Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1148 del 21/01/2020

Cassazione civile sez. III, 21/01/2020, (ud. 08/03/2019, dep. 21/01/2020), n.1148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28575-2017 proposto da:

ITAS MUTUA, in persona del Direttore sinistri nonchè legale

rappresentante pro tempore Dott. G.C., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 15, presso lo studio

dell’avvocato SUSANNA LOLLINI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARIO CLAUDIO CAPPONI;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROCCA

PRIORA 6, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPINA PAOLA CHIEFARI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE CAMPINI;

P.B.F., domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato PATRIZIA MICAI;

– controricorrenti –

e contro

T.F., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

Nonchè da:

T.L., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA MINCIO, 2, presso lo studio dell’avvocato LORENZO FEROLI,

rappresentati e difesi dall’avvocato MARIA LINA GUARINO;

– ricorrenti incidentali –

contro

CO.BI., I.M., C.M.,

C.A., P.B.F., PR.MA., M.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3989/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI CORRADO, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e declaratoria di parziale inammissibilità e nel resto

rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato SUSANNA LOLLINI;

udito l’Avvocato GIUSEPPINA PAOLA CHIEFARI per delega orale;

udito l’Avvocato MIRCA FERRARI per delega;

udito l’Avvocato MARIA LINA GUARINO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. T.F., Bi. e Co.Gi., L.C. e Ma.Ma.Pi. convennero dinanzi al Tribunale di Milano, Pr.Ma., M.M. e la Sun Insurance Office nelle rispettive qualità di guidatore, conduttrice in leasing e assicuratrice del veicolo che, alle 7 del mattino del (OMISSIS), aveva investito il minore Co.Si., causandone la morte.

2. Il giudice di primo grado, accertata l’esclusiva responsabilità del Pr., accolse la domanda risarcitoria, riconoscendo alla T. (madre convivente con il minore) la somma di Lire 360 milioni, di cui 260 per danno morale e 100 per danno biologico, a Co.Bi. (padre non convivente) Lire 163 milioni, a Ma.Ma.Pi. (nonna materna convivente) 100 milioni per danno morale, a Co.Gi. e L.C. (nonni paterni non conviventi) 40 milioni per danno morale.

3. La Corte d’Appello di Milano, pronunciando sulle impugnazioni proposte, ridusse il risarcimento per danno biologico riconosciuto a T.F. da 100 a 20 milioni e quello riconosciuto a Ma.Ma.Pi. da 100 a 40 milioni.

4. La sentenza del giudice territoriale è stata impugnata da T.F., in proprio e in qualità di erede della madre Ma.Ma.Pi. (deceduta nelle more del giudizio), con ricorso per cassazione sorretto da 3 motivi di censura illustrati da memoria. Resisteva Sun Insurance Office con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.

5. Con sentenza n. 809 del 2015 questa Corte accoglieva il secondo ed il terzo motivo, cassando la sentenza impugnata e rinviando davanti alla Corte d’Appello di Milano, rilevando che la sentenza impugnata non aveva correttamente valutato il profilo dell’effettiva residenza di Ma.Ma.Pi., nonna materna del minore deceduto, ai fini del danno morale e di quello da perdita del rapporto parentale patito da T.F., diverso dall’aspetto medico legale funzionale e medicalmente accertabile da riferire, invece, alla “sfera del più intimo sentire del soggetto, nella continua e silenziosa relazione dell’essere con sè stesso e il proprio equilibrio interiore”.

6. Le attrici riassumevano il giudizio, richiedendo alla Corte territoriale di valutare tutte le circostanze indicate nel ricorso e prese in esame dalla Corte di legittimità. Si costituiva la compagnia di assicurazione chiedendo l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli eredi di Ma.Ma.Pi., e, comunque, il rigetto delle domande. Le attrici provvedevano ad integrare il contraddittorio e si costituiva parte degli eredi: P.B.F. e C.A..

7. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 20 settembre 2017, riteneva che il certificato di residenza dal quale risultava che Ma.Ma.Pi. risiedeva in (OMISSIS) e non in Milano non costituisse un elemento idoneo ad escludere il rapporto di convivenza del minore con la nonna materna, fondato su differenti e ulteriori elementi istruttori. Riconosceva, poi, il danno da perdita del rapporto parentale nella misura riconosciuta dal giudice di prime cure, respingendo la liquidazione del danno tanatologico, trattandosi di domanda nuova.

8. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Itas Mutua affidandosi a sei motivi. Resistono con controricorso F., L., O. e T.P., spiegando ricorso incidentale sulla base di due motivi, avverso il quale deposita controricorso Itas Mutua. Resistono con separati controricorsi, C.A. e P.B.F..

9.La ricorrente principale e le ricorrenti incidentali depositano memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Occorre premettere che questa Corte di legittimità ha accolto il secondo motivo con cui si censurava la sentenza di appello che, ai fini dell’accertamento del fatto della dimora abituale della parte (decisivo per la determinazione del danno morale), si era limitata a rinviare ai documenti attestanti la residenza anagrafica, senza prendere in considerazione i documenti comprovanti l’effettiva collocazione della dimora abituale in un luogo diverso dalla residenza anagrafica.

2. Questa Corte rilevava che “le deduzioni, le allegazioni e le produzioni rese in grado di appello dovevano ritenersi, difatti, del tutto idonee a dimostrare il fatto controverso costituito dall’effettiva residenza della nonna materna del minore deceduto, e la mancata considerazione delle stesse, coniugata con la considerazione del solo, non decisivo dato fattuale della residenza anagrafica, integra gli estremi del lamentato error iuris in cui è incorsa la Corte territoriale che, in sede di rinvio, dovrà diversamente e correttamente valutare tutte le circostanze indicate dall’odierna ricorrente, idonee a pervenire alla conclusione da essa ancor oggi rappresentata”.

3. Accoglieva, altresì, il terzo motivo relativo all’omessa valutazione delle conseguenze della perdita del rapporto parentale, che, al di là e diversamente dalla menomazione psico-patologica accertata dal CTU nella percentuale del 7% – i.e. del danno strettamente biologico, involgerebbe diversi ed ulteriori aspetti della sofferenza patita da T.F. in conseguenza della perdita del figlio.

4. Rilevava la Corte di legittimità che il giudice di merito avrebbe dovuto fare riferimento “al danno da perdita del rapporto parentale (quel danno che, sia pur con erroneo richiamo al solo danno biologico, correttamente il giudice di primo grado aveva diversamente valutato), non essendo credibile nè concepibile che le conseguenze della perdita di un figlio si esauriscano nel parametro del 7% così come quantificato a titolo di danno biologico (psicopatologico) in una consulenza che, investita del solo aspetto medico legale funzionale alla valutazione della lesione medicalmente accertabile, non ha ovviamente preso in considerazione il profondo vulnus arrecato al diverso e fondamentale bene oggetto di tutela costituzionalmente sancita dagli artt. 29 e 30 della Carta fondamentale, del quale il danno morale (nella specie, correttamente liquidato) costituisce, come di ogni altro danno inferto a valori della persona tutelati dalla Costituzione, uno dei due aspetti risarcitori, quello, cioè, che impinge nella sfera del più intimo sentire del soggetto, nella continua e silenziosa relazione dell’essere con sè stesso e il proprio equilibrio interiore”.

5.Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per omessa indicazione delle parti. In particolare, la Corte territoriale non avrebbe verificato la ritualità della notifica a Co.Bi. che non risulterebbe neppure menzionato nell’intestazione e ciò determinerebbe incertezza sull’integrità del contraddittorio.

6. Il motivo è inammissibile perchè generico in quanto viene solo ipotizzato e non documentato un vizio di notifica e quindi di integrazione del contraddittorio, mentre la mancata menzione nella intestazione e la omessa dichiarazione di contumacia non costituiscono profilo di nullità della sentenza (Cass. n. 22918/2013; Cass. n. 25238/2010).

