Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11494 del 12/05/2010

Cassazione civile sez. I, 12/05/2010, (ud. 12/01/2010, dep. 12/05/2010), n.11494

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.L. (C.F. (OMISSIS)), G.S.,

in proprio e nella qualità di eredi di R.V. vedova

G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VALLEBONA 10,

presso l’avvocato LANARI EGIDIO, che li rappresenta e difende, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

F.N. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE DELLE PROVINCIE 37, presso l’avvocato TAMBURELLI

EUGENIO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3524/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con citazione del 25 gennaio 1995, L. e G. S. e R.V., vedova G. – quali eredi di G.D., socio amministratore della s.n.c. Studio Verbano del Dott. Donato Giannuzzi & C. – convennero dinanzi al Tribunale di Roma F.N., in proprio e quale amministratrice di fatto della predetta Società dopo il decesso di G.D..

Gli attori esposero che: a) dopo la morte del loro padre e marito, deceduto il (OMISSIS), essi non avevano ricevuto dalla F. alcuna informazione circa gli affari sociali; b) la convenuta aveva trasferito lo studio dalla sede di Piazza (OMISSIS), in altro luogo, prelevando il mobilio e le altre attrezzature; c) la stessa convenuta aveva continuato ad operare, in nome e per conto della Società, anche dopo il decesso dello G., pur non avendo provveduto, unitamente all’altro socio, C.E., alla nomina di un nuovo amministratore.

Tanto esposto, gli attori chiesero che il Tribunale dichiarasse la F. inadempiente agli obblighi contrattuali, per non avere provveduto – quale amministratrice di fatto – a convocare le assemblee di rito e di approvazione del bilancio, a relazionare gli eredi sull’andamento della Società, nonchè a dare il rendiconto;

chiesero inoltre che venisse dichiarato lo scioglimento della Società, con conseguente condanna della convenuta al pagamento degli utili ed al risarcimento dei danni.

Costituitasi, la F., nel chiedere la reiezione delle domande, espose a sua volta che: a) nel marzo 1994, gli attori avevano chiesto ed ottenuto lo sfratto per morosità della Società dai locali di Piazza (OMISSIS), di proprietà dei G., a seguito del quale essa, con il consenso degli eredi, aveva depositato mobilio ed attrezzature presso la ditta Burzese; b) lo studio, dopo la morte dell’amministratore, aveva fornito opera di consulenza a tre clienti, debitamente documentata da tre fatture; c) su sua iniziativa dell’11 ottobre 1994, era stata ritualmente convocata, presso lo studio del notaio, Dr. A. Famularo, assemblea straordinaria della Società, per deliberare sul seguente ordine del giorno: “1) scioglimento della Società, ai sensi dell’art. 2308 c.c., in relazione agli artt. 2272 c.c., n. 2 e/o n. 3, e art. 2284 cod. civ.; 2) nomina del liquidatore e conferimento dei relativi poteri; 3) trasferimento della sede sociale a seguito del predetto sfratto”; d) l’assemblea era stata disertata dagli eredi G., nonostante la loro rituale convocazione; e) dopo la notificazione della citazione, essa e l’altro socio, C.E., avevano chiesto ed ottenuto dal Presidente del Tribunale di Roma, con decreto dell’11 dicembre 1995, la nomina del liquidatore della Società in persona del Rag. R.F..

Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 7478/99 del 27 aprile 1999, respinse le domande.

2. – Avverso tale sentenza L. e G.S., anche quali eredi di R.V., interposero appello dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, al quale resistette F.N..

La Corte adita, con la sentenza n. 3524/04 del 29 luglio 2004, respinse l’appello, confermando integralmente la sentenza impugnata.

In particolare, la Corte, per quanto in questa sede ancora rileva ha osservato quanto segue.

A) Quanto al dedotto inadempimento della F. all’obbligo del rendiconto, i Giudici a quibus hanno affermato: “Premesso che l’accenno alla responsabilità del socio nei confronti dei creditori sociali non è stato fatto correttamente (diverso essendo il contenuto dell’art. 2304 c.c.), esso è del tutto fuori luogo nella fattispecie perchè dall’affermata responsabilità non deriverebbe comunque il potere (o addirittura l’obbligo, secondo gli appellanti) di amministrazione in capo al singolo socio”.

B) Quanto alla dedotta continuazione dell’attività dello Studio da parte della F., i Giudici a quibus hanno affermato: “… la documentazione prodotta … non dimostra in alcun modo la continuazione dell’attività dello Studio da parte della F..

