Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1147 del 19/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 19/01/2011, (ud. 24/11/2010, dep. 19/01/2011), n.1147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4914/2005 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA – Società per Azioni (già FERROVIE DELLO

STATO S.p.A. Società di Trasporti e Servizi per Azioni), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio legale GERARDO VESCI

&

PARTNERS, rappresentata e difesa dall’Avvocato VESCI Gerardo giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.M.S.;

– intimato –

e sul ricorso 8203/2005 proposto da:

D.M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEI

MARTIRI DI BELFIORE 4, presso lo studio dell’avvocato BACCHINI

ELVIRA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato RODA

RANIERI, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA – Società per Azioni (già FERROVIE DELLO

STATO S.p.A. Società di Trasporti e Servizi per Azioni), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio legale GERARDO VESCI

&

PARTNERS, rappresentata e difesa dall’Avvocato GERARDO VESCI, giusta

delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 6623/2003 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/02/2004 R.G.N. 4672/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

24/11/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato ADRIANO ABATE per delega RODA RANIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 9.12.2003/25.2.2004 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza resa dal Tribunale della stessa sede il 29.11.2001, dichiarava che tra D.M.S. e la Rete Ferroviaria Italiana spa (in precedenza Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato) era intercorso un rapporto di lavoro subordinato sin dalla prima convenzione stipulata tra le parti, con conseguente diritto alla ricostruzione della carriera; dichiarava, altresì, prescritti i diritti retributivi anteriori al quinquennio dalla notificazione del ricorso (marzo 1998).

Osservava in sintesi la corte territoriale che la prestazione (sebbene resa in virtù di convenzione ai sensi della L. n. 1236 del 1959, che parifica il relativo rapporto a quello subordinato solo agli effetti della assicurazione obbligatoria) era stata eseguita con assoggettamento al potere direttivo, disciplinare e di controllo delle Ferrovie dello Stato, e, pertanto, in forme incompatibili con il lavoro autonomo.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Rete Ferroviaria Italiana con due motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso D.M.S., il quale ha anche proposto ricorso incidentale, avverso il quale resiste la Rete Ferroviaria.

E’ stata depositata copia della sentenza di questa Corte in data 5 maggio/9 luglio 2009, che ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte di appello di Roma n. 2808/2006, che aveva revocato la decisione oggetto del presente ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso principale la società ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione della L. n. 1236 del 1959, del D.M. n. 10947 del 1971, della L. n. 220 del 1982, dell’art. 1362 c.c., dell’art. 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione.

In particolare,rileva che la corte territoriale aveva erroneamente trascurato di considerare che, a fronte della espressa qualificazione della prestazione operata dal legislatore in termini di lavoro autonomo, risultava del tutto superfluo ricercare la sussistenza dei requisiti (sintomatici) della subordinazione, restando precluso ogni ulteriore accertamento in ordine alla natura giuridica del rapporto;

che, comunque, l’istruttoria espletata escludeva la prova di tali requisiti, non bastando, a tal fine, che il rapporto fosse regolato da una minuziosa disciplina, necessaria a garantire l’uniformità e l’efficienza del servizio; che generiche ed indeterminate risultavano, in particolare, le dichiarazioni del teste F..

Con il secondo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 2948 c.c., nn. 4 e 5, la ricorrente si duole dell’inadeguatezza del ragionamento svolto dalla corte di merito per giustificare il mancato decorso della prescrizione dei diritti rivendicati, non essendo configurabile alcuna situazione di metus in capo al lavoratore che, in quanto estraneo alla struttura gerarchica aziendale, non poteva risentire alcuna pressione psicologica, restando libero di agire a tutela dei propri diritti.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale, D.M.S. lamenta, poi, vizio di motivazione con riferimento all’omesso esame di documenti fondamentali relativi all’interruzione della prescrizione dei diritti di credito dallo stesso vantati.

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Il primo motivo del ricorso principale è infondato.

