Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1147 del 21/01/2020

Cassazione civile sez. III, 21/01/2020, (ud. 19/02/2019, dep. 21/01/2020), n.1147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12539-2017 proposto da:

D.P.M.S., S.R., domiciliati ex lege in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentanti e difesi dall’avvocato ROBERTO ALLOTTA giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

P.G., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ANTONINO SAMMARTANO giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 193/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 02/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/02/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato AMEDEO GAGLIARDI per delega;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.R. e D.P.M.S. ricorrono, sulla base di dodici motivi, per la cassazione della sentenza n. 193/17, del 2 febbraio 2017, della Corte di Appello di Palermo, che – accogliendo il gravame esperito da P.G. contro la sentenza n. 137/12, del 23 luglio 2012, del Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Partinico, e riformando integralmente la pronuncia del primo giudice ha respinto la domanda di risoluzione per inadempimento e di restituzione del doppio della caparra, proposta dagli odierni ricorrenti in relazione al contratto preliminare di compravendita del 2 agosto 2008, con cui la P. aveva promesso di vendere loro un terreno nel Comune di Partinico contro il prezzo di Euro 25.000,00, ed ha, invece, accolto l’azione ex art. 2932 c.c., esperita in via riconvenzionale dalla promittente venditrice.

2. Riferiscono, in punto di fatto, i ricorrenti di aver concluso il 2 agosto 2008, con la P., un contratto preliminare, in forza del quale quest’ultima prometteva di vendere loro per il prezzo di Euro 25.000,00, un terreno del quale venivano indicati solo il Comune ((OMISSIS)), la contrada, la superficie approssimativa (are 18), ed confini, ma non pure i dati catastali.

Ciò premesso, i coniugi S.- D.P. riferiscono di aver convenuto in giudizio la P., innanzi alla sezione di (OMISSIS) del Tribunale panormita, chiedendo che venisse dichiarata la risoluzione per inadempimento del contratto e la condanna della P. al pagamento del doppio della caparra. Costituitasi in giudizio, la convenuta, oltre a resistere alla domanda, agiva in via di riconvenzione, per conseguire il trasferimento coattivo dell’immobile, ai sensi dell’art. 2932 c.c.

In particolare, la materia del contendere era costituita dall’accertamento se il terreno promesso in vendita fosse costituito dalle sole particelle catastali nn. (OMISSIS), come sostenuto dalla promittente venditrice, ovvero anche dalla particella n. (OMISSIS), come assumevano, invece, i promissari acquirenti, ipotizzando – su tale presupposto – l’inadempimento della P., essendo la stessa risultata non proprietaria della particella suddetta.

All’esito del giudizio di primo grado, mentre la domanda dei coniugi S.- D.P. veniva integralmente accolta dall’adito giudicante, con rigetto della riconvenzionale della P., su gravame di quest’ultima, la Corte di Appello di Palermo ribaltava la decisione del Tribunale, provvedendo nei termini dianzi illustrati, subordinando, però, l’efficacia traslativa della sentenza al pagamento della parte residua del prezzo, pari Euro 9.500,00.

3. Avverso la decisione della Corte palermitana hanno proposto ricorso per cassazione il S. e la D.P., sulla base di dodici motivi.

3.1. Il primo motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – nullità della sentenza per violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2.

Si censura la sentenza impugnata perchè la stessa avrebbe posto a fondamento della propria decisione una questione rilevata d’ufficio, senza assegnare alle parti, come invece stabilito dalla norma suddetta a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti giorni e non superiore a quaranta, per il deposito di memorie contenenti osservazioni sulla questione stessa.

In particolare, secondo la prospettazione dei ricorrenti, la Corte di Appello avrebbe rilevato d’ufficio che l’esatta estensione del terreno oggetto del preliminare ammontava ad are 18,00, su tali basi ritenendo, pertanto, che le sole particelle promesse in vendita fossero quelle contrassegnate catastalmente con i nn. (OMISSIS), visto che la somma delle relative superfici dà luogo ad un risultato di 18,09 are, mentre aggiungendo anche la particella n. (OMISSIS) si perverrebbe ad una dimensione complessiva di are 19,79, superiore a quella promessa in vendita.