Vero è che la F. ha ammesso che, morto l’amministratore G.D. in data 15.12.1993, lo Studio ha fornito opera di consulenza (per tre clienti, ed ha allegato le relative fatture, ma ella ha altresì documentato di aver convocato gli eredi G. per il 28.10.1994 presso lo studio del notaio Famularo allo scopo di procedere allo scioglimento della società ed alla nomina di un liquidatore (riunione disertata dagli appellanti), di aver depositato presso la ditta Burzese computer e fotocopiatrice giacenti nello Studio, ed infine di aver richiesto ed ottenuto dal Presidente del Tribunale decreto in data 11.12.1995 di nomina del liquidatore nella persona del rag. R.F.”.

C) In conclusione, i Giudici a quibus hanno affermato: “Appare, perciò, evidente che alla F. non possono essere mosse censure di negligenza, stante anche l’inerzia degli eredi G., e che le questioni relative alla situazione patrimoniale della liquidanda società ed alla ripartizione di eventuali residui attivi devono trovare soluzione nella sede ad esse propria”.

3. – Avverso tale sentenza Lorenzo e G.S., in proprio e quali eredi di R.V., hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura.

Resiste, con controricorso, F.N..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (con il quale viene dedotta la violazione di numerose norme del codice civile), i ricorrenti – sul duplice presupposto che l’obbligo di rendiconto della F. nasceva da tutte le norme del codice civile richiamate in rubrica, e che, dopo la morte di G.D., la stessa F. era l’unico socio superstite – criticano la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici dell’appello: a) hanno erroneamente negato la sussistenza di detto obbligo di rendiconto, al cui assolvimento era condizionata la scelta degli eredi se consentire alla continuazione dell’attività sociale, ovvero optare per la liquidazione della Società; b) non hanno considerato che, morto il loro dante causa, la F. era rimasta quale unico socio della Società per oltre sei mesi, con la conseguenza che lo scioglimento della Società era avvenuto ex lege, ai sensi dell’art. 2272 cod. civ., n. 4, e con l’ulteriore conseguenza che la F., quale unico socio, era necessariamente divenuta amministratrice della Società;

Con il secondo motivo (con cui deducono: “Insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”), i ricorrenti criticano la sentenza impugnata sotto il profilo della sua motivazione, ribadendo tutti gli argomenti difensivi svolti con il primo motivo.

2. – Il ricorso non merita accoglimento.

2.1. – Deve premettersi che questa Corte è ferma nel ritenere che:

a) nelle società di persone (nella specie, società in nome collettivo), gli eredi del socio defunto non acquisiscono la posizione di quest’ultimo nell’ambito della società, e non assumono perciò la qualità di soci, ma hanno soltanto il diritto alla liquidazione della quota del loro dante causa, diritto che sorge indipendentemente dal fatto che la società continui o si sciolga, con la conseguenza che, pertanto, gli eredi non sono legittimati a chiedere la liquidazione della società nè possono vantare un diritto a partecipare alla procedura di liquidazione che, nella società di persone, è facoltativa, potendo i soci sostituirla con altre modalità di estinzione o chiedere al giudice nei modi ordinari di definire i rapporti di dare e avere (cfr. la sentenza n. 3671 del 2001); b) anche nella società di persone composta da due soli soci – come, nella specie, dedotto dai ricorrenti -, ove la morte di un socio determini il venir meno della pluralità dei soci, non può riconoscersi un diritto degli eredi del socio defunto a partecipare alla liquidazione della società ed a pretendere una quota di liquidazione, anzichè il controvalore in denaro della quota di partecipazione, in quanto lo scioglimento della società costituisce un momento successivo ed eventuale rispetto allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio e trova causa non tanto nel venir meno della pluralità dei soci, quanto nel persistere per oltre sei mesi della mancanza della pluralità medesima (cfr. la sentenza n. 8670 del 2000): in tale ipotesi, lo scioglimento del rapporto particolare del socio defunto si verifica alla data del suo decesso, mentre i suoi eredi acquistano contestualmente il diritto alla liquidazione della quota secondo i criteri fissati dall’art. 2289 cod. civ., vale a dire un diritto di credito ad una somma di denaro equivalente al valore della quota del socio defunto in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si è verificato lo scioglimento (cfr. la sentenza n. 10802 del 2009); c) con riguardo alla liquidazione della quota agli eredi del socio defunto di una società di persone, gli artt. 2261 e 2289 cod. civ., che devono essere letti congiuntamente, pongono a carico della società l’obbligo di liquidare la quota stessa, e a carico degli amministratori quello di rendere il conto (obbligo che sussiste nei confronti degli eredi anche qualora il de cuius avesse partecipato all’amministrazione), al fine di consentire la formazione, in nome e per conto della società, di una situazione patrimoniale straordinaria aggiornata, nel rispetto dei criteri di redazione del bilancio ed ai fini dell’assolvimento dell’onere della società di provare il valore della quota (cfr. le sentenze nn. 1036 del 2009 e 5809 del 2001).

