Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11495 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. I, 30/04/2021, (ud. 22/03/2021, dep. 30/04/2021), n.11495

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi C. G. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 164/2019 proposto da:

D.E., rappresentata e difesa dall’avvocato Roberto

Ricciardi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il

21/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/03/2021 dal cons. Dott. CLOTILDE PARISE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis D.E., cittadina (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Brescia – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

La richiedente asilo riferiva di essere fuggita dal suo Paese a causa dei maltrattamenti e degli abusi sessuali subiti da parte della sua matrigna, nonchè per timore di essere perseguitata a causa del suo orientamento sessuale, elemento quest’ultimo allegato in sede di audizione dinanzi al Tribunale. La ricorrente dichiarava, altresì, di aver subito violenze, anche sessuali, durante il percorso migratorio e la permanenza in Libia, ove era stata costretta a prostituirsi per un mese e tre settimane, e di essere stata aiutata ad arrivare in Italia da un mafioso libico, che era rimasto impietosito dalla sua situazione e al quale nulla doveva, così come nulla doveva ad altri soggetti.

Con decreto del 21 novembre 2018 il Tribunale, all’esito dell’audizione della richiedente, ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dalla stessa, sia in ordine alla sua omosessualità, riferita solo in sede di audizione davanti il Tribunale con molteplici contraddizioni, sia in ordine al fatto che la richiedente “fosse vittima di tratta o legata o ricattata da trafficanti di uomini, allora come oggi”, avendo ella dichiarato in più occasioni di non avere alcun debito verso connazionali o trafficanti o verso soggetti incontrati durante il viaggio e di non temere alcunchè dai predetti soggetti. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria, avuto riguardo anche alla situazione generale della (OMISSIS), descritta nel decreto impugnato con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il predetto decreto, la ricorrente ha proposto ricorso per cassazione, con atto notificato il 12 dicembre 2018, affidato a tre motivi. Il Ministero è rimasto intimato.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

5. I motivi sono così rubricati: “1. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia – omesso esame di circostanze decisive e violazione del dovere di cooperazione istruttoria col richiedente, scandito dalle puntuali disposizioni del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, violazione D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 comma 3”; “2. Violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 10 Cost., comma 3; 3. Direttiva 2011/95/UE, nonchè, in subordine, D.Lgs. 25 luglio 1988, n. 286, art. 5, comma 6”; “3. Violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”. Con il primo motivo la ricorrente si duole del mancato riconoscimento del rifugio e della protezione sussidiaria, censurando il giudizio di non credibilità espresso dal Tribunale. Espone gli elementi fattuali posti a base delle domande, in particolare rimarcando di essere fuggita dalla (OMISSIS) a causa dei maltrattamenti ed abusi sessuali subiti dalla matrigna, di essere arrivata, con l’aiuto di un’amica, in Libia, ove subiva ulteriori umiliazioni, maltrattamenti e soprusi a sfondo sessuale, terminati solo quando arrivava in Italia grazie all’aiuto di un uomo conosciuto in Libia “nel corso delle incresciose vicissitudini di cui la stessa quotidianamente era vittima in territorio libico”. Deduce che il suo racconto si era arricchito di ulteriori particolari, attinenti la dichiarazione di sua omosessualità riferita nel corso dell’audizione avanti il Tribunale, avvenuta, peraltro, senza la presenza di uno psicologo, ed era senz’altro veritiero, mentre la motivazione del decreto sul punto era redatta in forma semplificata ed apparente, facendo solo riferimento alla mancata specificazione dell’accumulo di un debito nei riguardi di chi l’aveva aiutata a fuggire in Libia e alle mancate minacce da parte della signora che l’aveva costretta a prostituirsi. Deduce altresì la ricorrente che in caso di rimpatrio teme di subire ripercussioni dalla propria matrigna o di tornare ad essere vittima di stupri, umiliazioni e violenze, rispetto alle quali le autorità (OMISSIS) non sono in grado di offrire alcuna protezione. Assume la ricorrente che a causa della propria situazione specifica in caso di rimpatrio corra il rischio di subire trattamenti disumani o degradanti e che nella specie ricorrano i vizi di omesso esame di circostanze decisive e di violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Con il secondo motivo si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria, richiamando la normativa di riferimento e l’art. 10 Cost., sottolineando la propria integrazione sociale realizzata in Italia mediante l’attività di volontariato e che in caso di rimpatrio verrebbe compromessa la sua dignità e il suo diritto ad un’esistenza libera e dignitosa. Richiama varie sentenze di merito in tema di vittime di tratta e di soggetti omosessuali, perseguiti penalmente in (OMISSIS). Deduce di avere diritto al riconoscimento dello status di rifugiato, anche ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, della Direttiva 2011/95/UE e dell’art. 10 Cost.. Lamenta che il Tribunale non abbia tenuto conto della situazione esistente in (OMISSIS) con riferimento ai rischi incombenti sulle donne (OMISSIS) e che non abbia disposto una perizia psicologica, omettendo di considerare gli agenti emotivi e caratteriali caratterizzanti l’intera vicenda occorsale. Dopo un’iniziale reticenza a riferire quanto accaduto durante il percorso migratorio, adduce la ricorrente di aver raccontato la sua storia personale agli psicologi dell’Unità di Crisi e di Valutazione nell’ambito del Progetto Antitratta (pag. 17 ricorso). Con il terzo motivo si duole dell’omessa valutazione, da parte del Tribunale, degli inequivocabili segni indicatori di un generale e costante impedimento delle libertà democratiche in (OMISSIS), in violazione dell’art. 2729 c.c., per avere il Tribunale negato il rifugio e la protezione umanitaria incorrendo in una deplorevole forma di negazionismo, così giustificando comportamenti tirannici, persecutori e discriminatori di una componente nei confronti del resto della comunità.

