Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11496 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. I, 30/04/2021, (ud. 22/03/2021, dep. 30/04/2021), n.11496

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi C. G. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 7882/2019 proposto da:

U.J., rappresentata e difesa dall’avvocato Ricciardi

Roberto, e dall’avvocato Nicolò Ivana, giusta procure allegate al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di SALERNO, depositato il

05/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/03/2021 dal cons. Dott. CLOTILDE PARISE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis U.J., cittadina della (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Salerno – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE -, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il Tribunale, all’esito dell’udienza fissata per la comparizione delle parti e dell’audizione della ricorrente, ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, in base ai fatti narrati dalla richiedente. Quest’ultima aveva dichiarato, in sede di audizione, avvenuta per due volte, avanti alla Commissione territoriale, che, dopo aver scoperto che suo padre si era reso responsabile del sequestro di un bambino, poi tragicamente morto, aveva lasciato la (OMISSIS) temendo la reazione della famiglia del bambino. L’odierna ricorrente, inoltre, aveva raccontato che era inizialmente fuggita a Benin City e successivamente con un’amica conosciuta via facebook in Libia, dove aveva svolto lavori di baby sitter e sarta, era stata picchiata in più occasioni e violentata una sola volta, negando, in risposta a precisa domanda dei membri della Commissione Territoriale, di essere stata vittima di tratta. In sede di audizione avanti il Tribunale, invece, la ricorrente aveva riferito di essere stata venduta ad una donna (OMISSIS) in Libia e costretta a prostituirsi in una connection house. Il Tribunale ha ritenuto che non fosse credibile la vicenda personale narrata dalla richiedente e che in ogni caso, anche a prescindere dal giudizio di non credibilità, non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto riguardo anche alla situazione generale e politico-economica della (OMISSIS), descritta nel decreto impugnato con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il predetto decreto, comunicato il 7 febbraio 2019, ha proposto ricorso per cassazione U.J., con atto notificato il 4 marzo 2019, affidato a due motivi. L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita tardivamente al solo fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

4. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la “violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3; – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5 – mancata valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e, in subordine, umanitaria, non avendo il Tribunale di Salerno, pur a fronte delle allegazioni della richiedente, considerato la condizione di grave instabilità sociale e politica esistente in (OMISSIS), sfociante in una sostanziale guerra civile, caratterizzata da gravi episodi di violenza da parte di gruppi terroristici”. La ricorrente si duole del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria o di quella umanitaria, censurando il giudizio di non credibilità espresso dal Tribunale. Espone gli elementi fattuali posti a base delle domande, in particolare rimarcando di essere fuggita dalla casa ove viveva con suo padre perchè quest’ultimo aveva rapito, a sua insaputa, un bambino che ella aveva accudito e che di seguito era morto e temeva di subire gravi ritorsioni dalla famiglia del padre del bambino rapito e dal capo villaggio. Dopo essere scappata a Benin City, avendo incontrato degli abitanti del suo villaggio, fuggiva, con l’aiuto di un’amica conosciuta su facebook, in Libia, ove lavorava come baby sitter e sarta, veniva picchiata più volte e violentata una sola volta. Deduce che il suo racconto era senz’altro veritiero, mentre la motivazione del decreto sul punto era redatta in forma semplificata, frammentaria ed apparente, avendo il Tribunale male interpretato i fatti narrati, senza tenere conto dell’elemento psicologico, determinante in situazioni caratterizzate da violenze sessuali, stupri e maltrattamenti (pag.8 ricorso), dato che le minacce subite in (OMISSIS) e le violenze subite in Libia determinano la sua vulnerabilità (pag.9 ricorso). Assume che nella specie ricorrano i vizi di omesso esame di circostanze decisive e di violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5 e 7 per non avere il Tribunale accertato la grave instabilità politica e sociale e la situazione di violenza indiscriminata esistente in (OMISSIS). Si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria, richiamando pronunce di merito in tema di tratta di donne (OMISSIS) e di sistema di vendette, nonchè sulla situazione di violenza indiscriminata e diffusa in tutto il territorio (OMISSIS), come risulta dal comunicato stampa di Medici Senza Frontiere di gennaio 2019 sulla (OMISSIS) nordoccidentale. Sottolinea la propria integrazione sociale realizzata in Italia, dove si trova da circa tre anni ed ha intrapreso un percorso di effettiva integrazione e cure, dalla stessa richieste a causa dei maltrattamenti subiti, e che in caso di rimpatrio verrebbe compromessa la sua dignità e il suo diritto ad un’esistenza libera e dignitosa, richiamando i principi di cui alla pronuncia di questa Corte n. 4455/2018.

5. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la “violazione e falsa applicazione di legge – in relazione all’art. 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”. Si duole dell’omessa valutazione, da parte del Tribunale, degli inequivocabili segni indicatori di un generale e costante impedimento delle libertà democratiche in (OMISSIS), in violazione dell’art. 2729 c.c., per avere il Tribunale negato il rifugio e la protezione umanitaria incorrendo in una deplorevole forma di negazionismo, così giustificando comportamenti tirannici, persecutori e discriminatori di una componente nei confronti del resto della comunità.

6. Il primo motivo involge anche la tematica delle vittime della tratta, in relazione alla quale l’indagine giudiziale si connota di particolare delicatezza per i risvolti che comporta non solo ai fini dell’eventuale rilevanza penale dei fatti, ove risultino integrati i delitti di cui agli artt. 600 e 601 c.p., in considerazione, peraltro, dell’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p., ma anche ai fini dell’applicabilità dell’articolata disciplina vigente in tema di tratta degli esseri umani, finalizzata sia a favorire l’emersione di quelle situazioni, sia a garantire la più ampia ed efficace protezione delle vittime.

6.1. Occorre riepilogare, sinteticamente e solo nei punti salienti ai fini che qui interessano, il quadro normativo di riferimento sulla tematica delle vittime di tratta in ambito di protezione internazionale e umanitaria.

Le Linee Guida dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati del 2006 relative all’applicazione dell’art. 1 (2) della Convenzione di Ginevra del 1951 alle vittime di tratta e alle persone a rischio di tratta costituiscono il punto di partenza per la corretta interpretazione della suddetta Convenzione e del Protocollo addizionale del 1967. Infatti le Linee Guida chiariscono quali siano gli elementi costitutivi della definizione di rifugiato della Convenzione di Ginevra alla luce delle peculiarità che caratterizzano le situazioni delle vittime di tratta ed individuano le garanzie procedurali specifiche per richiedenti asilo vittime di tratta o presunte tali.

In ambito di normativa Europea, la Direttiva 2011/95/UE c.d. “Qualifiche” e la Direttiva 2013/33/UE sull’accoglienza riconoscono esplicitamente le vittime di tratta di esseri umani come persone vulnerabili, le cui condizioni dovrebbero essere accertate al fine di valutare se necessitano di particolari esigenze di accoglienza. L’art. 11 della Direttiva Europea 2011/36/UE prevede l’obbligo degli Stati membri di fornire alle vittime adeguata tutela attraverso misure specifiche di rapida identificazione, assistenza e sostegno che devono essere garantite, su base consensuale e informata, non soltanto sin da quando le autorità abbiano un ragionevole motivo di ritenere che la persona sia vittima di tratta, ma per un lasso di tempo congruo rispetto alla durata del procedimento penale. Inoltre il citato art. 11, comma 3 dispone che l’assistenza e il sostegno della vittima non debbano essere “subordinati alla volontà di quest’ultima di collaborare nelle indagini penali, nel procedimento giudiziario o nel processo, fatte salve la direttiva 2004/81/CE e norme nazionali analoghe”. La Direttiva 2013/32/UE sulle procedure, pur non riferendosi espressamente alle vittime di tratta, prescrive un obbligo generale di identificare i richiedenti che necessitano di specifici bisogni procedurali.

Nell’ambito dell’ordinamento italiano, per le vittime di tratta la tutela non è solo quella prevista dalle norme penali infra citate, ma anche e principalmente quella dettata dalle norme in materia di immigrazione che, in aderenza alle disposizioni di carattere internazionale ed Europeo, hanno introdotto, mediante il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 18 la possibilità di riconoscere alle vittime stesse un permesso di soggiorno per motivi umanitari o di “protezione sociale”. Tramite il citato art. 18, in combinato disposto con il D.P.R. n. 394 del 1999, art. 27 la protezione delle vittime di tratta si articola nel cosiddetto doppio binario, nel senso che, oltre al percorso giudiziario, instaurato con la denuncia della vittima e l’avvio del procedimento penale, è previsto anche un percorso sociale, nel caso in cui la persona non presenti la denuncia e aderisca ad un programma di assistenza e integrazione sociale, affidandosi ad un ente specificamente preposto all’assistenza delle vittime di grave sfruttamento.