7. Con il secondo motivo si lamenta la nullità della sentenza per indeterminatezza delle quote liquidate, in violazione degli artt. 132,156 e 474 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4. La condanna nei confronti degli eredi “pro quota” non consentirebbe di dare esecuzione alla sentenza, difettando la individuazione del valore del credito. La Corte territoriale avrebbe dovuto prima individuare le stirpi e i discendenti delle figlie premorte della Ma..

8. La censura è infondata. La Corte d’Appello ha riconosciuto il risarcimento spettante alla nonna di Co.Si. e, quindi, agli eredi di Ma.Ma.Pi. “ciascuno pro quota ereditaria” nella medesima misura determinata dal Tribunale. Parte ricorrente non ha dedotto di avere contestato la qualità di erede, in appello, degli odierni intimati per cui, ai sensi dell’art. 467 e seguenti, costoro sono subentrati per successione nei diritti dei rispettivi danti causa, per rappresentazione ovvero, in qualità di eredi secondo i principi stabiliti del codice civile agli artt. 564, 463, 459,519,522,523,649,580 e 467 c.c. Pertanto non ricorre la violazione dell’art. 474 c.p.c. poichè la sentenza recante la condanna è determinabile attraverso dati provenienti da fonti normative, con semplici calcoli aritmetici, sulla scorta di dati desumibili dalla documentazione prodotta (Cass. n. 27417/2017). Conseguentemente si è al di fuori dell’ipotesi prevista dall’art. 112 c.p.c. (Cass. Sezioni Unite, 2 luglio 2012 n. 11066).

9. Con il terzo motivo si deduce l’omessa pronunzia sull’eccezione di inammissibilità delle domande nuove proposte, con violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 3. Rispetto alle domande introdotte in appello dagli eredi di Ma.Ma.Pi., nonna materna convivente con la vittima, era stata eccepita la novità delle stesse nella parte relativa alla richiesta di liquidare la quota di spettanza. Tale eccezione non sarebbe stata esaminata dalla Corte territoriale.

10. Il motivo è infondato, poichè la richiesta di liquidazione del credito secondo la quota di spettanza non costituisce domanda nuova poichè non determina una modificazione della causa petendi non ricorrendo l’ipotesi di diverso titolo giuridico della pretesa, fondato su presupposti di fatto e situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, con conseguente mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato (Cass. n. 13146/2018). Gli eredi non hanno introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, alterando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere nei precedenti gradi di giudizio e sulla quale non si sarebbe svolto il contraddittorio (Cass., 7 febbraio 2012, n. 1684).

11. Con il quarto motivo si lamenta l’omessa considerazione dell’eccezione di intervenuto pagamento delle somme risarcitorie oggetto di condanna, con violazione agli artt. 112,474 e 100 c.p.c. e degli artt. 1174, 1176, 1188, 1139 e 393 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. La Corte d’Appello avrebbe ripristinato la condanna della compagnia al pagamento delle somme originariamente disposte dal Tribunale e successivamente ridotte in sede di gravame. Tali somme, già oggetto di precetto notificato il 1 giugno 2001, sarebbero state integralmente pagate da parte della compagnia, sebbene in favore delle sole F., P., O. e T.L., che nell’occasione si erano dichiarate uniche eredi, escludendo l’esistenza di P.B.F., C.A. e Ma. e I.M.. La questione è stata esaminata nel giudizio per revocazione della sentenza con ordinanza del 15 novembre 2017 nella quale la Corte d’Appello rilevava che il pagamento era stato effettuato con riserva di ripetizione e per tale ragione, non costituiva un fatto idoneo ad escludere la condanna nel giudizio di cognizione. Tale argomentazione non sarebbe convincente, non assumendo rilievo il profilo dell’elemento soggettivo di colui che esegue il pagamento.

12. Il motivo è dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 in tema di autosufficienza poichè non vi è riscontro attraverso la trascrizione del contenuto dei documenti, nè è indicata la esatta allocazione degli stessi all’interno del fascicolo di legittimità; non è, poi, specificata la fase processuale di esibizione, degli atti menzionati da parte ricorrente, relativi al pagamento delle somme, nè da dove si evincerebbe ch e stesse furono corrisposte ad alcuni soltanto degli eredi, circostanza che potrà, eventualmente, essere fatta valere in sede esecutiva. Tali elementi non consentono a questa Corte di operare una qualsiasi forma di valutazione in ordine alle censure.