6. I primi due motivi involgono anche la tematica delle vittime della tratta, in relazione alla quale l’indagine giudiziale si connota di particolare delicatezza per i risvolti che comporta non solo ai fini dell’eventuale rilevanza penale dei fatti, ove risultino integrati i delitti di cui agli artt. 600 e 601 c.p., in considerazione, peraltro, dell’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p., ma anche ai fini dell’applicabilità dell’articolata disciplina vigente in tema di tratta degli esseri umani, finalizzata sia a favorire l’emersione di quelle situazioni, sia a garantire la più ampia ed efficace protezione delle vittime.

6.1. Occorre riepilogare, sinteticamente e solo nei punti salienti ai fini che qui interessano, il quadro normativo di riferimento sulla tematica delle vittime della tratta in ambito di protezione internazionale e umanitaria.

Le Linee Guida dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati del 2006 relative all’applicazione dell’art. 1 (2) della Convenzione di Ginevra del 1951 alle vittime di tratta e alle persone a rischio di tratta costituiscono il punto di partenza per la corretta interpretazione della suddetta Convenzione e del Protocollo addizionale del 1967. Infatti le Linee Guida chiariscono quali siano gli elementi costitutivi della definizione di rifugiato della Convenzione di Ginevra alla luce delle peculiarità che caratterizzano le situazioni delle vittime di tratta ed individuano le garanzie procedurali specifiche per richiedenti asilo vittime di tratta o presunte tali.

In ambito di normativa Europea, la Direttiva 2011/95/UE c.d. “Qualifiche” e la Direttiva 2013/33/UE sull’accoglienza riconoscono esplicitamente le vittime di tratta di esseri umani come persone vulnerabili, le cui condizioni dovrebbero essere accertate al fine di valutare se necessitano di particolari esigenze di accoglienza. L’art. 11 della Direttiva Europea 2011/36/UE prevede l’obbligo degli Stati membri di fornire alle vittime adeguata tutela attraverso misure specifiche di rapida identificazione, assistenza e sostegno che devono essere garantite, su base consensuale e informata, non soltanto sin da quando le autorità abbiano un ragionevole motivo di ritenere che la persona sia vittima di tratta, ma per un lasso di tempo congruo rispetto alla durata del procedimento penale. Inoltre il citato art. 11, comma 3 dispone che l’assistenza e il sostegno della vittima non debbano essere “subordinati alla volontà di quest’ultima di collaborare nelle indagini penali, nel procedimento giudiziario o nel processo, fatte salve la direttiva 2004/81/CE e norme nazionali analoghe”. La Direttiva 2013/32/UE sulle procedure, pur non riferendosi espressamente alle vittime di tratta, prescrive un obbligo generale di identificare i richiedenti che necessitano di specifici bisogni procedurali.