Il D.Lgs. n. 24 del 2014, art. 8 – che ha recepito la Direttiva 2011/36/UE – ha previsto, mediante l’introduzione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 18, comma 3 bis un unico programma di “emersione, assistenza e integrazione sociale” sulla base del Piano nazionale di azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, di cui alla L. n. 228 del 2003, art. 13, comma 2 bis, rivolto alle vittime di reati previsti dagli artt. 600 e 601 c.p. o che versano nelle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 18, comma 1. Il D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 17, comma 2 in recepimento della Direttiva 2013/33/UE relativa all’accoglienza, ha ulteriormente previsto che “ai richiedenti protezione internazionale identificati come vittime della tratta di esseri umani si applica il programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 18, comma 3 bis”. Detto articolo ha esplicitamente chiarito che una persona richiedente protezione internazionale, ove sia riconosciuta vittima di tratta, possa beneficiare delle misure predisposte dal sistema anti-tratta, senza dover rinunciare alla domanda di protezione internazionale.

Tra le altre norme specifiche di maggior rilievo, pure introdotte dal citato D.Lgs. n. 24 del 2014, va menzionato l’art. 10, che ha dettato disposizioni di rinvio tra i sistemi e le procedure della protezione delle vittime della tratta di esseri umani e della protezione internazionale, prevedendo, al comma 1, l’individuazione, da parte delle Amministrazioni direttamente coinvolte nell’uno e nell’altro sistema, di misure di coordinamento tra le attività istituzionali di rispettiva competenza. Con riguardo al procedimento di riconoscimento della protezione internazionale, il citato art. 10, comma 3 ha introdotto il comma 3 bis del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 a norma del quale “La Commissione territoriale trasmette gli atti al Questore per le valutazioni di competenza se nel corso dell’istruttoria sono emersi fondati motivi per ritenere che il richiedente è stato vittima dei delitti di cui agli artt. 600 e 601 c.p.”.

Infine le Linee Guida elaborate nell’ambito del progetto “Meccanismi di coordinamento per le vittime di tratta”, realizzato dalla Commissione Nazionale per il diritto di asilo e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – UNHCR – e approvato il 30 novembre 2016, forniscono, tra l’altro, dettagliate indicazioni circa le garanzie procedurali specifiche per le vittime di tratta o presunte tali, di particolare importanza con riguardo alle modalità di audizione del richiedente, ai fini non solo dell’emersione dei fatti e della loro completa ricostruzione, ma anche dell’adeguata informazione da fornire alla presunta vittima circa ogni profilo di rilevanza delle sue dichiarazioni e, soprattutto, circa l’eventualità di adesione al programma di protezione anti-tratta.

6.2. Il quadro normativo così sinteticamente riepilogato consente ora di tornare allo scrutinio della fattispecie oggetto di giudizio, ponendo il primo motivo di ricorso questioni meritevoli di approfondimento e di rilievo nomofilattico.

Si tratta, in particolare, di stabilire se e in che misura le fasi in cui si articola il procedimento giurisdizionale diretto all’accertamento della situazione di tratta e sfruttamento sessuale debbano riempirsi di un contenuto “speciale”, alla stregua del contesto normativo descritto, e ciò principalmente con riferimento al raccordo tra il potere-dovere di cooperazione istruttoria ufficiosa e il principio dispositivo, che, nella materia della protezione internazionale in via derogatoria rispetto alle ordinarie regole processuali, si esaurisce, in base alla giurisprudenza, sinora consolidata, di questa Corte, nella sola allegazione esaustiva dei fatti costitutivi.

6.3. Le questioni, tra loro dipendenti pur se ciascuna connotata di autonoma rilevanza, possono schematizzarsi come segue.

i) L’allegazione è il punto di partenza dell’indagine e quello che presenta importanti criticità. Posto che, secondo la giurisprudenza, sinora consolidata, di questa Corte, imprescindibile è l’onere di parte ricorrente di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, ci si chiede da chi debba essere effettuata l’allegazione della situazione di tratta, ossia se possa ritenersi sufficiente quella del solo difensore, senza che vi corrispondano le conformi dichiarazioni della parte, che, nella casistica più frequente in base a quanto ben spiegano le Linee Guida UNHCR, manifesta ritrosia a ricondurre il vissuto a fenomeni criminali e, nella sostanza, minimizza i fatti entro limiti di liceità.