Deve, infatti, ribadirsi, come questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare in precedenti decisioni rese in analoghe controversie aventi ad oggetto il rapporto di lavoro degli addetti ai servizi di accudienza delle stazioni ferroviarie (cfr. da ultimo Cass. n. 8919/2007; Cass. n. 17935/2007; Cass. n. 14723/2007), che, sebbene lo strumento della convenzione con capitolato, previsto dall’art. 26 della legge n. 1236/1959, fosse preordinato alla costituzione di un rapporto di lavoro autonomo, e non subordinato (tanto che l’equiparazione degli “incaricati” ai lavoratori subordinati era prevista solo a determinati effetti (previdenziali) e solo a certe condizioni (continuatività e permanenza dell’incarico)), ciò non impedisce la configurabilità del rapporto di lavoro come subordinato, ove, secondo un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, risulti l’avvenuta introduzione, in sede di stipulazione della convenzione o nella concreta gestione della medesima, di obblighi per il lavoratore tipici del rapporto di lavoro subordinato ed incompatibili con la configurazione in termini di autonomia della prestazione.

Si è, infatti, precisato, alla luce del principio affermato dal giudice delle leggi con le sentenze n. 121 del 1993 e n. 115 del 1994 per cui “non sarebbe comunque consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l’inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall’ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato” che “l’accertamento della reale natura giuridica del rapporto va fatta secondo le norme del codice civile, che individuano i due tipi” e che “norme subordinate, quale il capitolato, o fonti negoziali, quale le convenzioni, non possono determinare una qualificazione giuridica del rapporto diversa da quella che essa ha alla stregua dei parametri legali” (così già Cass. n. 7374/1994), dal momento che le parti non possono fare affidamento sulla inapplicabilità della disciplina inderogabile del lavoro subordinato in ragione del nomen juris del rapporto, non essendo nella disponibilità delle stesse la tipizzazione della fattispecie, a prescindere dalle modalità concrete con cui essa si atteggia.

Facendo applicazione di tali criteri direttivi, la sentenza impugnata ha accertato che l’istruttoria acquisita al processo aveva comprovato l’esistenza degli indici tipici della subordinazione, essendo il ricorrente tenuto ad osservare l’orario ed i turni di lavoro predisposti dal capo reparto dell’azienda, ad usufruire delle ferie secondo le determinazioni di quest’ultimo, a giustificare le assenze dal servizio, con perdita, in mancanza, delle retribuzioni e applicazione di sanzioni disciplinari, che percepiva lo straordinario e la tredicesima mensilità, ed era sottoposto al potere disciplinare, al pari di tutti gli altri lavoratori, laddove, per contro, la società aveva omesso ogni concreto riferimento agli elementi che avrebbero consentito di convalidare la reale autonomia del rapporto.

E tale accertamento di fatto, correttamente motivato e riscontrato, rende la sentenza impugnata esente da alcuna censura, essendosi la società ricorrente limitata a ribadire la rilevanza, del tutto assorbente, del nomen juris del rapporto, e a richiamare, in termini generali, i criteri discretivi della subordinazione, senza fornire alcuna concreta contestazione della ricostruzione, giuridica e fattuale, che di tali criteri ha operato, nella fattispecie controversa, la corte di merito.

Parimenti infondato è anche l’ulteriore motivo del ricorso principale.

Deve, infatti, ribadirsi anche per tal parte l’indirizzo giurisprudenziale, affermato da questa Suprema Corte in numerosi precedenti (cfr. per tutte Cass. n. 17935/2007; Cass. n. 23227/2004;

Cass. n. 9839/2002), che la decorrenza della prescrizione in corso di rapporto va verificata con riguardo al concreto atteggiarsi del medesimo, ben diversa essendo la situazione psicologica in cui versa il lavoratore per il timore della risoluzione del rapporto, allorchè si tratti di lavoro formalmente autonomo, da quella in cui il rapporto di lavoro sia garantito sin dall’inizio dalla stabilità reale, a nulla rilevando, ai fini della situazione di soggezione in cui nel primo caso si trova il lavoratore, il successivo riconoscimento giudiziale della diversa normativa garantistica che avrebbe dovuto astrattamente regolamentare la disciplina della prestazione.

Va, altresì, rigettato il ricorso incidentale, con il quale si lamenta l’omesso esame di documenti rilevanti ai fini dell’interruzione della prescrizione, senza che tali documenti nè risultino individuati, nè tento meno trascritti in seno al ricorso, per come imposto dal principio della sua necessaria autosufficienza.

Dovendosi ribadire, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, che la parte che denuncia, in sede di legittimità, il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie e processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla relativa trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, dato che questo controllo, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (v. ad es. per tutte Cass. n. 10913/1998; Cass. n. 12362/2006).

Stante la reciproca soccombenza, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2011

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