Nell’ambito dell’ordinamento italiano, per le vittime di tratta la tutela non è solo quella prevista dalle norme penali infra citate, ma anche e principalmente quella dettata dalle norme in materia di immigrazione che, in aderenza alle disposizioni di carattere internazionale ed Europeo, hanno introdotto, mediante il D.Lgs. n. 286 del 1998, l’art. 18 la possibilità di riconoscere alle vittime stesse un permesso di soggiorno per motivi umanitari o di “protezione sociale”. Tramite il citato art. 18, in combinato disposto con il D.P.R. n. 394 del 1999, art. 27 la protezione delle vittime di tratta si articola nel cosiddetto doppio binario, nel senso che, oltre al percorso giudiziario, instaurato con la denuncia della vittima e l’avvio del procedimento penale, è previsto anche un percorso sociale, nel caso in cui la persona non presenti la denuncia e aderisca ad un programma di assistenza e integrazione sociale, affidandosi ad un ente specificamente preposto all’assistenza delle vittime di grave sfruttamento.

Il D.Lgs. n. 24 del 2014, art. 8 – che ha recepito la Direttiva 2011/36/UE – ha previsto, mediante l’introduzione del comma 3 bis del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 18 un unico programma di “emersione, assistenza e integrazione sociale” sulla base del Piano nazionale di azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, di cui alla L. n. 228 del 2003, art. 13, comma 2 bis, rivolto alle vittime di reati previsti dagli artt. 600 e 601 c.p. che versano nelle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 18, comma 1. Il D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 17, comma 2 in recepimento della Direttiva 2013/33/UE relativa all’accoglienza, ha ulteriormente previsto che “ai richiedenti protezione internazionale identificati come vittime della tratta di esseri umani si applica il programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 18, comma 3 bis”. Detto articolo ha esplicitamente chiarito che una persona richiedente protezione internazionale, ove sia riconosciuta vittima di tratta, possa beneficiare delle misure predisposte dal sistema anti-tratta, senza dover rinunciare alla domanda di protezione internazionale.

Tra le altre norme specifiche di maggior rilievo, pure introdotte dal citato D.Lgs. n. 24 del 2014, va menzionato l’art. 10, che ha dettato disposizioni di rinvio tra i sistemi e le procedure della protezione delle vittime della tratta di esseri umani e della protezione internazionale, prevedendo, al comma 1, l’individuazione, da parte delle Amministrazioni direttamente coinvolte nell’uno e nell’altro sistema, di misure di coordinamento tra le attività istituzionali di rispettiva competenza. Con riguardo al procedimento di riconoscimento della protezione internazionale, il citato art. 10, comma 3 ha introdotto il comma 3 bis del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 a norma del quale “La Commissione territoriale trasmette gli atti al Questore per le valutazioni di competenza se nel corso dell’istruttoria sono emersi fondati motivi per ritenere che il richiedente è stato vittima dei delitti di cui agli artt. 600 e 601 c.p.”.

Infine le Linee Guida elaborate nell’ambito del progetto “Meccanismi di coordinamento per le vittime di tratta”, realizzato dalla Commissione Nazionale per il diritto di asilo e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – UNHCR – e approvato il 30 novembre 2016, forniscono, tra l’altro, dettagliate indicazioni circa le garanzie procedurali specifiche per le vittime di tratta o presunte tali, di particolare importanza con riguardo alle modalità di audizione del richiedente, ai fini non solo dell’emersione dei fatti e della loro completa ricostruzione, ma anche dell’adeguata informazione da fornire alla presunta vittima circa ogni profilo di rilevanza delle sue dichiarazioni e, soprattutto, circa l’eventualità di adesione al programma di protezione anti-tratta.

6.2. Il quadro normativo così sinteticamente riepilogato consente ora di tornare allo scrutinio della fattispecie oggetto di giudizio, ponendo i motivi di ricorso questioni meritevoli di approfondimento e di rilievo nomofilattico.

Si tratta, in particolare, di stabilire se e in che misura le fasi in cui si articola il procedimento giurisdizionale diretto all’accertamento della situazione di tratta e sfruttamento sessuale debbano riempirsi di un contenuto “speciale”, alla stregua del contesto normativo descritto, e ciò principalmente con riferimento al raccordo tra il potere-dovere di cooperazione istruttoria ufficiosa e il principio dispositivo, che, nella materia della protezione internazionale in via derogatoria rispetto alle ordinarie regole processuali, si esaurisce, in base alla giurisprudenza, sinora consolidata, di questa Corte, nella sola allegazione esaustiva dei fatti costitutivi.