13. Nel merito, come evidenziato sia dalla ricorrente che dai controricorrenti, la Corte d’Appello di Milano, nel giudizio di revocazione, ha rilevato che la compagnia aveva effettuato il pagamento con riserva di ripetizione e che ciò non costituiva “fatto idoneo ad escludere, nel giudizio di cognizione del quale il diritto si sta cercando, essendo, invece, la statuizione di condanna necessaria per dare titolo alla attribuzione patrimoniale”. La valutazione della Corte territoriale esprime un principio condivisibile.

14. In ogni caso, si tratta di profili che potranno essere agevolmente risolti in sede di esecuzione al pari, come detto, dell’eventuale diritto della compagnia di ripetere le somme pagate in esubero in favore di taluni eredi rispetto ad altri.

15. Con il quinto motivo si deduce l’omesso esame delle circostanze riferibili alla convivenza di Ma.Ma.Pi. con il nipote, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte non avrebbe esaminato la documentazione esibita dalle parti. In particolare, non avrebbe operato una comparazione tra documentazione relativa alle utenze telefoniche e spese condominiali, prodotta per dimostrare la effettiva dimora di Ma.Ma.Pi. e quella, esibita dalla compagnia, costituita dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa da T.F., che attestava la residenza della Ma. in (OMISSIS) e non in Milano (luogo di residenza del minore).

16. Il motivo è inammissibile poichè esula del tutto dal disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5 che si riferisce all’omessa valutazione di un fatto storico decisivo per il giudizio e non alla inadeguata comparazione dei mezzi di prova, che costituisce prerogativa esclusiva del giudice di merito e che ha ad oggetto attività istruttoria che non costituisce “fatto storico” ai sensi della norma invocata.

17. In ogni caso questa Corte con la sentenza n. 809 del 2015 aveva già espresso un giudizio di idoneità del materiale probatorio, demandando al giudice del merito, già investito del rinvio per altra questione, la definitiva valutazione dello stesso e la liquidazione del danno. Infatti, la Corte di Cassazione ha osservato che “le deduzioni, le allegazioni delle produzioni rese in grado d’appello dovevano ritenersi, difatti, del tutto idonee a dimostrare il fatto controverso costituito dalla effettiva residenza della nonna materna del minore deceduto”.

18. Con il sesto motivo si deduce l’omessa o insufficiente motivazione e l’errata quantificazione delle spese di lite ai sensi degli artt. 91,92 e 132, n. 5 c.p.c. e degli artt. 4 e 5 della tabella 12 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte d’Appello avrebbe fatto riferimento a un criterio di prevalenza della soccombenza, senza considerare adeguatamente che la domanda di risarcimento del danno tanatologico era stata rigettata e che quest’ultima assumeva un valore significativo nell’economia complessiva delle richieste dei danneggiati. Pertanto, la liquidazione delle spese nella misura di Euro 3000 risulterebbe eccessiva e superiore all’importo previsto nel citato decreto ministeriale e ciò in quanto la quota attribuibile a ciascuno degli eredi (1/12) farebbe rientrare la controversia nella fascia di valore tra Euro 1100 ed Euro 5.200.

19. Quanto al primo profilo dedotto, la censura è inammissibile poichè la valutazione sulla compensazione o meno delle spese sul presupposto, eventualmente, della esistenza di una soccombenza reciproca rientra nel potere discrezionale del giudice di merito ed esula dalla valutazione di questa Corte. Infatti, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Sez. 5, Sentenza n. 15317 del 19/06/2013, Rv. 627183 01).

20. Per il resto la eccezione che riguarda lo scaglione del valore della causa è infondata in quanto lo stesso va riferito al risarcimento del danno in favore di Ma.Ma.Pi., pari ad Euro 51.645 e in relazione a tale importo correttamente la Corte d’Appello ha determinato le spese processuali.

