Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11479 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 30/04/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 30/04/2021), n.11479

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7244-2019 proposto da:

L.W., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI

n. 72, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA DEL POZZO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANFRANCO SPIAZZI

(studio avv. Falchetti).

– ricorrente –

contro

M.G., M.M.P. e M.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA GIULIANA n. 44, presso

lo studio dell’avvocato VITTORIO NUZZACI, rappresentati e difesi

dagli avvocati LUIGI FIOCCO e IVAN ARDUINI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2139/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato l’11.3.2011 M.G., M.A. e M.M.P. evocavano in giudizio innanzi il Tribunale di Verona L.W., invocando l’accertamento del confine tra le proprietà degli attori e del convenuto e la condanna di quest’ultimo al rilascio di una porzione occupata con recinzione in filo spinato.

Si costituiva in giudizio il L. resistendo alla pretesa e spiegando domanda riconvenzionale per l’accertamento dell’intervenuta usucapione dell’area.

Con sentenza n. 3253/2016 il Tribunale accoglieva la domanda attrice, condannando il convenuto al rilascio dell’area in contestazione ed alle spese del grado.

Interponeva appello il L. e la Corte di Appello di Venezia, con la sentenza impugnata, n. 2139/2018, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione L.W. affidandosi a tre motivi.

Resistono con controricorso M.G., M.A. e M.M.P..

La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2967,1158 e 1159 bis c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che il possesso ininterrotto del terreno, da parte del ricorrente, per oltre 50 anni, dedotto sin dalla sua costituzione in prima istanza, non sarebbe stato contestato in modo specifico dalle originarie attrici. Di conseguenza, ad avviso del ricorrente avrebbe dovuto essere accolta la domanda riconvenzionale di usucapione dell’area oggetto di causa da lui spiegata.

La censura è inammissibile.

La Corte di Appello ha espressamente escluso che fosse stata raggiunta la prova del possesso ininterrotto ed ultraventennale dell’area contesa da parte del L., dando atto, da un lato, che questi aveva prodotto una fotografia, asseritamente risalente a prima del 1975, ma la cui datazione dipendeva dalle risultanze delle deposizioni testimoniali; e valorizzando, d’altra parte, il fatto che i testimoni escussi in corso di istruttoria avessero reso dichiarazioni contrastanti. Nè poteva essere configurata alcuna non contestazione del possesso ultraventennale allegato – ma, secondo la Corte lagunare, non dimostrato – dal L., posto che tale circostanza si pone in diretto contrasto con il contenuto della domanda spiegata dagli attori, odierni controricorrenti, e dunque la sua contestazione è implicita nella stessa proposizione della domanda principale. Con essa, infatti, gli originari attori miravano a riaffermare una signoria sull’area oggetto di causa logicamente incompatibile con il contenuto della domanda riconvenzionale opposta dal convenuto, mediante la quale costui mirava – al contrario – ad affermare un proprio diritto di proprietà sul predetto bene.

Va in proposito ribadito che i fatti allegati da una parte a sostegno della propria tesi “… possono essere considerati pacifici, esonerando la parte dalla necessità di fornirne la prova, solamente quando l’altra parte abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti medesimi, ovvero quando si sia limitata a contestarne esplicitamente e specificamente taluni soltanto, evidenziando in tal modo il proprio disinteresse ad un accertamento degli altri” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9741 del 05/07/2002, Rv. 555537; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16575 del 25/11/2002, Rv. 558697 e Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 23862 del 29/10/2020, Rv. 659532). Dal che deriva che quando si configura un rapporto di incompatibilità logica tra le contrapposte domande delle parti non è possibile invocare il principio di non contestazione dei fatti allegati da ciascuna parte a fondamento della propria pretesa, essendo la loro contestazione implicita nella stessa proposizione della domanda, od eccezione, formulata dalla parte opposta.