6.3. Le questioni, tra loro dipendenti pur se ciascuna connotata di autonoma rilevanza, possono schematizzarsi come segue.

i) L’allegazione è il punto di partenza dell’indagine e quello che presenta importanti criticità. Posto che, secondo la giurisprudenza, sinora consolidata, di questa Corte, imprescindibile è l’onere di parte ricorrente di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, ci si chiede da chi debba essere effettuata l’allegazione della situazione di tratta, ossia se possa ritenersi sufficiente quella del solo difensore, senza che vi corrispondano le conformi dichiarazioni della parte, che, nella casistica più frequente in base a quanto ben spiegano le Linee Guida UNHCR, manifesta ritrosia a ricondurre il vissuto a fenomeni criminali e, nella sostanza, minimizza i fatti entro limiti di liceità.

Correlato è il tema concernente il profilo temporale dell’allegazione, ove effettuata non in sede di audizione avanti alla Commissione Territoriale, ma nel ricorso giudiziario oppure nel corso del giudizio di merito. Ferma la differenza, di non poco conto, tra le suddette due ipotesi, l’allegazione potrebbe ritenersi ammissibile, nonostante il carattere di novità, qualora si qualifichino le domande di protezione internazionale come relative a diritti autodeterminati (Cass. n. 8819 del 2020), considerato, altresì, che le domande sono trattate secondo il rito camerale, scelto dal legislatore con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, primo periodo, che è governato solo dalla regola fondamentale del contraddittorio, ai sensi dell’art. 737 c.p.c. e ss.. D’altronde, a livello della disciplina unionale, di recente la Corte di Giustizia, con la sentenza Ahmedbekova nel proc. C-652/16, ha ribadito il contenuto dell’art. 46, paragrafo 3, della Direttiva 2013/32 in tema di diritto al ricorso effettivo, secondo cui, quanto meno in primo grado, il giudice dinanzi al quale è contestata la decisione relativa alla domanda di protezione internazionale deve procedere all'”esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della Direttiva (2011.95)”, rimarcando il pregnante significato della locuzione “ex nunc”, peraltro ponendo l’ulteriore controversa tematica della necessità di sottoporre all’autorità accertante i nova emersi nella fase giudiziale.

Per completare il quadro, occorre ricordare anche i recenti arresti segnati dalle pronunce di questa Corte n. 21584/2020 e n. 22049/2020, in tema di obbligo di disporre l’audizione sui fatti nuovi, ove indicati specificamente nel ricorso giudiziario, nei quali, peraltro, la questione dei nova emersi in corso di giudizio costituisce oggetto di un mero obiter dictum.

In definitiva, si tratta di stabilire se si possa, o meglio debba darsi rilievo all’evenienza che la vittima di tratta rappresenti la propria situazione per la prima volta in sede di audizione giudiziale, in coerenza con le peculiarità del caso, anche perchè proprio quello è l’obiettivo da perseguire (l’emersione del crimine) mediante l’incombente istruttorio, e se i nova così acquisiti debbano perciò essere esaminati dal giudice di merito nel procedere alla valutazione del caso concreto.

Ultimo tema, non per importanza, da chiarire, sempre collegato all’onere di allegazione, ove rimasto non adeguatamente adempiuto, è quello che concerne il perimetro di valutazione dei fatti, qualora degli stessi non sia stata mai dedotta in giudizio, nè dal difensore nè dalla richiedente, la configurabilità come situazione di tratta ed invece il giudice di merito ne accerti la ricorrenza, oggettivamente ravvisabile sulla scorta degli indici individuati dalle Linee guida UNHCR (cfr. la recentissima Cass. n. 1750/2021).

Ci si deve chiedere, pertanto, se l'”esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto” del giudice di merito possa o meno essere esteso ufficiosamente fino a comprendere una complessiva ricostruzione fattuale non prospettata dalla parte o dal difensore in termini di tratta e sfruttamento sessuale, e ciò mediante il collegamento combinato degli eventi e delle condotte pur riferite dalla richiedente.

(ii) Sul giudizio di credibilità, di evidente centrale rilievo nell’indagine, due sono i quesiti che il Collegio ravvisa di maggiore interesse e controvertibilità.

Il primo riguarda la necessità o meno di focalizzare la valutazione sugli indici individuati dalle Linee guida UNHCR, nel senso di chiarire se l’eventuale inattendibilità per inverosimiglianza, incoerenza o contraddittorietà della narrazione debba concentrarsi sui fatti sintomatici della tratta, per avere essi una valenza privilegiata, e se nel contempo debba attribuirsi minor rilievo ad un atteggiamento non collaborativo della richiedente, giustificabile dalla ritrosia di cui si è detto.