3.2. Con il secondo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Si censura la sentenza impugnata in quanto il giudice di appello non avrebbe esaminato, anzi neppure letto, la descrizione che del terreno promesso in vendita veniva data nel contratto preliminare., dal momento che quella pattuita costituiva una vendita “a corpo”, ciò che escluderebbe che le parti abbiano indicato nel contratto la “esatta” estensione del terreno, giacchè essa era, invece, solo approssimativa.

3.3. Il terzo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – ipotizza nullità per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), dell’art. 118,disp. att. c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost.

Ricorrerebbe, nella specie, un caso di motivazione meramente apparente.

Difatti, per un verso, sarebbe errato, anzi ancor prima incomprensibile, il ragionamento sillogistico della Corte palermitana, laddove essa è pervenuta alla conclusione di ritenere escluso dalla vendita il mappale n. (OMISSIS), perchè costituente un piccolo appezzamento di terreno, del quale la P. si è sempre protestata carente della titolarità dominicale, tanto che lo stesso risulta intestato a tali L. e G.P., soggetti estranei al presente giudizio.

Analogamente, non sarebbe dato comprendere neppure quale sia “la conducenza, importanza e valore probatorio”, al fine di dimostrare che la particella n (OMISSIS) non avrebbe fatto parte dell’oggetto del preliminare, sia della lettera di diffida, inviata il 17 marzo 2009 dalla P. agli odierni ricorrenti, con la quale si invitava a comparire innanzi ad un notaio per la conclusione del contratto definitivo, così come il verbale negativo redatto dal professionista il successivo 20 marzo.

3.4. Il quarto motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – ipotizza nullità per violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, sul rilievo che nessuna delle parti ha mai fatto riferimento, nel corso del giudizio, al suddetto verbale del 20 marzo 2009, sicchè la Corte territoriale avrebbe, nuovamente, posto a fondamento della propria decisione una questione rilevata d’ufficio.

3.5. Il quinto motivo – formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – deduce falsa applicazione e violazione dell’art. 1362 c.c., censurando la sentenza impugnata laddove esseattribuito rilievo, nell’interpretazione della volontà delle parti, alla condotta tenuta dalla P. successivamente alla conclusione dello stesso, ritenendola indicativa del fatto che il preliminare concluso riguardasse, esclusivamente, i lotti di terreno individuati con i numeri (OMISSIS) del foglio (OMISSIS) del catasto di (OMISSIS). La censura è basata sul rilievo che la sentenza impugnata avrebbe del tutto pretermesso ogni valutazione circa l’intenzione dei coniugi S.- D.P., nonchè ogni valutazione del loro comportamento.

3.6. Con il sesto motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – si deduce, nuovamente, nullità per violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, assumendo, ancora una volta, che la Corte palermitana avrebbe deciso la controversia sottoposta al suo esame ponendo a fondamento della propria statuizione una questione rilevata d’ufficio, ovvero quella relativa alla proprietà in capo alla P. delle due particelle promesse in vendita (nn. (OMISSIS)), rilevando come le stesse fossero in possesso dei suoi danti causa, fin da prima del 1938.

3.7. Su questa stessa circostanza insiste anche il settimo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – che ipotizza violazione degli artt. 1158 e 1146 c.c.

Nel rilevare, infatti, che la proprietà di un immobile va documentata o con la dimostrazione di un acquisto a titolo originario, ovvero risalendo fino ad un titolo trascritto o trascrivibile ultraventennale, si contesta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui la P. risulterebbe proprietaria delle particelle nn. (OMISSIS), dal momento che alla data di notifica dell’atto di citazione, vale a dire l’8 aprile 2009, non era ancora decorso il ventennio dalla data più antica, tra quelle da prendere in considerazione ai fini dell’acquisto “ad usucapionem”, cioè quella del 13 novembre 2002.

