Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11497 del 12/05/2010

Cassazione civile sez. I, 12/05/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 12/05/2010), n.11497

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.M. (c.f. (OMISSIS)), T.A. (C.F.

(OMISSIS)), P.G. (C.F. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FONTANELLA BORGHESE 72, presso

l’avvocato VOLTAGGIO PAOLO, che li rappresenta e difende unitamente

agli avvocati VOLTAGGIO LUCCHESI FRANCO, STECCANELLA MICHELE giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI FONTANAFREDDA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 6, presso l’avvocato

ROMANO VANIA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FORZA ANTONIO giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 413/2004 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 22/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/02/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito per il ricorrente l’Avvocato VOLTAGGIO, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato ROMANO, che ha chiesto il rigetto

del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione, notificato il 4.4.1981, G., A. e P.M., unitamente ad T.A., evocavano in giudizio il Comune di Fontanafredda e la Regione F. Venezia Giulia,al fine d’accertare la giusta indennità conseguente all’ablazione di parte di un fondo,sito nel Comune di Fontanafredda, operata con il decreto d’esproprio, emesso il 13.2.1981.

Resisteva il Comune, eccependo la temporanea carenza d’interesse ad agire degli attori, posto che la speciale procedura poteva esser avviata solo contro il provvedimento di stima dell’apposita Commissione e, non già, anche contro il provvedimento di stima provvisoria, e, comunque, rilevando la correttezza della quantificazione operata.

Resisteva anche l’Ente Regione,rilevando la propria carenza di legittimazione passiva, posto che esso ente pubblico non era l’ente espropriante, bensì solo il soggetto deputato dalla legge a fissare l’indennità provvisoria.

Radicatosi il contraddittorio, la Corte territoriale sospendeva il procedimento sino alla definizione della procedura avanti il Giudice amministrativo intrapresa per l’annullamento dei provvedimenti di stima e di esproprio, ritenuta pregiudiziale.

Con ricorso depositato il 14.5.2003, P.M., T.A. e P.G., quest’ultimo anche quale unico erede di P. A. riassumevano la controversia, essendosi il processo amministrativo definito con la sentenza di rigetto del loro ricorso da parte del Consiglio di Stato, emessa il 26.2.2002 e divenuta definitiva nel novembre 2002.

Espletata CTU, la Corte d’appello di Trieste, con sentenza depositata il 22.6.04, dichiarava la carenza di legittimazione della Regione e, ritenuta poi sussistente l’edificabilità legale dell’area espropriata al momento dell’emanazione del decreto d’esproprio, determinava in Euro 30.054,77 l’indennità di espropriazione complessivamente dovuta agli odierni ricorrenti.

Avverso detta sentenza ricorrono per cassazione i P. e la T. sulla base di due motivi cui resiste con controricorso il Comune di Fontanafredda.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti si dolgono innanzitutto che la Corte territoriale abbia erroneamente qualificato l’intervento come di “edilizia residenziale pubblica convenzionata” D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 36, mentre si sarebbe avuta una “iniziativa di sfruttamento edificatorio del territorio programmata da privati”. Con la conseguenza che, nel caso di specie, doveva trovare applicazione il principio della indennizzabilità del valore pieno dell’immobile ai sensi della L. del 1865, art. 39, rispetto al quale il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 36, avrebbe valore puramente ricognitivo, come risulterebbe confermato anche dalla L. n. 166 del 2002, art. 27.

Inoltrerà Corte territoriale avrebbe errato nel non ritenere applicabile la L. n. 166 del 2002, art. 27, comma 5, poichè il disposto riguarderebbe “i piani attuativi di iniziativa privata in generale, e non invece i programmi di riqualificazione urbana ai quali si riferiscono in via esclusiva i soli primi quattro commi dell’art. 27”.

Con il secondo motivo di ricorso lamentano i ricorrenti che – malgrado le osservazioni alla perizia laddove essa non aveva considerato il contratto 17/2/82 ed aveva detratto dal valore il costo degli oneri di urbanizzazione – la sentenza sarebbe caduta nel duplice errore di non spiegare perchè avrebbe pretermesso di considerare il contratto invocato, ove le parti avevano indicato un valore espresso, e di aver illegittimamente detratto il costo degli oneri di urbanizzazione anche dai costi individuati nei contratti del 1979 e 1980, visto che non erano stati nemmeno prodotti in giudizio.

Osserva la Corte che le censure dedotte con il primo motivo di ricorso sono divenute irrilevanti a seguito della sentenza 348 del 2007 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità dall’art. 5 bis, per contrasto con l’art. 117 Cost.. Pertanto, dal giorno successivo alla pubblicazione di questa decisione (art. 136 Cost. e L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 3), i criteri di liquidazione dell’indennità stabiliti dalla citata norma non sono più applicabili, a meno che il rapporto non sia ormai esaurito in modo definitivo o perchè la controversia sia stata definita con sentenza passata in giudicato, ovvero perchè vi ostino preclusioni processuali, decadenze o prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità (Cass. 16450/2006; 15200/2005; 22413/2004).

Nessuna di queste ipotesi si è verificata nel caso concreto essendo ancora in contestazione l’ammontare dell’indennità dovuta.

