Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11479 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. II, 15/06/2020, (ud. 22/10/2019, dep. 15/06/2020), n.11479

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3008/2015 proposto da:

D.L.G., + ALTRI OMESSI, tutti rappresentati e difesi

dall’Avvocato VINCENZO COLACINO, ed elettivamente domiciliate presso

lo studio del medesimo, in ROMA, VIA N. RICCIOTTI 9;

– ricorrenti –

contro

S.A.S. MIGE di Dott. S.A., in persona del legale

rappresentante S.A., rappresentata e difesa dagli Avvocati

STEFANO GRASSI e GIOVANNI GULINA, ed elettivamente domiciliata,

presso lo studio del primo, in ROMA, PIAZZA BARBERINI 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1912/2013 della CORTE di APPELLO di FIRENZE,

depositata il 9/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione D.L.G., + ALTRI OMESSI, assumendo di essere proprietari di immobili nel “(OMISSIS)”, posto in Comune di (OMISSIS), convenivano in giudizio la S.A.S. MIGE di A.S., chiedendo che venisse accertato che il manufatto a uso deposito con tettoia ubicato entro il suddetto complesso residenziale fosse di proprietà, pro indiviso e in proporzione alle quote millesimali, dei proprietari delle unità immobiliari; e che la convenuta fosse condannata al rilascio e al pagamento di un congruo indennizzo per l’occupazione del manufatto. Esponevano che, in proporzione ai millesimi, erano comproprietari di aree comuni descritte negli atti di compravendita e che su di una di esse la MIGE s.a.s., trasformando arbitrariamente una baracca di cantiere, aveva realizzato un fabbricato a uso deposito con tettoia, poi condonato. Aggiungevano che erroneamente la convenuta pretendeva di essere proprietaria di tale manufatto, in quanto, ove realizzato prima del 1967 (cosa che ritenevano dubbia), sarebbe stato trasferito pro quota agli acquirenti delle unità immobiliari ricomprese nel complesso; invece, ove una precaria baracca di cantiere fosse stata poi trasformata in fabbricato a uso deposito, si sarebbe presentata la diversa ipotesi di opera eseguita da un terzo con materiali propri su terreno condominiale altrui, con facoltà della MIGE di chiedere solo un indennizzo.

Si costituiva in giudizio la MIGE s.a.s. affermando che il manufatto era stato realizzato nel 1970, e cioè tre anni prima della trascrizione del Regolamento delle proprietà condominiali avvenuta nel 1973. Precisava che gli attori avevano iniziato ad acquistare con distinti atti dal 1973 in poi e che gli atti di compravendita richiamavano il Regolamento attinente alle cose comuni che, all’art. 4, indicava come comuni le aree inedificate. In subordine, la MIGE chiedeva che fosse accertato che la medesima aveva acquistato la proprietà del manufatto per usucapione.

Con sentenza n. 45/2008, depositata in data 4.4.2008, il Tribunale di Grosseto – sez. distaccata di Orbetello dichiarava che il manufatto era di proprietà comune dei proprietari delle unità immobiliari ricomprese nel complesso e condannava la MIGE al rilascio.

Avverso la sentenza proponeva appello la MIGE chiedendone la riforma, contestando i motivi della decisione, e deducendo inoltre che il giudizio si era svolto tra di essa e solo alcuni dei proprietari delle unità immobiliari ricomprese nel complesso residenziale e che i proprietari non presenti in causa erano litisconsorti necessari. Chiedeva, pertanto, che la causa fosse rimessa al primo Giudice o, nel merito, che venissero respinte le domande degli appellati e, in via subordinata, che fosse accolta la domanda di usucapione.

Alcuni degli appellati si costituivano rilevando l’insussistenza del preteso litisconsorzio necessario, in quanto ciascuno dei partecipanti alla comunione può agire a tutela della cosa comune e del suo diritto di comproprietà. Gli altri appellati rimanevano contumaci.

Con sentenza n. 1912/2013, depositata in data 9.12. 2013, la Corte d’Appello di Firenze dichiarava la nullità della sentenza impugnata, in quanto emessa nonostante il contraddittorio necessario non fosse integro, e rimetteva la causa al primo Giudice.

Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione D.L.G., + ALTRI OMESSI sulla base di due motivi, illustrati da memoria; resiste la S.A.S. MIGE con controricorso, anch’esso illustrato da memoria depositata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va rigettata l’eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso introduttivo per difetto di rappresentanza processuale in capo al procuratore dei ricorrenti, stante l’inidoneità allo scopo della procura rilasciata in suo favore, come estesa in calce al ricorso.

A prescindere dalla assoluta genericità della censura, va comunque rilevato che questa Corte ha affermato che è validamente rilasciata la procura apposta in calce al ricorso per cassazione, ancorchè il mandato difensivo sia privo di data, poichè l’incorporazione dei due atti in un medesimo contesto documentale implica necessariamente il puntuale riferimento dell’uno all’altro, come richiesto dall’art. 365 c.p.c., ai fini del soddisfacimento del requisito della specialità (Cass. n. 14437 del 2019; Cass. n. 25725 del 2014).

2.1. – Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione degli artt. 100 e 167 c.p.c., in relazione all’art. 1131 c.c. – Erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 102 e 354 c.p.c.: violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost., – Violazione dell’art. 6 della CEDU”, là dove la Corte di merito ha ritenuto che i ricorrenti, quali partecipanti al Condominio, potevano agire per la tutela delle cose comuni, ma non erano legittimati a contraddire all’azione di revindica proposta dalla MIGE s.a.s. Viceversa, per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 22 del Regolamento del Condominio, la rappresentanza di quest’ultimo spetta di diritto all’amministratore, per cui la MIGE avrebbe dovuto proporre la domanda nei confronti del Condominio e non anche dei condomini. In tale situazione, l’argomentazione difensiva della MIGE poteva avere ingresso nel giudizio non come “domanda riconvenzionale”, ma come “eccezione riconvenzionale” e tale doveva averla ritenuta il Tribunale, omettendo di disporre l’integrazione del contraddittorio. Inoltre, l’integrazione del contraddittorio, nella fattispecie, risulta ingiustamente penalizzante per la parte che ha interesse alla prosecuzione del giudizio, che viene gravata di un onere processuale, di difficile espletamento, che si riferisce a un’azione per la quale non ha alcun interesse (quell’interesse richiesto dall’art. 100 c.p.c.). Infatti, per i ricorrenti, contravviene al principio di uguaglianza e all’esigenza che il giudizio sia “giusto” porre sullo stesso piano – in relazione all’esigenza di integrare il contraddittorio – la parte che non ha interesse all’integrazione e la parte nel cui interesse l’integrazione dovrebbe essere disposta.

2.2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la “Erronea applicazione dell’art. 354 c.p.c., in relazione all’art. 352 c.p.c., con riferimento all’art. 111 Cost.”, in quanto il Giudice d’appello, anche di fronte a una situazione processuale che sembrerebbe postulare un’integrazione del contraddittorio, potrebbe evitare di rimettere le parti al primo Giudice ove accertasse l’infondatezza della domanda proposta dalla parte che vi ha interesse e che ha l’onere di assicurare l’integrità del contraddittorio.

2.3. – In ragione della loro connessione logico-giuridica, i motivi vanno congiutamente esaminati e decisi.

2.4. – Essi non sono fondati.

2.5. – La Corte di merito ha correttamente richiamato le decisioni di legittimità, secondo le quali – seppure l’azione di rivendicazione, non inerendo ad un rapporto giuridico plurisoggettivo unico ed inscindibile e non tendendo ad una pronuncia con effetti costitutivi, non introduce un’ipotesi di litisconsorzio necessario, con la conseguenza che essa può essere esercitata anche da uno solo o da taluni dei proprietari (Cass. n. 685 del 2011; conf. Cass. n. 6697 del 2002) viceversa, nel caso in cui un soggetto, assumendo di essere comproprietario di un bene, proponga domanda di rivendica, la necessità dell’integrazione del contraddittorio dipende dal comportamento del convenuto. Infatti qualora il convenuto si limiti a negare il diritto di comproprietà dell’attore, non si richiede la citazione in giudizio di altri soggetti, non essendo in discussione la comunione del bene. Per contro, ove il convenuto eccepisca (come nella specie) di essere proprietario esclusivo del bene, la controversia ha come oggetto la comunione di esso, cioè l’esistenza di un rapporto unico plurisoggettivo e il contraddittorio deve svolgersi nei confronti di tutti coloro dei quali si prospetta la contitolarità, giacchè la sentenza non può conseguire un risultato utile se non pronunciata nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione, non essendo essa a loro opponibile (Cass. n. 5190 del 2002; conf. Cass. n. 24234 del 2018; Cass. n. 5762 del 2013; Cass. n. 19385 del 2009).