2.2. – Tanto premesso, nella specie, gli odierni ricorrenti hanno promosso il presente giudizio nei confronti di F.N., in proprio e quale amministratrice di fatto della s.n.c. Studio Verbano del Dott. Donato Giannuzzi & C, chiedendo che la F. fosse dichiarata inadempiente agli obblighi contrattuali, per non avere provveduto – quale amministratrice di fatto – a convocare le assemblee di rito e di approvazione del bilancio, a relazionare gli eredi sull’andamento della Società, nonchè a dare il rendiconto, ed inoltre che venisse dichiarato lo scioglimento della Società, con conseguente condanna della convenuta al pagamento degli utili ed al risarcimento dei danni.

Sulla base del richiamato costante orientamento di questa Corte – secondo il quale, in particolare, gli eredi del socio defunto non acquisiscono la posizione di quest’ultimo nell’ambito della società, e non assumono perciò la qualità di soci, ma hanno soltanto il diritto alla liquidazione della quota del loro dante causa -risulta evidente che tutte tali domande – ad eccezione di quella di rendiconto -, rivolte nei confronti di F.N. sull’assunta qualità della stessa di amministratrice di fatto della Società, presupponevano negli eredi di G.D. la qualità di soci della Società, qualità che, invece, gli stessi ricorrenti escludono in fatto, laddove affermano che la Società medesima era costituita dal loro dante causa “unitamente ai Sigg. F.N. e C.E.” (cfr. Ricorso, pag. 2).

Quanto, poi, alla domanda di rendiconto, astrattamente ammissibile ai fini dell’esercizio da parte degli eredi del socio defunto del diritto alla liquidazione della quota sociale, la stessa è stata formulata nei confronti della F. sul presupposto che quest’ultima – quale unica socia superstite dopo la morte di G.D., precedente amministratore – avesse rivestito “di fatto” tale carica.

Orbene, il presupposto dello svolgimento, da parte della F., di attività riconducibili all’esercizio di detta carica è stato correttamente escluso dai Giudici a quibus: infatti, questi – nell’escludere, con motivazione puntuale ed esauriente, previa valutazione dei documenti prodotti dalla F., che quest’ultima avesse “continuato” l’attività dello Studio Verbano, essendosi la stessa limitata unicamente a fornire opera di consulenza a soli tre “clienti” debitamente fatturata, ed anzi attivata per promuovere lo scioglimento e la liquidazione della Società – si sono correttamente conformati all’orientamento per il quale l’amministrazione di fatto di una società presuppone che il soggetto si sia ingerito nella gestione sociale in assenza di una qualsivoglia investitura formale da parte della società e, soprattutto, abbia svolto le funzioni gestorie con caratteri di sistematicità e di completezza (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 28819 del 2008).

Deve aggiungersi – quanto alla circostanza, astrattamente rilevante ai fini dell’eventuale esercizio di funzioni gestorie da parte della F., secondo cui quest’ultima era rimasta l’unica socia della Società dopo la morte di G.D., avvenuta in data 15 novembre 1993 – che l’esame di tale circostanza è stata correttamente pretermesso dai Giudici dell’appello. Infatti, dalle stesse deduzioni delle parti, contenute nel ricorso e nel controricorso, resta incerta la posizione dell’altro socio originario, C.E.: il quale, nel controricorso, viene indicato come uno dei due soci che ha chiesto – unitamente alla F. – al Presidente del Tribunale di Roma, in data 12 maggio 1995, la nomina del liquidatore della Società (cfr. Controricorso, pag. 3) , nel ricorso viene invece indicato come persona che aveva dichiarato per iscritto ai ricorrenti, nel 1994, “di aver dismesso da tempo la qualità di socio” (cfr. Ricorso, pag. 2).

3. – Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2010

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