A ciò si deve aggiungere che “L’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione. Ne consegue che, ove il giudice abbia ritenuto contestato uno specifico fatto e, in assenza di ogni tempestiva deduzione al riguardo, abbia proceduto all’ammissione ed al conseguente espletamento di un mezzo istruttorio in ordine all’accertamento del fatto stesso, la successiva allegazione di parte, diretta a far valere l’altrui pregressa non contestazione, diventa inammissibile” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019, Rv. 655681; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4249 del 16/03/2012, Rv. 621956 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 10182 del 03/05/2007, Rv. 597236). Era quindi onere di parte ricorrente eccepire tempestivamente la natura non contestata del fatto relativo al possesso ultraventennale dell’area oggetto di lite, sin dal momento in cui il Tribunale aveva dato ingresso alla prova testimoniale sul punto. In tal modo, infatti, il primo giudice aveva, con giudizio di merito in sè non censurabile in questa sede, implicitamente ritenuto contestato quel fatto. Poichè il ricorrente non deduce, nella sua censura, di aver tempestivamente proposto detta eccezione, la doglianza è anche carente della necessaria specificità.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 950 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto preminente, ai fini della determinazione del confine, le risultanze delle mappe catastali, ignorando i diversi elementi di prova acquisiti agli atti del processo di merito.

La censura è inammissibile.

La Corte di Appello considera infatti innanzitutto le risultanze dei titoli di proprietà, affermando che l’atto di acquisto del L. fa riferimento ad uno “… stralcio di mappa generato da un tipo di frazionamento del 1950, quindi da un documento coevo…” all’atto stesso. Afferma poi che il L. avrebbe sostenuto che il confine effettivo coincidesse con alcuni segni esistenti in loco e fosse quindi diverso da quello risultante dalle mappe catastali. Tiene quindi conto degli accertamenti svolti dal CTU e delle dichiarazioni dei testimoni escussi, concludendo che “In realtà, non vi è una prova sufficientemente chiara circa la coincidenza tra i frammenti seminterrati rinvenuti dal CTU e le lastre alle quali hanno fatto cenno i testi e pertanto non può dirsi che siano stati rinvenuti segni che fissano sul terreno la posizione del confine sin da tempi remoti”(cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata).

L’accertamento è stato quindi condotto dal giudice di merito in derfetta coerenza con la norma dell’art. 950 c.c., e nel rispetto dei principio per cui “Nell’azione di regolamento di confini, la quale si configura come una “vindicatio incertae partis”, incombe sia sull’attore che sul convenuto l’onere di allegare e fornire qualsiasi mezzo di prova idoneo all’individuazione dell’esatta linea di confine, mentre il giudice, del tutto svincolato dal principio “attore non probante reus absolvitur”, deve determinare il confine in relazione agli elementi che gli sembrano più attendibili, ricorrendo in ultima analisi alle risultanze catastali, aventi valore sussidiario” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10062 del 24/04/2018, Rv. 648330; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14993 del 07/09/2012, Rv. 623810).

La censura, con la quale il ricorrente contrappone una diversa lettura delle risultanze istruttorie -in particolar modo, delle deposizioni testimoniali – rispetto a quanto ritenuto dalla Corte lagunare, si risolve in ultima analisi in una istanza di riesame del merito, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U. Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2967,1158 e 1159 bis c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte veneziana avrebbe erroneamente ritenuta non provata la domanda riconvenzionale di usucapione dell’area c3getto di causa.

La censura è inammissibile, dovendosi richiamare integralmente gli argomenti già utilizzati per la confutazione del primo e del secondo motivo di ricorso. La reiezione della domanda usucapione, infatti, è la diretta conseguenza del mancato conseguimento della prova certa del possesso ultraventennale e ininterrotto dell’area in contestazione; prova che non può derivare, come vorrebbe il ricorrente, dalla non contestazione del fatto, che – come già detto – non può essere configurata nel caso specifico, nè da una rilettura delle risultanze istruttorie, che il giudice di merito ha ritenuto a tal fine insufficienti, con giudizio di fatto non utilmente censurabile, in quanto tale, in questa sede.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese dei presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.

Ai sen del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

 

 

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