3.8. Con l’ottavo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Si censura la sentenza impugnata in quanto il giudice di appello avrebbe completamente ignorato la circostanza che i ricorrenti, a fondamento della domanda di risoluzione per inadempimento, avevano dedotto la violazione, da parte della P., di quanto previsto dall’art. 5 del contratto preliminare, clausola contrattuale che le faceva carico di consegnare ai promissari acquirenti – come da richiesta dagli stessi effettuata – i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all’uso del terreno oggetto della promessa di vendita.

3.9. Con il nono motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce falsa applicazione e violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1 e art. 1477 c.c., comma 3.

Il motivo costituisce ideale sviluppo del precedente, nel senso che attraverso di esso i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere omesso di esaminare l’art. 5 del contratto preliminare, nonchè la circostanza che essi avessero reiteratamente richiesto la consegna della documentazione prevista da tale clausola contrattuale, così la Corte palermitana realizzando una falsa applicazione, o comunque una violazione, delle norme suddette.

3.10. Con il decimo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce falsa applicazione e violazione dell’art. 1476 c.c.

Si censura la sentenza impugnata perchè essa avrebbe ritenuto, tacitamente e implicitamente, l’insussistenza di un inadempimento della P., riconducibile alla violazione della garanzia dall’evizione, pervenendo, però, a tale conclusione su di un presupposto erroneo, giacchè i ricorrenti ritengono di aver dimostrato, con i precedenti motivi, che il fatto era diverso da quello ritenuto dalla Corte territoriale e che i già citati artt. 1362,1158,1146,1372 e 1467 c.c. andassero interpretati in modo difforme da quanto effettuato in sentenza.

Di conseguenza, una volta ricostruito tale fatto diversamente (ed esattamente), nonchè fornita una diversa – e corretta interpretazione delle norme “de quibus”, la fattispecie in esame sarebbe da ricondurre al disposto dell’art. 1476 c.c.

3.11. L’undicesimo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ipotizza falsa applicazione e violazione dell’art. 1218 c.c., art. 1385 c.c., commi 1 e 2 e art. 1453 c.c., comma 1.

Si rileva che, se la Corte territoriale ha rigettato la domanda di risoluzione, la stessa ha ritenuto, evidentemente, che non vi fosse stato inadempimento alcuno da parte della P., e che quindi la fattispecie in oggetto non fosse sussumibile in quella astratta prevista dalle norme sopra richiamate. Tuttavia, i ricorrenti assumono di aver dimostrato che il fatto era diverso da quello ritenuto dalla Corte territoriale, e, in particolare che l’inadempimento della P. vi sia stato, donde, allora, la violazione delle norme suddette.

3.12. Di analogo tenore e anche il dodicesimo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – che ipotizza falsa applicazione e violazione degli artt. 2908 e 2932 c.c., che censura la sentenza impugnata laddove ha accolto la riconvenzionale della P., sul presupposto (del quale i ricorrenti assumono aver dimostrato l’erroneità) che la stessa non sia stata inadempiente, donde, allora, la violazione delle norme summenzionate.

4. La P. ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, di infondatezza.

Si osserva, in particolare, come la questione relativa alla esatta estensione del bene immobile non sia stata sollevata d’ufficio dalla Corte di Appello, la quale si è limitata solo a rilevare, dalla semplice lettura del contratto preliminare versato in atti, che l’estensione del bene promesso in vendita è ricavabile dalla sommatoria della superficie delle due particelle catastali nn. (OMISSIS). Irrilevante, poi, sarebbe la circostanza che la vendita sia stata convenuta “a corpo”, e non “a misura”, giacchè essa rileverebbe esclusivamente ai fini della determinazione del corrispettivo pattuito, nulla avendo a che fare, invece, con l’estensione del bene. In ogni caso, si sottolinea come la motivazione risulti coerente, logica e rispettosa delle regole che i ricorrenti assumono, invece, essere state disattese, notandosi, più in generale, come ogni questione relativa alla prova della proprietà delle due particelle oggetto del preliminare di vendita, nonchè alla supposta “evizione”, non sia mai stata discussa nel giudizio di merito.

5. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ex art. 378 c.p.c., in vista dell’udienza pubblica del 19 febbraio 2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. “In limine”, va evidenziato che questa Corte ha ravvisato la necessità di riconvocarsi in camera di consiglio, alla luce del fatto che la sentenza impugnata è stata notificata in via telematica agli odierni ricorrenti, donde l’esistenza di un dubbio in ordine alla procedibilità della proposta impugnazione.

6.1. Tale dubbio nasceva, in particolare, dalla constatazione che il legale degli odierni ricorrenti, nel proporre il presente ricorso, avrebbe dovuto attestare la conformità all’originale digitale della copia analogica (“id est”, cartacea) del provvedimento impugnato, nonchè – sempre a pena di improcedibilità del ricorso – della relata di notificazione e del relativo messaggio “PEC”, formalità, quest’ultima, necessaria, perchè solo di lì si evince il giorno e ora in cui si è perfezionata la notifica per il destinatario” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6, ord. 22 dicembre 2017, n. 30765, Rv. 647029-01).

Anche la cosiddetta “prova di resistenza” – ovvero, l’accertamento che la notifica del ricorso è comunque avvenuta entro sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza (Cass. Sez. 3, sent. 10 luglio 2013, n. 17066) – risulta negativa, dal momento che la sentenza è stata pubblicata il 2 febbraio 2017, mentre la notifica del ricorso risale all’11 maggio 2017.

Va, inoltre, rilevato che su questo tema non aveva preso posizione Cass. Sez. Un., sent. 24 settembre 2018, n. 24438, tanto che il rinnovato intervento del Supremo Collegio era stato sollecitato da Cass. Sez. 6-3, ord. interl. 9 novembre 2018, n. 28844, essendo previsto per l’udienza pubblica del 26 febbraio 2019.

Per questa ragione, in relazione al presente ricorso, è stata disposta la riconvocazione del collegio, in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite, sostanziatasi nella sentenza 25 marzo 2019, n. 8312.

Orbene, secondo il citato arresto delle Sezioni Unite, il “deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2, la conformità della copia informale all’originale notificatogli; nell’ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio” (così Cass. Sez. Un., sent. 25 marzo 2019, n. 8312, Rv. 653597-01).

Il citato arresto delle Sezioni Unite ha, inoltre chiarito che l’applicazione dei “suindicati principi” vale, “a maggior ragione, con riguardo al requisito del deposito della relata attestante la notificazione telematica decisione impugnata” (fr. p. 35, punto 2), ovvero con riferimento alla fattispecie che viene qui in rilievo.

Nel caso in esame, pertanto, in difetto di disconoscimento della controricorrente P., il dubbio relativo alla procedibilità del ricorso deve ritenersi superato.

6.2. Nè, d’altra parte, l’improcedibilità del ricorso potrebbe derivare da fatto che esso stesso risulta notificato a mezzo “PEC”.

Trattandosi, nella specie, di un documento digitale “nativo”, trovano applicazione i principi già enunciati dalle Sezioni Unite, a mente dei quali “ai fini della prova della tempestività della notificazione del ricorso, è onere del controricorrente disconoscere, ai sensi della disciplina di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23, comma 2, la conformità agli originali dei messaggi di PEC e della relata di notificazione depositati in copia analogica non autenticata dal ricorrente”, disconoscimento, nella specie, non operato (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 24 settembre 2018, n. 24438, Rv. 650462-01).

