Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11470 del 12/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 12/05/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 12/05/2010), n.11470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16637-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, viale MAZZINI n. 134,

presso lo studio dell’Avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’Avvocato MASCHERONI EMILIO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.L., elettivamente domiciliata in ROMA, viale DELLE

MILIZIE n. 38, presso lo studio dell’Avvocato GALLEANO SERGIO,

rappresentata e difesa dall’Avvocato SANSONE SALVATORE per procura a

margine del controricorso;

SP.EM.VI., elettivamente domiciliata in ROMA, via

CRESCENZIO n. 69, presso lo studio dell’avvocato AGATI OTTORINO,

rappresentata e difesa dall’avvocato BIONDO FABRIZIO per procura in

calce al controricorso;

C.D., L.C.M.T., I.T.,

D.G., F.R., T.A.,

elettivamente domiciliati in Roma, via Flaminia n. 195 presso lo

studio dell’Avvocato VACIRCA SERGIO, che li rappresenta e difenda

unitamente all’Avvocato LALLI CLAUDIO per procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

nonchè

sul ricorso 20590-2007 proposto da:

C.D., L.C.M.T., I.T.,

D.G., F.R., T.A., come sopra

rappresentati e difesi;

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., come sopra rappresentata e difesa;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 237/2007 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 14/03/2007; R.G.N. 1939/05 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/03/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MAMMONE; >^^ ) uditi gli

Avvocati FIORILLO, GALLEANO (per delega) e VACIRCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

nei confronti di Sp. e del ricorso principale e di quello

incidentale nei confronti C. e D., nonchè per il

rigetto del ricorso nei confronti di tutti gli altri.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del Tribunale di Palermo era rigettata la richiesta di C.D., L.C.M.T., I.T., D.G., F.R., T.A., Sp. E.V. e S.L. di dichiarare nulla l’apposizione del termine apposta alla loro assunzione da Poste Italiane s.p.a., ritenendosi che i contratti relativi fossero cessati per mutuo consenso delle parti stipulanti.

Proposto appello dai predetti, la Corte di appello di Palermo con sentenza depositata il 14.3.07 accoglieva l’impugnazione, ritenendo nulla l’apposizione del termine e dichiarando che tra la società datrice e gli appellanti era intercorso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere (per le posizioni che qui interessano) dal 31.8.00 per L.C. ed I., dal 3.2.01 per F., dal 6.2.01 per T. e dal 31.8.00 per S..

La Corte di merito accoglieva il motivo con cui si sosteneva la mancanza del mutuo consenso quale evento risolutivo del contratto e, procedendo all’esame del merito della controversia, rilevava che i contratti erano stati stipulati a seguito di contrattazione collettiva stipulata ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 e in particolare dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo sindacale 25.9.07, per soddisfare le esigenze eccezionali ivi previste, e che la detta fattispecie contrattuale era da ritenere legittimamente apposta solo fino al 30.4.98. Accoglieva dunque la domanda nei termini suddetti e condannava Poste Italiane a ripristinare i rapporti di lavoro con pagamento della retribuzione dalla notifica del ricorso introduttivo a titolo di risarcimento del danno.

Ha proposto ricorso per cassazione Poste Italiane s.p.a. nei confronti di tutti gli originati ricorrenti, i quali si difendono con controricorso con le difese indicate in epigrafe. C., L. C., I., D., F. e T. hanno proposto anche ricorso incidentale, a sua volta contrastato con controricorso dalla ricorrente principale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente debbono essere riuniti il ricorso principale e quello incidentale ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Agli atti sono depositati tre verbali di conciliazione in sede sindacale del 25.3.09, del 11.9.08 e del 5.11.08, dai quali rispettivamente risulta che C., Sp. e D. hanno raggiunto con la controparte un accordo transattivo concernente la controversia de qua e che le parti si danno atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudicali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.

L’accordo comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo. Alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale e dell’incidentale proposto da C. e D., in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.u. 29.11.06 n. 25278).

In ragione del contenuto transattivo dell’accordo è conforme a giustizia procedere alla compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra le parti interessate.

Passando alle altre posizioni, deve rilevarsi l’infondatezza del ricorso principale e rinammissibilità del ricorso incidentale.