21. Con il primo motivo del ricorso incidentale F., L., O. e T.P. lamentano la violazione l’art. 384 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 3, nonchè omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte di legittimità aveva richiesto al giudice del rinvio di quantificare il danno da perdita parentale che la Corte territoriale ha determinato nella misura di Lire 100 milioni, attestandosi nel valore pari ad un terzo del minimo previsto nelle tabelle milanesi. Al contrario, sussisterebbero i presupposti per una liquidazione della somma massima, poichè Si. era un ragazzo di 15 anni, figlio unico e la signora T., genitore separato, era affidataria del minore e conviveva con la nonna del ragazzo. Il legame strettissimo tra madre e figlio emergerebbe anche dal contenuto della relazione del c.t.u. relativa alla somatizzazione di tale pregiudizio, tanto che il dolore aveva inciso anche nella sfera fisica di T.F.. Sulla base di tali elementi la somma liquidata risulterebbe irrisoria o comunque del tutto inadeguata.

22. Il motivo è dedotto in violazione l’art. 366 c.p.c., n. 6 poichè non vi è la individuazione specifica delle tabelle di riferimento in uso nell’anno 2001 al fine di verificare la dedotta sproporzione (Cass. n. 12288 del 15 giugno 2016, sul tema specifico dell’omessa allegazione delle tabelle riferite all’anno in oggetto e mancata specificazione dell’atto con il quale le stesse sono state prodotte nel giudizio di merito e del luogo del processo in cui risultino reperibili). Inoltre, omette del tutto di considerare che il Tribunale aveva già riconosciuto alla T. (madre convivente con il minore) la somma di Lire 360 milioni, di cui 260 per danno morale e 100 per danno biologico (ridotto in appello ad Euro 20 milioni).

23. In ogni caso, la liquidazione del danno non patrimoniale entro il minimo tabellare costituisce valutazione fattuale del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità.

24. Con il secondo motivo si lamenta la violazione agli artt. 91 e 92 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4 e degli artt. 4 e 5 e tabelle 12 e 13 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 per omessa o insufficiente motivazione o errata quantificazione della condanna alle spese processuali, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte d’Appello avrebbe liquidato le spese in misura inferiore a quelle richieste con le note depositate, che si erano attestate sui massimi consentiti, valorizzando l’impegno richiesto alla difesa e censurando la condotta della compagnia di assicurazione, anche con riferimento alle affermazioni offensive contenute negli scritti dell’assicuratore. Pertanto, sarebbe stata opportuna una condanna esemplare alle spese che, invece, sarebbero state liquidate in misura inferiore ai minimi.

25. Il motivo è inammissibile perchè censurato in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 con riferimento specifico al contenuto delle “note spese depositate” che non vengono trascritte, allegate o individuate all’interno del fascicolo di legittimità (le ricorrenti incidentali si limitano a denominarle “docc 14-16”) o comunque individuate nel momento processuale di esibizione in giudizio.

26. Oltre a tale considerazione il motivo è inammissibile perchè la parte, la quale intenda impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, per pretesa violazione dei minimi tariffari, ha l’onere di specificare analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il ricorso che contenga il semplice riferimento a prestazioni che sarebbero state liquidate in eccesso rispetto alla tariffa massima (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 30716 del 21/12/2017, Rv. 647175 – 01).

27. In particolare, il ricorrente deve, a pena d’inammissibilità, indicare il valore della controversia rilevante ai fini dello scaglione applicabile, trattandosi di presupposto indispensabile per consentire l’apprezzamento della decisività della censura (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 2532 del 10/02/2015, Rv. 634324 – 01).

28. Le ricorrenti non accennano in alcun modo al valore della causa.

29. Per il resto le censure sembrano riferirsi ad una richiesta di condanna esemplare da ricondurre all’alveo dei danni punitivi o comunque ad una larvata richiesta di condanna per lite temeraria, non espressamente formulata, sia nel giudizio di merito, che in quello di legittimità.

30. Ne consegue che il ricorso principale e quello incidentale devono essere rigettati con compensazione delle spese di lite per reciproca soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa integralmente le spese processuali tra le parti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 8 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2020

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