7. Ciò detto, il ricorso va rigettato.

7.1. Il primo motivo non è fondato.

7.1.1. Quella oggetto di impugnazione non è una sentenza cd. della “terza via”, non solo perchè siffatta nozione va riferita alle pronunce che definiscono, “a sorpresa” taluna delle “questioni” cui si riferiscono l’art. 279 c.p.c., comma 2, nn. 1), 2 e 3) ma soprattutto perchè, nella specie, è da escludere qualsiasi violazione del principio del contraddittorio.

Come premettono proprio gli odierni ricorrenti nel loro atto di impugnazione, il “thema decidendum” del giudizio di merito era costituito dalla verifica se il contratto preliminare, concluso dagli stessi con la P., avesse ad oggetto il trasferimento dei soli mappali contrassegnati con i nn. (OMISSIS) del catasto del Comune di (OMISSIS), oppure ricomprendesse anche il mappale n. (OMISSIS). Orbene, nel fare propria la prima di tali ricostruzioni, la Corte territoriale ha fondato la propria decisione sul rilievo – tratto dalle risultanze istruttorie – che la superficie dei due mappali fosse pari ad are 18,00, ovvero quella indicata nel contratto preliminare per identificare la “res tradita”.

Si tratta, dunque, solo dell’apprezzamento di una risultanza istruttoria in funzione della decisione di una questione l’individuazione del terreno promesso in vendita – sulla quali le parti hanno dibattuto lungo l’intero arco dei due giudizi di merito.

Sul punto, pertanto, deve qui ribadirsi come sia da respingere quell’interpretazione del “divieto” delle “sentenze della terza via”, “secondo la quale, ogniqualvolta il giudicante intendesse accingersi a dare di uno degli atti del giudizio una lettura diversa da quella prospettata dalla parte, dovrebbe prima sottoporre quest’ultima alle parti”, non tutelandosi, infatti, attraverso tale divieto “il diritto al contraddittorio fino al punto da garantire alla parte di interloquire sui singoli passaggi argomentativi e prima che essi siano anche solo ipotizzati “in mente sua” dal giudicante”, trattandosi di “momenti obiettivamente riservati al foro interno del decidente e propri della sua attività propriamente intellettiva di elaborazione del materiale” istruttorio, dovendo alle parti assicurarsi solo la facoltà di “dire” e “contraddire” in “merito all’oggetto della questione nel suo complesso” (si veda, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16504, Rv. 644957-02).

7.2. Il secondo motivo è, del pari, non fondato.

7.2.1. Il “fatto” del quale sarebbe stato omesso l’esame, ovvero il carattere “a corpo” e non “a misura” della vendita, risulta, a tacer d’altro, privo di decisività.

Invero, non si comprende come tale circostanza rilevi nel caso di specie, visto che l’unica conseguenza della qualificazione della vendita come “a corpo” è la (possibile) operatività dell’art. 1538 c.c., applicabile “anche al preliminare di vendita a corpo di un terren, sicchè, ove la misura reale del bene risulti superiore di oltre un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto” (che è quanto gli odierni ricorrenti si riproponevano di far accertare, visto che includendo nell’oggetto del contratto anche il mappale n. (OMISSIS) si perverrebbe ad una superficie complessiva di are 19,79, dunque superiore di un ventesimo a quella promessa in vendita, pari ad are 18,09), “il promissario acquirente ha la facoltà di recedere da esso, in alternativa all’obbligo di corrispondere un supplemento di prezzo rispetto a quello pattuito, mentre, nell’ipotesi in cui la superficie del bene si riveli inferiore di oltre un ventesimo rispetto a quella concordata, trovano applicazione i generali strumenti di tutela e, tra essi, la risoluzione del contratto per inadempimento” (Cass. Sez. 2, sent. 17 novembre 2016, n. 23404, Rv. 642068-01).

Ma nella specie, come detto, i promissari acquirenti non intendevano affatto recedere dal contratto o pagare un supplemento di prezzo.

