazione del Paese di origine.

Il Tribunale ha, motivatamente, escluso la credibilità del racconto del ricorrente, procedendo anche all’audizione dello stesso (pag.n. 2 decreto impugnato), in dettaglio esaminando i fatti allegati e rimarcando molteplici incongruenze e contraddittorietà della narrazione, nonchè citando le fonti di conoscenza da cui risulta che nella zona abitata dalla madre del ricorrente coesistono sciiti e sunniti, peraltro in vicinanza di una zona dove prevale la presenza degli sciiti.

Le censure, svolte sub specie del vizio di violazione di legge, non si confrontano con la ratio decidendi sopra riassunta e si risolvono in deduzioni astratte e generiche dirette, inammissibilmente, a prospettare una ricostruzione dei fatti difforme da quella accertata dai Giudici di merito, anche con riferimento alla situazione generale del Paese (Cass. n. 30105/2018), che è stata descritta ampiamente, con indicazione delle fonti di conoscenza.

4. Anche il terzo motivo è inammissibile.

Occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

Ciò posto, il Tribunale ha compiutamente esaminato la domanda di protezione umanitaria ed ha ritenuto insussistente, anche sotto il profilo oggettivo, la vulnerabilità del ricorrente, il quale si limita, del tutto genericamente, a richiamare la normativa di riferimento e alcune sentenze di questa Corte, senza nulla precisare in ordine alla propria condizione personale di vulnerabilità, salvo dolersi della mancata considerazione, da parte del Tribunale, di criptiche “minacce ricevute” e svolgendo considerazioni non pertinenti rispetto alle argomentazioni di cui al decreto impugnato.

5.In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro2.100 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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