Il secondo quesito concerne la particolare ampiezza o meno dei poteri istruttori ufficiosi, da esercitare nell’ambito delle speciali regole di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in particolare stabilendo se, nei casi di tratta, la valutazione di credibilità non possa essere formulata solo in modo intrinseco, ma debba essere preventivamente rapportata al contesto sociale e culturale in cui i fatti narrati si sarebbero verificati, acquisendo fonti informative qualificate sul tema (cfr. COI EASO Vittime di tratta (OMISSIS)), e se la cooperazione ufficiosa debba riempirsi dello specifico contenuto dettato dalla disciplina nazionale, unionale e internazionale di settore di cui si è detto, anche mediante l’attivazione del cd. doppio binario.

(iii) Una riflessione pare necessaria sull’individuazione della portata precettiva delle Linee guida UNHCR, ossia per stabilire se possano ritenersi vere e proprie fonti vincolanti di diritto, in quanto meramente esplicative della normativa internazionale in tema di vittime di tratta ed espressione di standard di tutela diretti ad armonizzare la disciplina degli Stati, oppure se siano configurabili come regole di soft law, che, seppur prive di valore giuridicamente vincolante per gli Stati, sono finalizzate ad arricchire di contenuto specifico la Convenzione di Ginevra e la normativa internazionale e a dettare regole operative secondo criteri uniformi, a livello di raccomandazioni particolarmente autorevoli, data la qualità del soggetto da cui promanano.

(iv) Il tema dell’audizione, avanti alla Commissione Territoriale e in sede giudiziale, pone profili problematici e perciò il Collegio ne ritiene opportuna una trattazione autonoma, anche se all’evidenza complementare, rispetto a quella del giudizio di credibilità.

Si è detto che le garanzie procedurali specifiche per le vittime di tratta o presunte tali sono di primaria importanza con riguardo alle modalità di audizione del richiedente, ai fini non solo dell’emersione dei fatti e della loro completa ricostruzione, ma anche dell’adeguata informazione da fornire alla presunta vittima circa ogni profilo di rilevanza delle sue dichiarazioni e, soprattutto, circa l’eventualità di adesione al programma di protezione anti-tratta.

Alla stregua di detto contesto, ci si chiede se il giudice del merito debba verificare o meno con quali modalità e con quale contenuto si sia svolta l’audizione avanti alla Commissione Territoriale.

Inoltre ci si chiede se, ove sia allegata nel ricorso o nel corso del giudizio la situazione di tratta, l’incombente processuale dell’audizione possa o meno porsi in termini di obbligatorietà per il giudice, e ciò anche in eventuale dipendenza del correlato obbligo di denuncia di fatti penalmente rilevanti.

In caso di risposta positiva, occorrerebbe stabilire quali siano le conseguenze di quel vizio processuale, qualora denunciato in cassazione, in ordine al giudizio di credibilità, considerate le finalità della disciplina speciale, che, per quanto detto, pone in imprescindibile collegamento funzionale gli aspetti procedurali e la tutela della presunta vittima, e se il rilievo della violazione dell’obbligo di disporre l’audizione sia o meno svincolato dai limiti e presupposti delineati con le pronunce di questa Corte n. 21584/2020 e n. 22049/2020 già citate (segnatamente in punto necessità di apposita istanza di audizione giudiziale e di dettagliata confutazione del giudizio di non credibilità espresso dalla Commissione Territoriale).

Vi è inoltre un altro profilo che pure necessita di un approfondimento chiarificatore: mentre, invero, non pare potersi dubitare che il giudice di merito possa anche d’ufficio disporre l’audizione personale, pur non richiesta, occorrerà altresì considerare che la valutazione di credibilità presenta le connotazioni peculiari e speciali di cui si è detto (cfr. sub il) e chiedersi se l’attenzione del giudice dovrà concentrarsi sugli elementi sintomatici della tratta e attenuarsi sugli altri.

Paradigmatica, al riguardo, è la fattispecie oggetto del ricorso che si sta esaminando, in cui il Tribunale ha escluso che la richiedente “fosse vittima di tratta o legata o ricattata da trafficanti di uomini, allora come oggi”, avendo ella dichiarato in più occasioni di non avere alcun debito verso connazionali o trafficanti o verso soggetti incontrati durante il viaggio e di non temere alcunchè dai predetti soggetti.

7. Trattandosi di questioni meritevoli di approfondimento e di rilievo nomofilattico, si rende opportuno disporre la trattazione della causa in pubblica udienza, a ciò non ostando l’originaria sua fissazione in sede camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

P.Q.M.

Rinvia la causa a nuovo ruolo, disponendone la trattazione in pubblica udienza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

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