Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1150 del 18/01/2018


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Cassazione civile, sez. trib., 18/01/2018, (ud. 25/10/2017, dep.18/01/2018),  n. 1150

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che la Cooperativa Edilizia Riserva Verde S.r.l. in l.c.a. propone ricorso per cassazione, con unico mezzo, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha rigettato l’appello da essa proposto, ritenendo legittimo il diniego di rimborso delle ritenute di acconto sugli interessi maturati sui depositi bancari in conto corrente ad essa intestati, sulla base del rilievo che “in tema di imposte sui redditi, la ritenuta d’acconto conserva la sua funzione fino al momento della liquidazione dell’imposta e, nel caso di liquidazione coatta amministrativa,… (questa) avviene alla chiusura della procedura concorsuale e non sulla base di una dichiarazione annuale dei redditi”;

considerato che con l’unico motivo di ricorso la società contribuente denuncia violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 11,93 e 125 (nel testo applicabile ratione temporis); D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 10 e 26; D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, art. 18; D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 5; R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 213; art. 2495 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. deciso nei termini suesposti, in adesione a orientamento giurisprudenziale formatosi antecedentemente alla riforma del diritto societario, omettendo di considerare l’incidenza su di esso della modifica dell’art. 2495 c.c., in tema di effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese;

che secondo la ricorrente, infatti, importando questa, nella nuova disciplina, l’estinzione della società, la conferma del pregresso orientamento conduce alla conclusione paradossale che il rimborso da parte del fisco dell’eccedenza d’imposta diviene suscettibile di esecuzione solo in un momento in cui la società – e quindi la procedura concorsuale – deve considerarsi estinta, con la cessazione delle operazioni concorsuali antecedente alla esecuzione del rimborso e, soprattutto, con la sopravvenuta carenza di legittimazione attiva della procedura a percepire il rimborso medesimo (il quale invece dovrebbe concorrere alla ripartizione dell’attivo tra i creditori);

ritenuto che la censura è infondata;

che, come ricorda la stessa ricorrente, secondo orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, in tema di imposte dirette, i sostituti d’imposta indicati nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 26, comma 2, hanno l’obbligo di operare le ritenute d’acconto sugli interessi di conti correnti e di depositi bancari e postali anche quando l’impresa a favore della quale sono corrisposti sia sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, non rilevando in contrario la circostanza che – per il combinato disposto dell’art. 125 T.U.I.R., D.P.R. n. 42 del 1988, artt. 18 e 31 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 10 – l’accertamento di un effettivo debito d’imposta sul reddito d’impresa dell’ente possa essere compiuto soltanto nella fase di chiusura della liquidazione, ove risulti un “residuo attivo” imponibile;

che ad un tal esito, infatti, dall’imposta che risulterà dovuta si scomputeranno gli acconti prelevati dai sostituti nel corso della procedura e versati all’Erario, mentre insorgerà, invece, il diritto dell’ente medesimo al rimborso totale o parziale di dette somme, nell’opposta ipotesi in cui, in base alle risultanze del conto di gestione e del bilancio finale, non siano dovute imposte sui redditi d’impresa o siano dovute imposte per un ammontare inferiore a quello delle ritenute d’acconto, senza che ciò si ponga in contrasto con il principio di capacità contributiva e con il diritto di difesa;

che nel caso (ricorrente nella specie) del reddito di capitale delle persone giuridiche tassato in base al bilancio, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, comma 4, nel disporre che la ritenuta è eseguita a titolo di acconto, senza menzionare il modo in cui deve avvenire la liquidazione dell’imposta, regolato da distinte disposizioni, comporta che la disciplina della ritenuta d’acconto non è condizionata dalle concrete modalità della liquidazione dell’imposta: le particolari finalità di ordine pubblicistico della procedura concorsuale, pertanto, non assumono rilievo di fronte ad un siffatto quadro normativo, configurante un meccanismo di conguaglio fra somme versate in acconto e somme dovute in base alla liquidazione finale dell’imposta, da applicarsi senza deroghe a tutti i contribuenti in virtù del principio di eguaglianza tributaria, che risulterebbe invece violato ove si accogliesse la tesi della “momentanea intassabilità” degli interessi corrisposti all’avente diritto (Cass. 14/05/2007, n. 10974; v. anche Cass. 07/07/2004, n. 12433; 14/11/2001, n. 14127; Cass. 29/12/1995, n. 13154);

che non può costituire ragione per rivedere tale orientamento la novella dell’art. 2495 c.c. (introdotta dalla riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la cui entrata in vigore come noto è fissata al 1 gennaio 2004) e, segnatamente, l’effetto estintivo che adesso deve annettersi alla cancellazione della società dal registro delle imprese (Cass. Sez. U. 22/02/2010, n. 4062), alla quale a sua volta è tenuto a provvedere il liquidatore ai sensi della L. Fall., art. 213,subito dopo l’approvazione del bilancio e la ripartizione finale tra i creditori;

che il contrario assunto della ricorrente appare anzitutto privo di consistenza alla luce della normativa dettata dall’art. 125 T.U.I.R. e D.P.R. n 42 del 1988, art. 18, più volte citati, secondo cui grava sul commissario liquidatore di una società di capitali sottoposta a l.c.a. l’obbligo di provvedere, prima della ultimazione della procedura concorsuale e della presentazione della dichiarazione finale, al versamento nei modi ordinari dell’Ilor e dell’Irpeg che risultino dovute; non può infatti non farsene discendere, come logico corollario, che lo stesso commissario possa parimenti attivarsi nelle forme di legge, prima della chiusura della liquidazione, per il recupero e la ripartizione fra gli aventi diritto delle somme prelevate dai sostituti d’imposta nel corso della procedura, ove dal conto e dal bilancio finale risulti che le ritenute d’acconto non sono, in tutto o in parte, dovute a causa della inesistenza (o del modesto ammontare) di un residuo attivo imponibile (v. già in tal senso Cass. n. 13154 del 1995);

che in secondo luogo va comunque rammentato che, secondo acquisizione altrettanto consolidata nella giurisprudenza di questa Corte, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (Cass. Sez. U. 12/03/2013, n. 6070);

che anche in tale prospettiva deve pertanto negarsi sussista valida ragione, ancorchè di carattere pratico, per derogare al principio sopra enunciato, posto che l’eventuale diritto al rimborso, anche dopo l’estinzione della società, potrebbe essere azionato, pro quota, dagli ex soci suoi successori e per converso su di esso, negli stessi limiti, potrebbero continuare a soddisfarsi i creditori rimasti eventualmente insoddisfatti;

che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 6.500 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2018

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