Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1149 del 21/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 1149 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: AMOROSO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 25550-2010 proposto da:
COZZOLINO

C.F.

SALVATORE

CZZSVT63E29F839Q,

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato DE FELICE
RAFFAELE, giusta delega in atti;
– ricorrente 2013

contro

2783

ENEL

DISTRIBUZIONE

S.P.A.

C.F.

05779711000,

in

persona del legale rappresentante pro tempore,
domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

Data pubblicazione: 21/01/2014

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
rappresentata
NOTARISTEFANI

e

difesa

degli

avvocati

DI VASTOGIRARDI ANTONIO,

DE

ANTONIO

MURANO. giusta delega in atti;
– controricorrente
2052/2010

D’APPELLO di NAPOLI, depositata

della CORTE

il 03/06/2010

R.G.N.

3357/2006;;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/10/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
AMOROSO;
udito l’Avvocato CERAVOLO MONICA per delega AVV.hE
NOTARISTEFANO DI VASTOGIRARDI ANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. COSTANTINO FUCCI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso del 14-2-2002 Cozzolino Salvatore convenne in giudizio la
società ENEL Distribuzione premettendo di essere stato assunto nel 1986 a seguito
del superamento di un concorso; affermò che era stato inquadrato nella categoria
impiegatizia B1 ed assegnato al servizio tecnico gestionale del settore produzione e
trasmissione di Napoli; che, dopo un iniziale periodo in cui aveva conquistato la
fiducia del capoufficio, ben presto le sue aspettative andarono deluse; che nel 1987

l’atteggiamento del capoufficio Romano si era rivelato immediatamente persecutorio
ed era stato controllato anche il numero di volte nelle quali egli si era recato in
bagno; che pertanto egli fu considerato un personaggio scomodo con la conseguente
emarginazione dall’ambiente dei colleghi; che nel 1992 egli fu trasferito in altro
ufficio, diretto da Borzillo Pasquale, e che anche tale dirigente aveva assunto un
atteggiamento persecutorio in suo danno; che era stato colpito dall’applicazione di
sanzioni disciplinari per lievi ritardi ed irregolarità formali; che, in particolare, era
stato sanzionato un suo presunto allontanamento dal posto di lavoro, mentre invece
egli si trovava in bagno e inoltre era stato sanzionato il ritardo di due giorni nel
deposito di un certificato di malattia nonostante avesse avvisato la dirigenza
provvedendo tempestivamente all’invio del certificato stesso; che, in conseguenza di
tutto ciò, il suo stato di salute aveva subito un progressivo peggioramento; che per
l’ansia di non fare ritardo in ufficio in seguito all’ennesima contestazione, in data 28
giugno 1993 era caduto dal ciclomotore riportando diversi traumi contusivi; che,
successivamente, fu avvicinato dal superiore Elia Vito Antonio il quale, in seguito ad
una banale richiesta di chiarimenti, lo aveva aggredito fisicamente e verbalmente;
che non era stata accolta la sua richiesta di cambiare ufficio e nel frattempo erano
proseguite le contestazioni disciplinari dovute all’assenza dal posto di lavoro e
ritardi; che nel gennaio 1996 era stato assegnato all’altro ufficio in qualità di
assistente autorizzazioni e catasto, ma la situazione non era migliorata ed aveva
continuato a subire arbitrarie contestazioni disciplinari; che anche in questo ufficio,
diretto da Rotondo Franco, avvenne una lite nella quale il capoufficio lo aggredì, ma
nonostante ciò egli subì la sanzione della sospensione dal servizio e dalla
retribuzione per quattro giorni; che, in data 12 marzo 1999, il dirigente Michele
Acocella lo aveva strattonato ed insultato in presenza dei colleghi; che altri attriti
erano sorti con il nuovo capoufficio Codarin Giovanru.

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era stato trasferito ad altro ufficio e destinato a mansioni frustranti; che

Ciò premesso, il ricorrente chiese al Tribunale adito di dichiarare la
illegittimità dei provvedimenti disciplinari irrogati e la illiceità dei comportamenti
posti in essere dall’Enel in seguito a continuate azioni di mobbing, tenuto conto della
dequalificazione subita e dell’adibizione a mansioni inferiori, in contrasto con l’art.
2103 del c.c..
Chiese, quindi, il ricorrente la condanna della società convenuta alla completa
ricostruzione della carriera con l’attribuzione delle mansioni corrispondenti e del