I motivi dedotti da Poste Italiane s.p.a. possono essere così sintetizzati:

1.- il lasso di tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e l’offerta della prestazione sarebbe indice di disinteresse del lavoratore a sostenere la nullità del termine e darebbe corpo alla presunzione di estinzione del contratto per mutuo consenso, di modo che il lavoratore avrebbe dovuto provare le circostanze atte a contrastare la presunzione; inoltre non sarebbe stato oggetto di esame la circostanza che F. e T. avessero successivamente stipulato nuovi contratti a termine con Poste Italiane (motivi 1^ e 2^);

2.- violazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 dell’art. 1362 e segg. c.c. e art. 8 del ccnl 26.11.94, nonchè degli accordi 25.9.97, 16.1.98 e 27.4.98 e della L. 18 aprile 1962, n. 230, artt. 1 e 2 contestandosi l’interpretazione della contrattazione collettiva cui è pervenuto il giudice di merito (motivi 4^ e 5^);

4.- contraddittorietà della sentenza impugnata, quando si afferma che l’accordo 25.9.97 deroga alla disciplina generale del contratto a termine e poi si sostiene che l’ipotesi derogatoria sarebbe soggetta ad un limite temporale di efficacia, non tenendosi conto degli accordi collettivi successivi a quello del 1997 (motivi 3^ e 6^);

5.- violazione degli artt. 1206, 1207,1218, 1219, 1223, 2094 e 2099 c.c. a proposito delle conseguenze economiche della nullità, in quanto le retribuzioni spetterebbero solo dall’effettiva ripresa del servizio, previa deduzione di quanto percepito dal lavoratore nello svolgimento di altre occupazioni (motivo 7^);

6.- omessa motivazione, sostenendosi che erroneamente il giudice di merito non ha considerato che il ricorso non conteneva la formale offerta della prestazione di lavoro (motivo 8^).

I primi due motivi sono infondati alla luce della giurisprudenza di legittimità (v. tra le tante Cass. 17.12.04 n. 23554, 28.9.07 n. 20390, 10.11.08 n. 26935). E’ stato, infatti, affermato che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè, alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutandone del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto”.

Nel caso di specie viene contestato che il giudice di merito sarebbe incorso in vizio motivazionale non tenendo conto che F. e T. stipularono altri successivi contratti a termine con Poste Italiane. Tale omissione non è riscontrabile, atteso che il giudice valuta l’atteggiamento di attesa dei ricorrenti facendo riferimento alla “fiduciosa aspettativa di essere integrati a tempo pieno nell’organico dell’azienda”, il che costituisce passaggio logico che ingloba anche la possibilità che durante il periodo di attesa potessero esistere ulteriori assunzioni a tempo determinato.

Con questa precisazione, deve quindi affermarsi che sull’inesistenza del consenso dei dipendenti alla definitiva risoluzione del contratto, poi dichiarato mallo, esiste una valutazione di merito incensurabile in sede di legittimità in quanto congruamente articolata.

Infondati sono anche i motivi recanti i numeri da tre a sei, da trattare in unico contesto per l’evidente collegamento tra di loro esistente.

Come già accennato in narrativa, i ricorrenti di cui qui si considerano le posizioni ( L.C., I., F., T. e S.) furono assunti a termine ai sensi dell’art. 8 del ccnl 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’Ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

La costante giurisprudenza di questa Corte (cfr,, in particolare, Cass. 26.7.04 n. 14011, 7.3.05 n. 4862), specificamente riferita ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, ritiene che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 56 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962 discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato.

Questa Corte (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378), ha confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto dopo il 30 aprile 1998 a contratti stipulati in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che ha consentito l’apposizione del termine, oltre che alle fattispecie già previste dall’art. 8 del ccnl 26.11.94, anche nella evenienza di esigente eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione ecc Si è ritenuto, infatti, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v.

S.u. 2.3.06 n. 4588).

Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato. Da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati per il soddisfacimento di esigente eccezionali ecc. dopo il 30 aprile 1998, in quanto privi di presupposto normativo.

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato.

Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

Il giudice di merito ha fatto applicazione dei suddetti principi e, considerato che i contratti in considerazione erano motivati dal soddisfacimento di esigente eccezionali ecc. ed era riferiti a periodi successivi al 30.4.98, ha ritenuto nullo il termine ad essi apposti ed ha dichiarato l’esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato dalle date sopra indicate.

Essendo tale pronunzia conforme alla giurisprudenza di questa Corte, i quattro motivi in esame debbono essere ritenuti infondati.

Quanto agli ultimi due motivi, concernenti le conseguenze economiche della declaratoria di nullità, deve rilevarsi che la Corte d’appello ha condannato Poste Italiane a corrispondere la retribuzione dalla data della notifica del ricorso introduttivo.

Tale pronunzia è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (cfr.

Cass. S.u. 8.10.02 n. 14381 nonchè, da ultimo, Cass. 13.4.07 n. 8903) che, con riferimento all’ipotesi della trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di più contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per effetto dell’illegittimità dell’apposizione dei termini, o comunque dell’elusione delle disposizioni imperative della L. n. 230 del 1962 ha affermato che il dipendente che cessa l’esecuzione delle prestazioni alla scadenza del termine previsto può ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’impossibilità della prestazione derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla – in linea generale in misura corrispondente a quella della retribuzione – qualora provveda a costituire in mora lo stesso datore di lavoro ai sensi dell’art. 1217 c.c..

Avendo la Corte di merito sostenuto che con il ricorso introduttivo “hanno offerto le proprie prestazioni lavorative”, deve ritenersi che sul punto il giudice abbia effettuato un accertamento di merito incontestabile in sede di legittimità.

Quanto alla rilevanza dei redditi percepiti dai dipendenti nello svolgimento di altre attività lavorative successivamente alla cessazione del rapporto, sarebbe stato onere del datore di lavoro allegare dati di fatto e circostanze a fondamento dell’eccezione in punto di percezione di tali redditi.

Ritenuti infondati anche questi ultimi motivi, il ricorso principale deve essere rigettato.

Quanto al ricorso incidentale di L.C., I., F. e T. (le cui uniche posizioni rilevano), deve rilevarsi che, essendo la sentenza pubblicata il 14.3.07, il procedimento in questione cade sotto il regime processuale del giudizio di legittimità introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e, in particolare, dell’art. 366 bis c.p.c., per il quale la illustrazione dei motivi di ricorso che denunciano i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4 deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto, e la illustrazione dei motivi che denunciano vizi di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sempre a pena di inammissibilità, deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso o delle ragioni per le quali la motivazione – in ragione delle denunziate carenze – è inidonea a giustificare la decisione.

Nella specie con l’unico motivo del ricorso incidentale si deduce un vizio di motivazione per il mancato esame, ai fini della costituzione in mora del datore, delle raccomandate inviate dai lavoratori prima dell’inizio della causa. Nella sostanza viene dedotta una vera e propria questione di diritto in punto di mora credendi del datore di lavoro, per la quale, tuttavia, non è proposto apposito il quesito richiesto dall’art. 366 bis c.p.c.. A tale omissione consegue rinammissibilità del motivo e, conseguentemente, del ricorso incidentale.

Il conclusione, per le posizioni non coperte dalla conciliazione, deve essere rigettato il ricorso di Poste Italiane e deve essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.

Quanto alle spese del giudizio di legittimità, deve ritenersi prevalente la soccombenza di Poste Italiane, che deve pertanto essere condannata nei termini indicati in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e così provvede:

– rigetta il ricorso nei confronti di L.C., I., F., T., S. e dichiara inammissibile il ricorso incidentale dei primi quattro, condannando Poste Italiane s.p.a. alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 28,00 per esborsi ed in Euro 3.000 (tremila) per onorari, in favore di L. C., I., F. e T., ed in Euro 23,00 per esborsi ed Euro 2.000 (duemila) per onorari in favore di S., oltre per tutti spese generali, Iva e Cpa;

– dichiara inammissibile il ricorso principale nei confronti di C., Sp. e D., nonchè l’incidentale proposto dal primo e dal terzo, con compensazione per tutti delle spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2010

 

 

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