Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11484 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. II, 15/06/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 15/06/2020), n.11484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10640-2016 proposto da:

H.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 114/B,

presso lo studio dell’avvocato FERDINANDO EMILIO ABBATE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVAMBATTISTA

FERRIOLO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositato il

19/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/12/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Ferriolo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

H.I. ha presentato ricorso, articolato in due motivi, avverso il decreto n. 1612/2015 della Corte di appello di Firenze, depositato in data 19 ottobre 2015.

L’intimato Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensive.

Con ricorso L. n. 89 del 2001, ex art. 3, depositato presso la Corte di appello di Firenze in data 4 marzo 2015, H.I. chiese di ingiungere al Ministero della Giustizia il pagamento della somma di Euro 1.125,00 quale risarcimento del danno subito per la non ragionevole durata in relazione ad una causa di equa riparazione iniziata nel luglio 2010 dinanzi alla Corte di appello di Perugia e durata sino a luglio 2014, ovvero complessivamente quattro anni.

Il magistrato designato della Corte di appello di Firenze, con decreto del 20 marzo 2015, rigettò il ricorso.

Propose opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter, H.I., opposizione che la Corte di appello di Firenze respinse, con condanna della ricorrente al rimborso in favore del Ministero della Giustizia delle spese del procedimento. La Corte di Firenze evidenziò come la domanda di equa riparazione, azionata nel giudizio presupposto, era stata depositata il 10 luglio 2010 ed era stata accolta dalla Corte di cassazione con sentenza del 25 ottobre 2012. Non avendo l’Amministrazione adempiuto alla condanna, la ricorrente aveva dovuto procedere in executivis in forza di precetto del 20 novembre 2013, ed il procedimento si era concluso con ordinanza di assegnazione divenuta definitiva il 20 luglio 2014. Sommando la durata delle tre fasi svolte davanti alla Corte d’appello, alla Corte di cassazione ed al giudice dell’esecuzione, si perveniva ad un totale di 2 anni, 7 mesi e 16 giorni, eccedente di soli mesi 1 e giorni 11 rispetto al periodo stimato congruo di 2 anni, 6 mesi e 5 giorni, con conseguente insussistenza del diritto all’indennizzo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, per avere la Corte di appello erroneamente computato, ai fini della determinazione del periodo ragionevole del processo, la durata della fase del giudizio svoltasi dinanzi alla Corte di appello (1 anno, 2 mesi e 5 giorni: 10 luglio 2010/15 settembre 2011) ed alla Corte di Cassazione (9 mesi e 11 giorni: 14 gennaio 2012/25 ottobre 2012), omettendo di considerare che, essendo divenuto esecutivo il titolo ottenuto nell’ottobre 2012 ed essendosi conclusa la conseguente fase di esecuzione nel luglio 2014, tale ulteriore periodo di un anno e nove mesi doveva sommarsi alla durata della precedente fase di cognizione, articolatasi nei due gradi di merito. Al contrario, la Corte di appello avrebbe considerato soltanto l’intervallo tra la notifica dell’atto di precetto, avvenuto il 20 novembre 2013, e l’ordinanza di assegnazione divenuta definitiva il 20 luglio 2014 con cui il procedimento esecutivo si era concluso, per un totale di 8 mesi.

Il secondo motivo di ricorso censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la Corte di appello di Firenze erroneamente posto a carico della ricorrente le spese processuali, pur essendo stata la domanda rigettata sulla scorta di un sopravvenuto orientamento giurisprudenziale.

Il primo motivo di ricorso è infondato alla stregua dei principi enunciati da Cass. Sez. U, 23/07/2019, n. 19883.

Ai fini dell’individuazione della ragionevole durata del processo rilevante per la quantificazione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, la fase esecutiva eventualmente intrapresa dal creditore dell’indennizzo Pinto nei confronti dello Stato-debitore per ottenere la soddisfazione del proprio credito, inizia con la notifica dell’atto di pignoramento ex art. 491 c.p.c. (non potendo riconoscersi alcun valore alla anteriore data di notifica del titolo esecutivo e/o dell’atto di precetto, come erroneamente sostenuto nel caso in esame dalla Corte d’appello di Firenze) e termina allorchè diventa definitiva la soddisfazione del credito indennitario (nella specie, con l’ordinanza di assegnazione divenuta definitiva il 20 luglio 2014). Nel computo della durata del processo di cognizione ed esecutivo, da considerare unitariamente ai fini del riconoscimento del diritto all’indennizzo L. n. 89 del 2001, ex art. 2, non va però considerato come “tempo del processo” quello intercorso fra la definitività della fase di cognizione (nella specie, 25 ottobre 2012, data della sentenza di cassazione) e l’inizio della fase esecutiva (novembre 2013), potendo questo lasso temporale eventualmente rilevare ai fini del ritardo nell’esecuzione come autonomo pregiudizio, allo stato indennizzabile in via diretta ed esclusiva, in assenza di rimedio interno, dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. L’unità fra le due fasi processuali, nel caso dello Stato-debitore dell’indennizzo Pinto, non comprende, dunque, ai fini del riconoscimento del tempo processo, anche il tempo relativo all’inerzia che il creditore ha mantenuto fra la definitività della fase di cognizione e l’inizio del procedimento esecutivo. Come già chiarito dalle sette sentenze del 19 marzo 2014 (da n. 6312 a n. 6318) delle Sezioni Unite, questo periodo, riguardante il ritardo nell’esecuzione della decisione favorevole eccedente lo spatium adimplendi di sei mesi e cinque giorni, è estraneo alla tutela approntata dal rimedio interno introdotto dalla L. n. 89 del 2001, indirizzata inequivocabilmente a riconoscere un indennizzo per i soli tempi del processo, siano essi collegati al protrarsi irragionevole della fase di cognizione che di quella esecutiva, e perciò non idoneo ad offrire tutela per il diverso ed autonomo pregiudizio sofferto con riguardo al ritardo nell’esecuzione della decisione favorevole. Ne consegue che la risarcibilità di tale pregiudizio trova riconoscimento unicamente mediante ricorso immediato alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (cfr. Gaglione e altri c. Italia – Corte dir. uomo, 21 dicembre 2010).

E’ infondato anche il secondo motivo di ricorso.

Ai sensi dell’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. n. 132 del 2014 (qui applicabile ratione temporis) e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92 c.p.c., comma 2, (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 18/02/2019, n. 4696). Peraltro, la facoltà di disporre la compensazione delle spese tra le parti, nei limiti appena specificati, rientra pur sempre nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con un’espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (da ultimo, Cass. Sez. 6 – 3, 26/04/2019, n. 11329).

Il ricorso va quindi rigettato.

Non occorre regolare le spese del giudizio di cassazione, in quanto l’intimato Ministero non svolto attività difensive.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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