Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11469 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. II, 15/06/2020, (ud. 30/05/2019, dep. 15/06/2020), n.11469

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17756/2015 proposto da:

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, BORGO PIO 44,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO SACCHETTO, che lo rappresenta

e difende unitamente agli avvocati ANDREA ZUCCOLO, LUCA PUSATERI;

– ricorrente –

M.M.V., elettivamente domiciliata in ROMA, V. G. B.

MARTINI 13, presso lo studio dell’avvocato IVAN INCARDONA, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

e contro

L.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1221/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 20/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/05/2019 dal Consigliere MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per accoglimento 10 motivo,

assorbiti in sub rigetto dei restanti motivi del ricorso principale,

inammissibilità del ricorso incidentale condizionato;

udito l’Avvocato PUSATERI Luca, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso principale;

udito l’Avvocato INCARDONA Ivan, difensore della resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso principale, accoglimento ricorso

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – L.L. convenne in giudizio M.M.V., esponendo di avere stipulato con la stessa un contratto di appalto relativo a due unità immobiliari di proprietà della convenuta, una delle quali al piano terreno e l’altra al piano interrato, sulla base di un progetto e di un capitolato redatti dall’arch. L.G., per un costo di Euro 37057,20 oltre ad IVA per il piano terreno e di Euro 37302,00 oltre ad IVA per il piano interrato. Sostenne che durante la esecuzione dei lavori si erano rese necessarie anche altre opere, la cui esecuzione era stata chiesta anche dalla convenuta per il tramite dell’arch. L., direttore dei lavori. Esauriti i lavori relativi al piano terreno, e ricevuto lo stato avanzamento lavori per Euro 80217,28, dei quali 37500 già versati, la committente aveva contestato la debenza di tale importo in quanto relativo ad opere non autorizzate, ed aveva diffidato l’appaltatore a non proseguire nella esecuzione dei lavori, versando successivamente ulteriori Euro 13705. L’attore chiese pertanto che fosse accertato l’inadempimento della convenuta al contratto di appalto e fosse dichiarata la risoluzione dello stesso, con condanna della M. al pagamento dell’importo di Euro 29012, 28 a titolo di saldo del corrispettivo per i lavori eseguiti e di Euro 7000,00 a titolo di risarcimento del danno per il mancato guadagno. La convenuta, costituitasi nel giudizio, dedusse di avere versato il corrispettivo dei lavori oggetto del capitolato previsto per il piano terreno o che si erano resi necessari, chiamando in garanzia l’arch. L., il quale, costituitosi in giudizio, spiegò domanda riconvenzionale nei confronti della M. di condanna al pagamento della somma di Euro 19269,06, asseritamente dovuta per le prestazioni professionali svolte in qualità di direttore dei lavori.

L’adito Tribunale di Venezia accolse sia la domanda attorea sia quella dell’arch. L..

2.-Proposto gravame da parte della M., la Corte d’appello di Venezia riformò la decisione di primo grado, rigettando la domanda del L. e riducendo ad Euro 7500,00 la somma dovuta dalla stessa M. al L.. Per quanto ancora rileva nella presente sede, il giudice di secondo grado, premesso che le opere non comprese nel preventivo erano consistite nella esecuzione di uno scavo più profondo rispetto a quello previsto in origine per la, esigenza di sistemare una vasca di maggiore spessore, variazione tecnica dovuta a problemi non prevedibili al momento della progettazione, rilevò che dalle deposizioni rese era emerso che la committente era stata informata della necessità di variare lo scavo e l’impermeabilizzazione, ed aveva prestato il proprio assenso, rimanendo poi in contatto telefonico quotidiano con l’appaltatore e con il direttore dei lavori. E tuttavia, alla stregua dell’art. 1659 c.c., in mancanza di autorizzazione scritta e di indicazione per iscritto della variazione del compenso, il Lo. non aveva diritto a detto ulteriore compenso. Quanto alla parte del gravame riferita al compenso all’arch. L., la Corte di merito osservò che il professionista si era reso inadempiente solo parzialmente al contratto, in particolare con riferimento alla sola attività di direttore dei lavori e non a quella di progettazione. L’architetto non si era attivato al fine di informare adeguatamente la M. sulla entità dei lavori da svolgere e sugli oneri che ne derivavano. Egli stesso aveva affermato che, avvertita la M. della differenza di prezzo, gli era sembrato che costei non avesse compreso. Dunque l’assistenza tecnica del professionista era stata, secondo la Corte, gravemente carente, a differenza dell’attività di progettazione, sicchè la eccezione di inadempimento sollevata dall’appellante era fondata limitatamente alla prestazione dell’opera di direzione lavori. Quanto, invece, alle denunciate lacune nell’attività progettuale, ed, in particolare, nella predisposizione della D.I.A., non effettuata in modo tale da poter ottenere l’assenso alla utilizzazione dell’ex ambulatorio come abitazione, secondo la Corte territoriale non sarebbe emersa la prova certa della negligenza del professionista, poichè, ai sensi dell’art. 68 del regolamento edilizio del Comune di Venezia, il locale avrebbe potuto essere utilizzato solo come studio, ed inoltre sarebbe risultato che le opere erano state eseguite in conformità alle norme urbanistiche, tanto da consentire l’utilizzazione della unità immobiliare, a seguito di sanatoria, come studio.