biologico e del danno esistenziale pari a complessivi € 361.519,83 o della somma
ritenuta giusta in corso di causa con interessi e rivalutazione monetaria. Chiese poi
ricorrente il risarcimento del danno professionale subito in conseguenza
dell’illegittima dequalificazione ed emarginazione patiti, del danno all’immagine ed
alla dignità personale nonché del danno morale ed alla vita di relazione per
complessivi € 135.042,41 o di altra somma da accertarsi in corso di causa e da
liquidarsi in via equitativa; chiese infine il ricorrente il risarcimento del danno da
“perdita di chance di promozione e di carriera” per la somma di € 20.658,27.
2. Costituitasi, la società convenuta contestò la fondatezza della domanda
affermando di aver cercato sempre di mantenere un atteggiamento costruttivo nei
confronti del proprio dipendente il quale aveva invece sempre improntato la propria
condotta alla provocazione e all’ostruzionismo. La società ha poi contestato, punto
per punto, la ricostruzione degli episodi che avevano condotto all’irrogazione di
sanzioni disciplinari, chiedendo, alla luce di articolate argomentazioni giuridiche, il
rigetto della domanda con vittoria delle spese di giudizio.
3. Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 25 ottobre 2005, dopo aver
espletato la prova testimoniale, ha respinto la domanda condannando il ricorrente al
pagamento delle spese processuali in favore della parte convenuta.
4. Avverso tale decisione ha proposto appello il Cozzolino rilevando, in primo luogo, la nullità della sentenza per omessa motivazione, in quanto a suo dire il
primo giudice si era limitato in modo assolutamente lacunoso a rilevare che la
documentazione allegata non dimostrava nulla in merito alla presunta strumentalità
delle contestazioni mosse al ricorrente e che la prova orale non colmava tali carenze
in quanto era costituita dalle sole dichiarazioni del padre del ricorrente la cui
attendibilità era compromessa dal fatto che egli non era stato presente agli episodi
denunciati e dall’evidente interesse circa l’esito positivo della domanda. Secondo la
parte appellante, invece, la prova documentale che era stata fornita doveva
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ud. 3 ottobre 2013

risarcimento di tutti danni subiti ed in particolare del danno alla salute, del danno

considerarsi assolutamente rilevante e decisiva, come risultava dall’esame analitico
della documentazione comprese tutte le contestazioni disciplinari che gli erano state
intimate. La parte appellante ha poi descritto in particolare l’andamento dei rapporti
personali con il capoufficio Borzillo ed altri superiori ed ha ribadito il
comportamento anomalo osservato dalla società Enel e dai suoi rappresentanti,
intenti unicamente, a suo dire, a disfarsi dell’appellante ovvero ad emarginarlo. Ha
ribadito poi il Cozzolino di aver subito una grave dequalificazione professionale

documentate; ha ribadito il ricorrente che tali condizioni di salute derivavano dai
maltrattamenti e dalle violenze subite nel corso degli anni in cui aveva prestato la
propria attività lavorativa per conto della società. La parte appellante ha poi
esaminato le risultanze della prova testimoniale ribadendo l’attendibilità del teste
Cozzolino Antonio e l’erroneità delle motivazioni addotte al riguardo dal primo
giudice. Ha concluso quindi il Cozzolino Salvatore chiedendo l’integrale riforma
della sentenza di primo grado e l’accoglimento della domanda così come
originariamente proposta con il ricorso introduttivo del giudizio, oltre alla condanna
della parte appellata al pagamento delle spese diritti ed onorari del doppio grado, con
attribuzione.
Ricostituito il contraddittorio, la parte appellata ha contestato le
argomentazioni difensive esposte dal ricorrente ed ha chiesto il rigetto dell’appello.
La Corte d’appello di Napoli con sentenza dell’il marzo 2010- 3 giugno 2010
ha respinto l’appello e confermato l’impugnata sentenza. Ha compensato tra le parti le
spese del 2° grado del giudizio.

5. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione Cozzolino Salvatore con
tre motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata che ha anche depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. 11 ricorso è articolato in tre motivi.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione falsa applicazione
dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 163, 434 e 437 c.p.c.. In particolare osserva
che nel ricorso introduttivo egli ricorrente ha rivendicato la violazione da parte della
datrice di lavoro degli obblighi posto a suo carico dall’art. 2087 c.c. e il risarcimento
dei danni prodotti da tale violazione. La corte d’appello di Napoli invece ha
circoscritto il tema del decidere alla sola richiesta di risarcimento per danni derivanti

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ud. 3 ottobre 2013

che aveva determinato l’insorgere delle patologie psicofisiche descritte e

da comporti&J;nenti per mobbing, per dequalificazione professionale e per
l’emarginazione subita all’interno dell’azienda.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e omessa
valutazione delle prove. Il giudice di primo grado si è limitato a motivare il rigetto
della domanda per la pretesa assoluta carenza di prova circa la illiceità della condotta
denunciata dal ricorrente, negando qualsiasi valore alle dichiarazioni rese dal
genitore della ricorrente come teste nonché alla documentazione prodotta in causa.