Sicchè, ancora correttamente, la Corte di merito ha osservato come una eventuale sentenza di accertamento della proprietà esclusiva della MIGE che negasse non solo la comproprietà degli attori in primo grado ma anche di ulteriori soggetti, potesse considerarsi utiliter data.

3.1. – Orbene, i ricorrenti contestano non già (o non tanto) la correttezza del richiamo a siffatti consolidati principi da parte della Corte di merito, quanto il fatto che l’eccezione relativa alla mancata integrazione del contraddittorio in primo grado era stata sollevata dalla stessa parte (s.a.s. MIGE) sulla quale incombeva l’onere di provvedere alla integrazione; e che di tale eccezione questa si sarebbe avvalsa, col preciso intento di potersene avvalere per l’impugnazione della sentenza che essa società poteva ragionevolmente presentire sfavorevole.

E, in ragione di ciò, i ricorrenti prospettano l’esistenza di un dubbio di costituzionalità – in riferimento all’art. 3 Cost., art. 24 Cost., comma 1, e art. 111 Cost., commi 1 e 2, e in relazione all’art. 6 della CEDU per violazione del giusto processo – dell’art. 354 c.p.c., là dove non prevede, in caso della rimessione della causa al primo giudice per l’integrazione del contraddittorio, la salvaguardia della posizione della parte che non ha interesse alla integrazione e, quindi, l’esenzione della stessa da ogni onere relativo alla esecuzione dell’incombente.

3.2. – Questo Collegio ritiene che i lamentati dubbi di incostituzionalità dell’art. 354 c.p.c., siano inammissibili (prima ancora che manifestamente infondati).

Rilevato, innanzitutto, che gli asseriti profili di incostituzionalità della norma in questione risultano privi di argomentazioni a sostegno della sussistenza dell’asserito vulnus all’evocato parametro, va altresì posto in evidenza che la giurisprudenza della Corte costituzionale (con riguardo ai parametri evocati) è ferma nel rilevare che la conformazione degli istituti processuali rientra nella discrezionalità del legislatore (ex plurimis Corte Cost. n. 175 del 2018), col solo limite della manifesta irragionevolezza, che si ravvisa, con riferimento specifico all’art. 24 Cost., ed ai fondamenti del “giusto processo”, ogniqualvolta emerga un’ingiustificabile compressione del diritto di agire (la quale qui non si configura, ravvisandosi semmai una estensione di tale diritto, in ragione della espansione della tutela dei soggetti in lite, oltre che del litisconsorte pretermesso).

Inoltre, la questione prospettata dalla parte a questo giudice, oltre a connotarsi per un ampio tasso creativo e manipolativo, che non si concilia con la pronuncia additiva e manipolativi richiesta in sede di controllo accentrato di costituzionalità (ex plurimis Corte Cost. n. 233 del 2017), si configura anche per la mancanza di una soluzione a “rime costituzionalmente obbligate” della decisione richiesta sul dubbio di costituzionalità (ex plurimis Corte Cost. n. 25 del 2016).

Infine, quanto alla asserita violazione del principio di uguaglianza, che sussiste solo qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ma non quando la diversità di disciplina corrisponda ad una diversità di situazioni, i ricorrenti non forniscono l’indicazione di un omogeneo tertium comparationis, sussistente solo qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso (ex plurimis Corte Cost. n. 79 del 2016).

4. – Il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.900,00 oltre a Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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