Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1148 del 19/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 19/01/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 19/01/2011), n.1148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5946/2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso

lo studio dell’avvocato URSINO Anna Maria (DIREZIONE AFFARI LEGALI

POSTE ITALIANE), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 81/2006 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 10/02/2006 R.G.N. 22/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

02/12/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega URSINO ANNA MARIA ROSARIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per la dichiarazione di

inammissibilità.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Verona, regolarmente notificato, G.L., assunto con diversi contratti a tempo determinato dalla società Poste Italiane s.p.a., il primo dei quali dal 13.12.1999 al 31.1.2000 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, rilevava che i motivi indicati nel contratto concluso non rientravano nell’ambito delle ipotesi previste, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, dall’art. 8 del CCNL del 26 novembre 1994, così come integrato con l’accordo collettivo del 25 settembre 1997 e che, essendo stata l’assunzione illegittima, il contratto si era convenuto in contratto a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto al predetto rapporto di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione dello stesso in contratto a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con sentenza in data 17.12.2003 – 15.1.2004 il Tribunale adito accoglieva la domanda e dichiarava la natura a tempo indeterminato dei rapporti in questione, a decorrere dal 13.12.1999, condannando la società convenuta al ripristino del rapporto ed al pagamento in favore del ricorrente della retribuzione, con accessori, dal 21.5.2003, data di offerta delle prestazioni.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società Poste Italiane s.p.a. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Venezia, con sentenza in data 7.2 – 10.2.2006, rigettava il gravame.

In particolare la Corte territoriale rilevava, in via assorbente, che il contratto in questione era stato stipulato successivamente al 30.4.1998, ossia in periodo non coperto dalla contrattazione autorizzatoria. E rilevava, ulteriormente, che l’assunzione in parola, pur essendo stata dichiarata come effettuata ai sensi della disciplina legale vigente ed a norma dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994 e dei successivi accordi integrativi, non conteneva alcuna concreta indicazione delle ragioni della stipulazione a termine sottese alla previsione – astratta e di natura programmatica – dell’accordo collettivo.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la Poste Italiane s.p.a. con cinque motivi di impugnazione.

I lavoratore intimato non ha svolto attività difensiva.

La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare osserva che la Corte territoriale, dopo avere ritenuto che l’accordo sindacale del 25.9.1997 era stato concluso sulla base della delega contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23, rilevando che quest’ultima norma aveva lasciato “piena autonomia alle parti collettive nella individuazione delle stesse ipotesi”, e dopo aver ritenuto che la pacifica esistenza di un piano di ristrutturazione aziendale di lungo periodo costituiva una legittima causale per la stipulazione di contratti a termine, aveva contraddittoriamente affermato che tale previsione sarebbe invalida qualora non imponesse che ogni assunzione a termine fosse giustificata dalla situazione particolare del singolo ufficio di assegnazione.

Col secondo motivo di ricorso la società lamenta violazione e falsa applicazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, artt. 1 e 2, nonchè della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23 (art. 360 c.p.c., n. 3).

In particolare osserva che in maniera contraddittoria la Corte territoriale, dopo aver rilevato che l’accordo sindacale del 25.9.1997 era stato concluso sulla base della delega contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23, e che questa norma lasciava piena autonomia alle parti collettive nell’individuazione delle stesse ipotesi, ha ritenuto che l’interpretazione fornita dalla società datoriale dell’accordo predetto comporterebbe una inammissibile subordinazione delle legittimità di tali assunzioni a termine alla previsione di un limite temporale, introducendo un elemento non previsto da dettato normativo di cui alla predetta L. n. 56 del 1987, art. 23.

Col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dell’art. 1362 c.c., e segg., nonchè contraddittoria ed insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Rileva in particolare che, facendo corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., e segg., e, in particolare, ricercando la volontà comune delle parti nello stipulare l’integrazione all’art. 8 CCNL 1994, deve concludersi che gli accordi collettivi non fissano alcun limite temporale alla stipula dei contratti a termine. E pertanto la Corte territoriale, ritenendo di reperire il siffatto limite temporale in alcuni verbali sindacali, aveva erroneamente disatteso il precetto normativo posto che la delega all’autonomia collettiva contenuta nella legge era testualmente limitata alle “ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali appartenenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”, mentre i verbali sindacali non avevano chiaramente dignità di contratto collettivo.

Col quarto motivo di ricorso la società lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., e segg., in relazione all’art. 8 CCNL 26.11.1994, integrato dall’accordo 25.9.1997; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Rileva in particolare che, facendo corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., e segg., e, in particolare, ricercando la volontà comune delle parti nello stipulare l’integrazione all’art. 8 CCNL 1994, deve concludersi che gli accordi collettivi non fissano alcun limite temporale alla stipula dei contratti a termine. Se, invero, la volontà delle parti fosse stata quella di limitare in un illogicamente ristretto arco di tempo la possibilità di assumere a temine in una situazione così particolarmente complessa, risulterebbero oggettivamente illogiche ed incomprensibili le ragioni per le quali e organizzazioni sindacali avrebbero successivamente consentito la stipulazione di numerosi contratti a termine ed addirittura consentito l’inserimento nel contratto collettivo del 2001 dei presupposti di fatto presenti nell’accordo 25.9.1997.

Col quinto motivo di ricorso la società lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè violazione o falsa applicazione degli artt. 2094, 2099, 1206, 1207 e 1217 c.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Rileva in particolare che erroneamente la Corte territoriale aveva condannato la società al pagamento di tutte le retribuzioni dalla data delle pretesa messa in mora, e cioè dalla data di esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, incorrendo in tal modo nella palese violazione dei principi e delle norme di legge sulla corrispettività delle prestazioni, avendo la giurisprudenza evidenziato che in caso di trasformazione in unico rapporto a tempo indeterminato di più contratti a termine, gli intervalli non lavorati fra l’uno e l’altro rapporto, in difetto di un obbligo del lavoratore di continuare ad effettuare la propria prestazione o di tenersi disponibile ad effettuarla, non implicano diritto alla retribuzione.

Il ricorso è inammissibile.

Osserva il Collegio che ai sensi dell’art. 101 c.p.c., il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa.

Il suddetto principio del contraddittorio, che si collega sul piano costituzionale con il diritto di difesa dichiarato dall’art. 24 Cost., pone al giudice il potere – dovere di controllare d’ufficio l’esistenza e la regolarità della vocatio in ius della parte nei cui confronti è posta la domanda giudiziaria.

Orbene, nel caso di specie dal contenuto della relata di notifica in data 10.2.2007 relativa al proposto ricorso per cassazione, risulta che l’Ufficiale giudiziario ha attestato di aver proceduto alla notifica dell’atto a mezzo del servizio postale con raccomandata n. 8720.

Ne consegue che, perfezionandosi la notifica nei confronti del destinatario con la ricezione dell’atto, la società ricorrente avrebbe dovuto fornire la prova, mediante deposito dell’avviso di ricevimento, di tale ricezione.

A detto adempimento non ha ottemperato la ricorrente non risultando l’avvenuto deposito di tale avviso di ricevimento, e non riscontrandosene tra l’altro la presenza nel fascicolo.

Da ciò consegue, non risultando la prova dell’avvenuta istaurazione del contraddittorio, che il ricorso proposto va dichiarato inammissibile.

Nessuna statuizione va adottata in materia di spese non avendo la parte intimata svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2011

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