Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11477 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. II, 15/06/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 15/06/2020), n.11477

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria President – –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26273/2015 proposto da:

F.F., quale difensore di se stesso, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 29, presso lo studio

dell’avvocato ERNESTO ALIBERTI;

– ricorrente –

contro

A.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI PANICI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI GIOVANNELLI

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e

D.C.V.;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2993,

depositata il 10/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/10/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. L’avv. F.F. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano D.C.V. e A.L. al fine di ottenere la liquidazione dei compensi maturati a seguito dell’attività giudiziale e stragiudiziale svolta nel procedimento civile nel quale era parte il D.C..

Il Tribunale adito con la sentenza n. 4350/2010 condannava il solo D.C. a pagare all’attore la somma di Euro 10.000,00 oltre interessi ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, dalla parcella al saldo, rigettando le altre domande attoree.

Inoltre, in accoglimento delle riconvenzionali condannava il F. al pagamento della somma di Euro 1.500,00 a favore di ognuno dei convenuti ai sensi dell’art. 89 c.p.c., comma 2, disponendo altresì la cancellazione delle espressioni indicate in dispositivo.

Quanto ai rapporti con la A., condannava l’attore al rimborso integrale delle spese di lite nonchè al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 1500,00 ex art. 96 c.p.c..

Avverso tale sentenza proponeva appello F.F. cui resisteva la A., mentre D.C.V. proponeva a sua volta appello incidentale.

La Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 2993/2015, in parziale riforma della decisione di primo grado, statuiva che sulla somma riconosciuta all’attore gli interessi dovessero essere computati al tasso legale, rigettava per il resto l’appello principale ed incidentale, compensando le spese del grado tra il F. ed il D.C., condannando il primo al rimborso delle spese in favore dell’appellata.

Quanto alle critiche mosse dal F. alla determinazione del proprio credito, la Corte distrettuale reputava che le stesse erano del tutto generiche, occorrendo confermare la statuizione del Tribunale che, oltre a dare atto di un accordo volto a predeterminare il compenso, aveva liquidato le competenze professionali tenendo conto del pregio e della quantità della prestazione fornita, avendo proceduto ad una non significativa riduzione delle richieste dell’attore, che non aveva nemmeno lamentato che la liquidazione si ponesse al di sotto dei minimi tariffari.

In merito all’appello incidentale sullo stesso oggetto, ribadiva che non vi era prova di un accordo per contenere i compensi nella somma di Euro 5.000,00, e che la richiesta dell’attore aveva tenuto conto anche degli accontì ricevuti, pari ad Euro 1000,00. Nè poteva avere seguito la tesi del D.C. di attribuire alla strategia del F. l’esito infausto del giudizio, tenuto conto della discrezionalità insita nelle scelte del difensore e della natura di obbligazione di mezzi e non di risultato della prestazione del professionista.

Andava poi disattesa la richiesta dell’appellante principale di ottenere il risarcimento del danno a seguito dell’esposto presentato dal convenuto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano, posto che si trattava di una facoltà riconosciuta al cliente, il cui esercizio non aveva lo scopo di intimidire la controparte nè quello di offenderla, atteso che l’iniziativa del cliente, nel caso in esame, era semplicemente finalizzata a far verificare al Consiglio dell’Ordine l’adeguatezza della condotta del proprìo iscritto, senza trasmodare in un abuso del diritto.

Del pari era disatteso il motivo di appello che contestava la correttezza della condanna al risarcimento del danno per l’utilizzo di espressioni sconvenienti ed offensive da parte del F. nei propri scritti difensivi, avuto riguardo al contenuto oggettivamente offensivo e denigratorio delle espressioni sanzionate (“insolvenze fraudolente”, “utilizzatore a scrocco di prestazioni professionali”), stante la rilevanza anche penale delle condotte attribuite al D.C..

Corretta era anche l’adozione della condanna in favore della A., posto che lo stesso F. aveva limitato solo ad alcune delle espressioni sanzionate quelle riferite unicamente al D.C., sicchè le altre vedevano come destinataria anche l’appellata.

Doveva altresì condividersi il giudizio del Tribunale che aveva escluso la legittimazione passiva della A. rispetto alla domanda attorea, in quanto il mandato professionale risultava conferito dal solo D.C., unico titolare del diritto di proprietà sul bene oggetto della controversia nella quale il F. aveva prestato la sua attività, stante anche l’inconferenza dei capitoli di prova che al più denotano un mero interesse comune e di fatto della convenuta alla vicenda giudiziaria, che non la rende però coobbligata.

Per l’effetto, mancando i presupposti in fatto ed in diritto per giustificare l’evocazione in giudizio anche della convenuta, si palesava corretta la valutazione in termini di temerarietà della domanda spiegata nei suoi confronti.

La sentenza andava invece riformata quanto all’individuazione del tasso di interessi applicabile, non potendo infatti invocarsi la previsione di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, che ha un ambito soggettivo di applicazione che non consente la sua estensione anche alle controversie tra professionista e cliente.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso F.F. sulla base di sei motivi.

A.L. ha resistito con controricorso illustrato da memorie depositate in prossimità dell’udienza.

D.C.V. non ha svolto difese in questa fase.

3. Il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.

Infatti, è stata impugnata una sentenza che lo stesso ricorrente riferisce essere stata notificata il 31 luglio 2015. Come si rileva dalla produzione del ricorrente la notifica della decisione gravata è stata effettuata a mezzo pec, ma mentre risulta attestata la conformità della sentenza notificata (peraltro in maniera non autografa e da parte del difensore del D.C. nel grado di appello che aveva provveduto a curare la notifica), è stata prodotta la sola stampa del messaggio di avvenuta spedizione della sentenza ma non anche quello di avvenuta consegna all’indirizzo pec del destinatario.

Rileva, ai fini dell’improcedibilità, il recente arresto delle Sezioni Unite di questa Corte che nella sentenza n. 8312/2019 ha affermato che per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica della relata della notificazione telematica della decisione impugnata – e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute – senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio nell’ipotesi in cui l’unico destinatario della notificazione del ricorso rimanga soltanto intimato (oppure tali rimangano alcuni o anche uno solo tra i molteplici destinatari della notifica del ricorso) oppure comunque il/i controricorrente/i disconosca/no la conformità all’originale della copia analogica non autenticata delle ricevute.

Nella fattispecie, atteso che D.C.V. è rimasto intimato in questa fase, il ricorrente avrebbe dovuto attestare la conformità all’originale, secondo le dette modalità, del messaggio pec relativo alla notifica della sentenza gravata, e tale omissione determina quindi l’improcedibilità del ricorso.

4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza nei rapporti con la controricorrente, ed a tanto si provvede come da dispositivo che segue, con distrazione in favore degli avv. Pierluigi Panici e Giovanni Giovannelli, dichiaratisene anticipatari.

Nulla a provvedere nei confronti dell’intimato che non ha svolto attività difensiva in questa fase.

9. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato improcedibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara il ricorso improcedibile e condanna il ricorrente al rimborso in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 2.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge, con attribuzione agli avv. Pierluigi Panici e Giovanni Giovannelli, dichiaratisene anticipatari;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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