Tanto premesso, non più operando i suddetti criteri, l’indennità d’espropriazione, sia essa effettiva o virtuale, deve essere determinata sulla base del valore venale del bene, secondo il canone fissato dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, non abrogato dall’art. 58 del T.U. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, dunque ancora vigente, che rappresenta l’unico parametro che l’ordinamento prevede in linea generale in ogni ipotesi o tipo di espropriazione, salvo previsione contraria (Cass. 9321/2008; 9245/2008; 8384/2008;

7258/2008; 26275/2007) anche in considerazione della sua corrispondenza con la riparazione integrale in rapporto ragionevole con il valore venale del bene garantita dall’art. 1 del Protocollo allegato alla Convenzione europea, nell’interpretazione offerta dalla Corte EDU. Attualmente pertanto sia che il provvedimento ablatorio sia stato effettuato a fini di edilizia residenziale pubblica convenzionata D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 36, ovvero a seguito di una iniziativa di sfruttamento edificatorio del territorio programmata da privati, in entrambi i casi ai ricorrenti va riconosciuto il valore di mercato dell’immobile ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 39.

In tal senso pertanto la sentenza impugnata va cassata con rinvio dovendo il giudice di rinvio provvedere a nuova determinazione dell’indennità attenendosi ai criteri dianzi indicati.

Venendo all’esame del secondo motivo, con cui i ricorrenti censurano sotto diversi profili i criteri adottati per la liquidazione della indennità, se ne rileva la infondatezza.

La censura riguarda la circostanza che ai fini di determinare il valore al metro quadro la sentenza, sulla scorta della CTU, invece di prendere come riferimento l’atto di vendita del 17.2.82 contenente il prezzo di cessione di alcuni lotti espropriati, aveva fatto riferimento a due altri contratti del 15.10.79 e del 17.12.80 in relazione al cui prezzo di vendita erano stati oltretutto detratti gli oneri di urbanizzazione.

La censura non ha pregio.

Invero la Corte d’appello, seguendo le conclusioni del CTU, e prendendo in considerazioni le critiche a questa svolte dagli attuali ricorrenti, ha escluso che il contratto di vendita del 1982 potesse costituire un parametro adeguato per determinare l’indennità di esproprio sulla base di una duplice argomentazione.

In primo luogo, il terreno era stato ceduto per sottrarsi al proprio obbligo di concorrere alle opere di urbanizzazione. In tal senso il prezzo era stato proporzionato al costo delle opere di urbanizzazione.

In secondo luogo, ha osservato che, essendo nel 1982 già stata realizzata la lottizzazione, il valore dei suoli era ovviamente aumentato rispetto al momento in cui era avvenuta l’espropriazione.

Esclusa, quindi, la determinazione con riferimento al contratto del 1982, la Corte d’appello, sempre in risposta alle censure degli attuali ricorrenti, ha ritenuto che non fosse adeguata la valutazione del CTU effettuata operando una media tra i due contratti rispettivamente del 1979 e del 1980 ed ha stimato che il valore di mercato attribuito da quest’ultimo contratto fosse quello più adeguato, essendo lo stesso antecedente di soli due mesi al provvedimento di esproprio e costituendo pertanto un punto di riferimento temporale molto adeguato.

La Corte di merito ha, poi, ritenuto di depurare dal prezzo di vendita del contratto in esame gli oneri di urbanizzazione ricompresi nello stesso risolvendosi gli oneri di urbanizzazione nel trasferimento di un costo.

Tale motivazione appare rispettosa della costante giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente affermato che, allorchè ad una consulenza tecnica d’ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte o dalla parte stessa, il giudice che intenda disattenderle ha l’obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ove questi a sua volta non si sia fato carico di esaminare e confutare i rilievi di parte (da ultimo Cass. 10688/08;

Cass 9178/06).

Ciò posto, la motivazione fornita dalla Corte territoriale appare del tutto esaustiva, logicamente argomentata e basata sugli accertamenti svolti dal CTU, per cui non appare suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità.

Le critiche che i ricorrenti muovono a tale motivazione tendono a proporre una diversa interpretazione delle risultanze processuali, in tal modo investendo inammissibilmente il merito della controversia, laddove propongono, ad esempio, una diversa interpretazione del contratto del 1982 il cui prezzo a loro dire sarebbe stato basato sul valore effettivo di mercato ovvero contestano l’accertamento in punto di fatto in base al quale la Corte d’appello ha rilevato che i due contratti di vendita del 1979 e del 1980 comprendevano anche il costo gli oneri di urbanizzazione .Per altro verso le doglianze in esame appaiono non rispettose del principio di autosufficienza laddove fanno riferimento ai documenti acquisiti in causa (in particolare il predetto contratto del 1982) senza riportarne nel ricorso il testo, in tal modo impedendo a questa Corte, cui è inibito l’accesso agli atti della fase di merito, di valutare l’effettivo fondamento della doglianza ovvero ancora laddove fanno riferimento ad accertamenti di fatto non effettuabili in questa sede di legittimità quali: il contenuto dei contratti del 1979 e del 1980, che si assumono non compresi tra gli atti di causa; la circostanza che le aree dei deducenti rientranti nella lottizzazione non erano mai state oggetto di occupazione d’urgenza; la circostanza che il contratto del 1979 sarebbe in realtà la convenzione di lottizzazione rep. 54961 del 1979 etc.).

Il motivo in esame va, pertanto, conclusivamente respinto.

La sentenza impugnata va conclusivamente cassata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione che si atterrà nel decidere al principio di diritto dianzi enunciato e che provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il secondo motivo di ricorso e pronunciando sul primo cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2010

 

 

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