Il tutto, peraltro, senza tacere che la qualificazione della (promessa di) vendita come “a corpo” o “a misura”, più che un “fatto” integra una questione, donde l’impossibilità di ipotizzare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che ricorre solo quando l’omissione investa un “fatto vero e proprio” (non una “questione” o un “punto” della sentenza, come nell’ipotesi che occupa) e, quindi, “un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo” (così, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, Rv. 641174-01; nello stesso senso Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 646308-01), vale a dire “un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico” (Cass. Sez. 5, sent. 8 ottobre 2014, n. 21152, Rv. 632989-01; Cass. Sez. lin., sent. 23 marzo 2015, n. 5745, non massimata), “un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto” (cfr. Cass. Sez. 1, ord. 5 marzo 2014, n. (OMISSIS)33, Rv. 62964701).

7.3. Il terzo motivo, del pari, non è fondato.

7.3.1. Sul punto è sufficiente osservare che ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – nel testo “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonchè, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01).

Lo scrutinio di questa Corte è, dunque, ipotizzabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonchè, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 6541450), o perchè affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01).

Ma nessun profilo di “irriducibile contraddittorietà” o di “inconciliabilità” di argomentazioni ricorre nel caso qui in esame.

7.4. Anche il quarto motivo non è fondato.

7.4.1. Sul punto vanno richiamate le medesime considerazioni già proposte in relazione al primo e tese ad evidenziare come la censura investa, in definitiva, l’apprezzamento di una risultanza probatoria.

7.5. Non fondato è pure il quinto motivo.

7.5.1. La Corte territoriale non ha affatto “ignorato” il comportamento (successivo alla stipulazione del preliminare) tenuto dai promissari acquirenti, avendo, anzi, attribuito rilievo proprio al loro rifiuto di presentarsi innanzi al Notaio per la conclusione del rogito.

Non rileva, poi, qui stabilire se tale apprezzamento sia corretto o meno, giacchè ciò si risolverebbe in una censura sul “merito” dell’interpretazione del contratto, da escludersi sulla scorta del principio secondo cui, quando di una pattuizione contrattuale “sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 28 novembre 2017, n. 28319, Rv. 646649-01).

7.6. Il sesto e settimo motivo – suscettibili di trattazione congiunta, data la loro connessione – sono, invece, inammissibili.

7.6.1. Se si muove, per vero, dal presupposto che il solo tema controverso tra le parti sia la riconduzione, o meno, all’oggetto del contratto anche del mappale n. (OMISSIS), essendo, per contro, pacifica quella degli altri due mappali, ogni questione relativa alla proprietà degli stessi (o meglio, alla relativa prova) non si correla alla “ratio decidendi” della sentenza impugnata, donde l’applicazione del principio secondo cui la “proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4) con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio” (Cass. Sez. 6-1., ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01).

7.7. Anche i motivi ottavo e nono – del pari, suscettibili di trattazione congiunta, stante la loro connessione sono inammissibili.

7.7.1. Essi per vero, investono profili di inadempienze contrattuali della promittente venditrice estranee ai due gradi di giudizio di merito, e dei quali non vi è cenno nella sentenza impugnata.

Opera, pertanto, il principio secondo cui “ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa” (Cass. Sez. 2, ord. gennaio 2019, n. 2038, Rv. 652251-02).

7.8. I motivi decimo, undicesimo e dodicesimo sono anch’essi inammissibili.

7.8.1. I medesimi, accomunati dal fatto di ipotizzare vizi di violazione di norme di diritto sulla base del rilievo che il fatto oggetto di giudizio sarebbe diverso da come accertato dalla sentenza impugnata, si pongono fuori del “perimetro” di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), se è vero “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa” – che è quanto si lamenta nel caso di specie – “è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03, nonchè Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01).

8. Le spese seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico dei ricorrenti e liquidate come da dispositivo.

9. A carico dei ricorrenti sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condannando S.R. e D.P.M.S. a rifondere a P.G. le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, più spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’esito di udienza pubblica della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, riconvocatasi in camera di consiglio nella medesima composizione, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2020

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