Correlato è il tema concernente il profilo temporale dell’allegazione, ove effettuata non in sede di audizione avanti alla Commissione Territoriale, ma nel ricorso giudiziario oppure nel corso del giudizio di merito. Ferma la differenza, di non poco conto, tra le suddette due ipotesi, l’allegazione potrebbe ritenersi ammissibile, nonostante il carattere di novità, qualora si qualifichino le domande di protezione internazionale come relative a diritti autodeterminati (Cass. n. 8819 del 2020), considerato, altresì, che le domande sono trattate secondo il rito camerale, scelto dal legislatore con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, primo periodo, che è governato solo dalla regola fondamentale del contraddittorio, ai sensi dell’art. 737 c.p.c. e ss.. D’altronde, a livello della disciplina unionale, di recente la Corte di Giustizia, con la sentenza Ahmedbekova nel proc. C-652/16, ha ribadito il contenuto dell’art. 46, paragrafo 3, della Direttiva 2013/32 in tema di diritto al ricorso effettivo, secondo cui, quanto meno in primo grado, il giudice dinanzi al quale è contestata la decisione relativa alla domanda di protezione internazionale deve procedere all'”esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della Direttiva (2011.95)”, rimarcando il pregnante significato della locuzione “ex nunc”, peraltro ponendo l’ulteriore controversa tematica della necessità di sottoporre all’autorità accertante i nova emersi nella fase giudiziale.

Per completare il quadro, occorre ricordare anche i recenti arresti segnati dalle pronunce di questa Corte n. 21584/2020 e n. 22049/2020, in tema di obbligo di disporre l’audizione sui fatti nuovi, ove indicati specificamente nel ricorso giudiziario, nei quali, peraltro, la questione dei nova emersi in corso di giudizio costituisce oggetto di un mero obiter dictum.

In definitiva, si tratta di stabilire se si possa, o meglio debba darsi rilievo all’evenienza che la vittima di tratta rappresenti la propria situazione per la prima volta in sede di audizione giudiziale, in coerenza con le peculiarità del caso, anche perchè proprio quello è l’obiettivo da perseguire (l’emersione del crimine) mediante l’incombente istruttorio, e se i nova così acquisiti debbano perciò essere esaminati dal giudice di merito nel procedere alla valutazione del caso concreto.

Ultimo tema, non per importanza, da chiarire, sempre collegato all’onere di allegazione, ove rimasto non adeguatamente adempiuto, è quello che concerne il perimetro di valutazione dei fatti, qualora degli stessi non sia stata mai dedotta in giudizio, nè dal difensore nè dalla richiedente, la configurabilità come situazione di tratta ed invece il giudice di merito ne accerti la ricorrenza, oggettivamente ravvisabile sulla scorta degli indici individuati dalle Linee guida UNHCR (cfr. la recentissima Cass. n. 1750/2021).

Ci si deve chiedere, pertanto, se l'”esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto” del giudice di merito possa o meno essere esteso ufficiosamente fino a comprendere una complessiva ricostruzione fattuale non prospettata dalla parte o dal difensore in termini di tratta e sfruttamento sessuale, e ciò mediante il collegamento combinato degli eventi e delle condotte pur riferite dalla richiedente.

(ii) Sul giudizio di credibilità, di evidente centrale rilievo nell’indagine, due sono i quesiti che il Collegio ravvisa di maggiore interesse e controvertibilità.

Il primo riguarda la necessità o meno di focalizzare la valutazione sugli indici individuati dalle Linee guida UNHCR, nel senso di chiarire se l’eventuale inattendibilità per inverosimiglianza, incoerenza o contraddittorietà della narrazione debba concentrarsi sui fatti sintomatici della tratta, per avere essi una valenza privilegiata, e se nel contempo debba attribuirsi minor rilievo ad un atteggiamento non collaborativo della richiedente, giustificabile dalla ritrosia di cui si è detto.

Il secondo quesito concerne la particolare ampiezza o meno dei poteri istruttori ufficiosi, da esercitare nell’ambito delle speciali regole di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in particolare stabilendo se, nei casi di tratta, la valutazione di credibilità non possa essere formulata solo in modo intrinseco, ma debba essere preventivamente rapportata al contesto sociale e culturale in cui i fatti narrati si sarebbero verificati, acquisendo fonti informative qualificate sul tema (cfr. COI EASO Vittime di tratta (OMISSIS)), e se la cooperazione ufficiosa debba riempirsi dello specifico contenuto dettato dalla disciplina nazionale, unionale e internazionale di settore di cui si è detto, anche mediante l’attivazione del cd. doppio binario.