relativi alla risarcimento del danno e al mobbing. Il ricorrente nel suo ricorso aveva
descritto in modo compiuto gli innumerevoli reiterati episodi di mobbing collegati ai
numerosi procedimenti disciplinari che aveva subito nel corso degli anni.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 100 15116
c.p.c., nonché degli artt. 2730 e 2733 c.c., e degli artt. 2087. 1218, 1223, 1225, 1228,
2697 c.c.. In particolare sostiene che la responsabilità per danni prodotti al lavoratore
ricade sul datore di lavoro non solo quando questi risulta essere stato destinatario di
specifici episodi di mobbing e di demansionamento professionale, ma anche quando
l’azienda non ponga in essere ai sensi dell’art. 2087 c.c. tutti i provvedimenti
necessari a preservare l’integrità fisica e la personalità morale del suo dipendente.
2. Il ricorso — i cui tre motivi possono essere esaminati congiuntamente — è
infondato.
Il ricorrente nei suoi tre motivi svolge in realtà delle mere censure di fatto che
esprimono un dissenso in ordine alla valutazione operata (negli stessi termini) dai
giudici di merito, sia in primo grado in grado d’appello, i quali entrambi hanno
ritenuto che non risultassero provati né la dequalificazione né i comportamenti di
mobbing che il ricorrente imputava all’azienda.
In particolare nel ricorso introduttivo del giudizio il Cozzolino ha descritto
una serie di condotte e comportamenti posti in essere dal proprio datore di lavoro ed
in particolare dai numerosi superiori gerarchici avvicendatisi nell’arco dell’intera vita
professionale (per oltre 15 anni) affermando che, nel loro complesso, tali condotte
evidenziavano l’evidente volontà posta in essere dalla società di emarginarlo e
discriminarlo, impedendogli di lavorare serenamente e che tali comportamenti
avevano cagionato i gravi disturbi psicofisici di cui era affetto.
Tuttavia – ha osservato la Corte d’appello – il ricorrente, in relazione agli
innumerevoli episodi oggetto di contestazioni e sanzioni disciplinari (mai
formalmente impugnate) si è limitato a fornire, a distanza di molti anni, una propria
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ud. 3 ottobre 2013

La corte d’appello ha eseguito un’indagine limitata ai soli campi della domanda

versione dei fatti contrapposta a quella della società sulla base di una serie di
affermazioni prive di qualsiasi sostegno probatorio.
La Corte d’appello, con motivazione puntuale e dettagliata, ha passato in
rassegna gli episodi narrati dal Cozzolino come indicativi della condotta vessatoria
asseritamente subita, ponendo in evidenza, nel complesso, che la società, in relazione
a ciascun episodio contestato, aveva condotto una approfondita istruttoria
disciplinare acquisendo le dichiarazioni scritte o verbali di altri impiegati presenti al

accuse disciplinari anche gravi, sfociate in più di una sanzione disciplinare, il
ricorrente non avesse contestato giudizialmente tali provvedimenti datoriali se non a
distanza di molti anni, senza tuttavia fornire un solo elemento concreto di prova a
sostegno della sua opposta versione dei fatti.
In particolare – ha rimarcato la Corte d’appello – il Cozzolino, in relazione agli
episodi più gravi che lo avevano visto accusato di aver aggredito verbalmente e
talvolta fisicamente i propri superiori, si era limitato a respingere ogni accusa,
negando i fatti, senza tuttavia fornire alcuna valida prova a sostegno della propria
versione degli accadimenti.
Anche per quel che riguarda la presunta dequalificazione professionale, la
Corte d’appello ha ritenuto che nessun concreto elemento di prova fosse stato fornito
dal ricorrente il quale non aveva nemmeno analiticamente descritto le mansioni che
nel corso degli anni gli erano state affidate e quelle che gli spettavano alla luce del
suo inquadramento contrattuale.
Né era emerso alcun intento discriminatorio nel comportamento assunto dalla
società, la quale nel corso degli anni si era limitata ad applicare, a fronte di palesi atti
di insubordinazione o di violazione delle regole aziendali, la sanzione disciplinare
più lieve e talvolta, in caso di mancanza di chiari elementi di prova (nonostante
l’accusa provenisse da superiori gerarchici del ricorrente) non aveva provveduto
disciplinarmente nei confronti del Cozzolino.

3. Il ricorso va quindi rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in
dispositivo.

PER QUESTI MOTIVI

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ud. 3 ottobre 2013

momento dei fatti. D’altro canto, non era privo di rilievo il fatto che, a fronte di

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
questo giudizio di cassazione liquidate in curo 100,00 (cento) oltre euro 2.500,00
(duernilaciriquecento) per compensi d’avvocato ed oltre accessori di legge,
Così deciso in Roma il 3 ottobre 2013
Il Presidente

Il Consigliere

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