Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 115 del 07/01/2020

Cassazione civile sez. lav., 07/01/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 07/01/2020), n.115

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19440/2015 proposto da:

DE.MA.FIL. DI D.M.A. E C. S.N.C., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

REGINA MARGHERITA 1, presso lo studio dell’avvocato SILVIO BOZZI,

rappresentata e difesa dall’avvocato SAVERIO DI CIOMMO;

– ricorrente –

e contro

N.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 143/2015 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 30/04/2015, R.G.N. 446/2014.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza in data 30 aprile 2015 (notificata il 18 maggio 2015), la Corte d’appello di Potenza condannava De.Ma.Fil. di D.M.A. & C. s.n.c. al pagamento, in favore di N.A. a titolo di retribuzione di novembre 2009, tredicesima mensilità maturata e T.f.r., della somma di Euro 1.800,00 oltre interessi e rivalutazione: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece revocato, in accoglimento dell’opposizione della società datrice, il decreto con il quale la lavoratrice aveva ad essa ingiunto tale pagamento;

avverso tale sentenza la società ricorreva per cassazione con unico motivo, mentre la lavoratrice intimata non svolgeva difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. la ricorrente deduce omesso esame in ordine ad un fatto controverso e decisivo, quale l’esistenza di un unico credito della lavoratrice nei confronti della società datrice, con la conseguente inconferenza del principio di diritto posto a base della sentenza impugnata, in sè esatto, dell’onere di imputazione della parte creditrice di un pagamento ricevuto con assegno (titolo astratto, la cui emissione si presume giustificata dall’esistenza di un sottostante rapporto fondamentale) ad un titolo diverso dall’estinzione del credito azionato; neppure essendo postdatato il titolo di credito, nonostante la falsità della dichiarazione testimoniale, siccome pervenuto nella disponibilità della datrice dopo la cessazione del rapporto di lavoro (unico motivo);

2. esso è inammissibile;

2.1. appare evidente che la dedotta esistenza di un unico credito (da ritenere estinto) non configuri alcun fatto storico deducibile ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439); di ciò non trattandosi, avendo anzi costituito oggetto del dibattito processuale tra le parti (e del conseguente esame della Corte territoriale) la pluralità di crediti della lavoratrice asseritamente non estinti ed in particolare l’adeguatezza della prova del pagamento di quello oggetto di causa, sulla base di un titolo di credito, con la conseguente attribuzione dell’onere dell’imputazione del pagamento con tale mezzo: sicchè, effettivo oggetto della doglianza è piuttosto la corretta ripartizione del relativo onere, se non la valutazione operata in esito all’applicazione del regime probatorio, palesemente incensurabile in sede di legittimità;

2.2. d’altro canto, è noto che spetti al datore di lavoro, il quale non possa provare di aver corrisposto la retribuzione dovuta al dipendente mediante la normale documentazione liberatoria data dalle regolamentari buste-paga recanti la firma dell’accipiente, l’onere di provare rigorosamente i relativi pagamenti eseguiti in riferimento ai singoli crediti vantati dal lavoratore e della cui sussistenza sia stata acquisita la dimostrazione (Cass. 6 marzo 1986, n. 1484; Cass. 13 aprile 1992, n. 4512);

2.3. deve pure essere ribadito il principio secondo cui, quando il convenuto per il pagamento di un debito dimostri di aver corrisposto una somma di denaro idonea all’estinzione del medesimo, spetti al creditore, che sostenga l’imputazione del pagamento all’estinzione di un debito diverso, allegare e provare l’esistenza di quest’ultimo, nonchè la sussistenza delle condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione: non potendo peraltro il principio trovare applicazione nel caso in cui il debitore eccepisca l’estinzione del debito fatto valere in giudizio per effetto dell’emissione di più assegni bancari, atteso che, essa implicando la presunzione di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la nascita di un’obbligazione cartolare, resta a carico del debitore convenuto l’onere di superare tale presunzione, dimostrando il collegamento tra il precedente debito azionato ed il successivo debito cartolare, con la conseguente estinzione del primo per effetto del pagamento degli assegni (Cass. 28 febbraio 2012, n. 3008; Cass. 18 febbraio 2016, n. 3194); e ancor più esplicitamente, soltanto a fronte della comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva, ossia puntualmente eseguito con riferimento ad un determinato credito, l’onere della prova viene nuovamente a gravare sul creditore il quale controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso: con la conseguenza che tale principio non può trovare applicazione quando il pagamento venga eccepito mediante la produzione di assegni o cambiali, che per la loro natura presuppongono l’esistenza di un’obbligazione cartolare (e l’astrattezza della causa), così da ribaltare nuovamente l’onere probatorio in capo al debitore, che deve dimostrare il collegamento dei titoli di credito prodotti con i crediti azionati, ove ciò sia contestato dal creditore (Cass. 6 novembre 2017, n. 26275);

3. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza alcun provvedimento sulle spese di giudizio, non avendo la lavoratrice vittoriosa svolto difese e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

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