(iii) Una riflessione pare necessaria sull’individuazione della portata precettiva delle Linee guida UNHCR, ossia per stabilire se possano ritenersi vere e proprie fonti vincolanti di diritto, in quanto meramente esplicative della normativa internazionale in tema di vittime di tratta ed espressione di standard di tutela diretti ad armonizzare la disciplina degli Stati, oppure se siano configurabili come regole di soft law, che, seppur prive di valore giuridicamente vincolante per gli Stati, sono finalizzate ad arricchire di contenuto specifico la Convenzione di Ginevra e la normativa internazionale e a dettare regole operative secondo criteri uniformi, a livello di raccomandazioni particolarmente autorevoli, data la qualità del soggetto da cui promanano.

(iv) Il tema dell’audizione, avanti alla Commissione Territoriale e in sede giudiziale, pone profili problematici e perciò il Collegio ne ritiene opportuna una trattazione autonoma, anche se all’evidenza complementare, rispetto a quella del giudizio di credibilità.

Si è detto che le garanzie procedurali specifiche per le vittime di tratta o presunte tali sono di primaria importanza con riguardo alle modalità di audizione del richiedente, ai fini non solo dell’emersione dei fatti e della loro completa ricostruzione, ma anche dell’adeguata informazione da fornire alla presunta vittima circa ogni profilo di rilevanza delle sue dichiarazioni e, soprattutto, circa l’eventualità di adesione al programma di protezione anti-tratta.

Alla stregua di detto contesto, ci si chiede se il giudice del merito debba verificare o meno con quali modalità e con quale contenuto si sia svolta l’audizione avanti alla Commissione Territoriale.

Inoltre ci si chiede se, ove sia allegata nel ricorso o nel corso del giudizio la situazione di tratta, l’incombente processuale dell’audizione possa o meno porsi in termini di obbligatorietà per il giudice, e ciò anche in eventuale dipendenza del correlato obbligo di denuncia di fatti penalmente rilevanti.

In caso di risposta positiva, occorrerebbe stabilire quali siano le conseguenze di quel vizio processuale, qualora denunciato in cassazione, in ordine al giudizio di credibilità, considerate le finalità della disciplina speciale, che, per quanto detto, pone in imprescindibile collegamento funzionale gli aspetti procedurali e la tutela della presunta vittima, e se il rilievo della violazione dell’obbligo di disporre l’audizione sia o meno svincolato dai limiti e presupposti delineati con le pronunce di questa Corte n. 21584/2020 e n. 22049/2020 già citate (segnatamente in punto necessità di apposita istanza di audizione giudiziale e di dettagliata confutazione del giudizio di non credibilità espresso dalla Commissione Territoriale).

Vi è inoltre un altro profilo che pure necessita di un approfondimento chiarificatore: mentre, invero, non pare potersi dubitare che il giudice di merito possa anche d’ufficio disporre l’audizione personale, pur non richiesta, occorrerà altresì considerare che la valutazione di credibilità presenta le connotazioni peculiari e speciali di cui si è detto (cfr. sub il) e chiedersi se l’attenzione del giudice dovrà concentrarsi sugli elementi sintomatici della tratta e attenuarsi sugli altri.

Paradigmatica, al riguardo, è la fattispecie oggetto del ricorso che si sta esaminando, in cui il Tribunale ha espresso il giudizio di non credibilità della situazione di tratta rappresentata dalla richiedente per avere la stessa riferito di essere stata condotta in Libia da un’amica che di seguito l’aveva “venduta” e di essere stata costretta a prostituirsi solo nel corso dell’audizione giudiziale, e non anche nelle due audizioni svoltesi avanti alla Commissione Territoriale, nonostante precise domande sulla ricorrenza della suddetta situazione. Il Tribunale ha valorizzato “il cambio di versione dei fatti e le giustificazioni del tutto vaghe a sostegno di ciò”, senza dare conto di aver verificato come si fossero svolte le audizioni in sede amministrativa e senza precisare con quali modalità e con quale contenuto informativo fosse stata effettuata l’audizione giudiziale, rimarcando soprattutto l’inverosimiglianza del racconto nella parte relativa alle vicende legate al padre, capo di una banda di criminali e sequestratori di bambini.

7. Trattandosi di questioni meritevoli di approfondimento e di rilievo nomofilattico, si rende opportuno disporre la trattazione della causa in pubblica udienza, a ciò non ostando l’originaria sua fissazione in sede camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

P.Q.M.

Rinvia la causa a nuovo ruolo, disponendone la trattazione in pubblica udienza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

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