3.-Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’arch. L. sulla base di cinque motivi. Resiste con controricorso la M., che propone altresì ricorso incidentale condizionato. Nell’imminenza della udienza le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c., art. 183 c.p.c., comma 5, e art. 345 c.p.c., comma 2; nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione alle ammissioni riguardanti i limiti del petitum e della causa petendi contenute alla pag. 3 della memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3, ed alla pag. 24 della comparsa conclusionale del patrocinio della professoressa M.”. La sentenza viene censurata nella parte in cui ha ridotto il compenso professionale dovuto all’attuale ricorrente ad Euro 7500,00 in luogo dell’importo di Euro 19269,00 stabilito dal primo giudice, in quanto la M. avrebbe rilevato per la prima volta nel giudizio di appello, e, dunque, tardivamente, l’eccezione di inadempimento volta a paralizzare la domanda di pagamento della parcella avanzata dall’arch. L.. La M. sarebbe, anzi, decaduta dalla possibilità di svolgere l’eccezione di cui si tratta già dal primo grado del giudizio, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 5, non avendo proposto l’eccezione, che era conseguenza della domanda riconvenzionale dell’arch. L., nel corso della prima udienza fissata per la comparizione delle parti e per la trattazione. La Corte di merito ha, invece, erroneamente ritenuto ammissibile la eccezione per essere evincibile già dal primo grado del giudizio la volontà della convenuta di sottrarsi al pagamento del compenso per la responsabilità in cui era incorso il professionista, avendo la stessa affermato che l’architetto era venuto meno ai suoi doveri consentendo l’esecuzione di opere aggiuntive a sua insaputa. Ciò in quanto ha rilevato la Corte territoriale – la exceptio inadimpleti contractus di cui all’art. 1460 c.c., come ogni altra eccezione, non richiede l’adozione di forme sacramentali, essendo sufficiente che la volontà della parte di sollevarla sia desumibile in modo non equivoco dall’insieme delle sue difese. Peraltro, la eccezione di cui si tratta risulterebbe rinunciata dalla M. nella terza memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, e nella comparsa conclusionale, nelle quali la stessa, allo scopo di sostenere la – eccezione di inammissibilità della domanda riconvenzionale, aveva smentito di aver chiesto l’accertamento della negligenza professionale dell’arch. L.. Il ricorrente nega che dall’esame delle difese svolte nel primo grado del giudizio dalla M. sia desumibile alcuna valida allegazione della eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.. Inoltre, i fatti impeditivi dedotti dalla stessa nell’atto di citazione in appello sarebbero del tutto diversi da quelli che, seppure tardivamente, risultavano dedotti in primo grado nella seconda memoria e ritrascritti nella comparsa conclusionale.

2.-Il motivo è privo di fondamento.

Il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (v. Cass., sent. n. 26159 del 2014).

Nel caso di specie, il ricorrente si diffonde nell’esame del contenuto di tutti gli atti difensivi prodotti nel primo grado del giudizio dalla signora M., esame alla stregua del quale ritiene non potersi evincere alcuna rilevazione della eccezione di inadempimento, in tal modo obliterando il richiamato principio di diritto, ed, in particolare, ignorando che la Corte lagunare ha in modo compiuto ed articolato dato conto del suo convincimento, raggiunto in conformità ai canoni ermeneutici, circa il contenuto sostanziale dell’atto di costituzione in giudizio con chiamata di terzo nella persona dell’arch. L.. Tale chiamata, ad avviso del giudice di secondo grado, era all’evidenza espressiva della volontà della M. di sottrarsi al pagamento del compenso al professionista, nella parte in cui la stessa stigmatizzava che quest’ultimo avesse consentito la esecuzione di opere aggiuntive a sua insaputa.

3. – Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2229 c.p.c. e segg., sulla prestazione d’opera del direttore dei lavori, 2697 c.c., sull’onere della prova, 2729 c.c. sulle presunzioni semplici; nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nei profili sintomatici del contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e della perplessità ed obiettiva incomprensibilità della motivazione, come interpretato da Cassazione, SS. UU., n. 19881 del 2014). La doglianza si basa sulla ritenuta infondatezza della eccezione di inadempimento, peraltro accolta dalla Corte di merito limitatamente alla inosservanza del dovere di informazione cui l’arch. L. sarebbe stato tenuto, e che si sarebbe sostanziata nella omessa attivazione al fine di fornire notizia alla M. della entità dei lavori ulteriori da eseguire e dei maggiori oneri che ne sarebbero derivati. Al riguardo, l’istruttoria svolta in primo grado avrebbe, invece, accertato che la committente sarebbe stata costantemente informata di tutte le problematiche insorte durante l’intero periodo di esecuzione dei lavori e delle conseguenti modifiche apportate al progetto originario. E la stessa Corte di merito, con riguardo alle variazioni tecniche del progetto rese necessarie in corso d’opera al fine di garantire la impermeabilizzazione e la salubrità dei locali, avrebbe ritenuto provato che la M. fosse consapevole della esecuzione dei lavori, essendo stata informata dei problemi insorti e della necessità di variare lo scavo e l’impermeabilizzazione, ed essendo inoltre in contatto telefonico quotidiano con l’architetto e con l’appaltatore. Dunque, la motivazione a sostegno dell’asserito inadempimento della prestazione dell’opera del direttore dei lavori sarebbe contraddittoria ed incomprensibile. Si deduce poi la violazione delle disposizioni del codice civile che disciplinano il contratto d’opera professionale (art. 2229 c.c. e segg.), avendo il ricorrente svolto correttamente tutte le attività attinenti alle mansioni di direttore dei lavori, in particolare seguendo correttamente l’esecuzione dei lavori, informando costantemente la committente, correggendo i progetti in relazione alle emergenze verificatesi in corso d’opera in vista del raggiungimento dell’obiettivo della buona riuscita delle opere commissionate.

4.- La doglianza è meritevole di accoglimento nei limiti di cui di seguito si tratterà.

La Corte di merito, come chiarito nella narrativa, ha ritenuto inadempiente il professionista con riferimento alla sola attività di direttore dei lavori e non a quella di progettazione. Più specificamente, l’inadempimento dell’arch. L. è stato ravvisato esclusivamente nella mancata attivazione al fine di informare adeguatamente la M. sulla entità dei lavori supplementari da svolgere e sui relativi maggiori oneri. E’ questa l’unica censura mossa dal giudice di secondo grado all’attività professionale del ricorrente in relazione al suo incarico di direttore dei lavori. Ne consegue la inconferenza del motivo di ricorso nella parte relativa alle presunte critiche all’espletamento in generale delle mansioni collegate a detto incarico.

Così circoscritta la pertinenza della doglianza, deve rilevarsi il carattere contraddittorio ed obiettivamente perplesso ed incomprensibile della motivazione, come denunciato dal ricorrente, nella parte della sentenza impugnata di cui si tratta. La Corte lagunare spiega che le opere non comprese nel preventivo dell’appalto e che comportarono il maggiore esborso consistettero nella esecuzione di uno scavo più profondo rispetto a quello previsto in origine per la necessità di inserire una vasca armata di maggiore spessore, essendo emersa, durante gli scavi volti a realizzare la vasca di contenimento delle acque alte, una linea di falda alta. La Corte dà poi atto che dalle risultanze istruttorie era risultato che la committente fosse stata informata dei problemi insorti e della necessità di variare lo scavo e l’impermeabilizzazione e che avesse personalmente assistito sia allo scavo sia alla impermeabilizzazione, dopo aver assentito alla esecuzione delle opere: tant’è che il rigetto della domanda dell’appaltatore Lo. di ottenere un ulteriore compenso a fronte di tali lavori aggiuntivi è stato fondato solo sulla mancanza di autorizzazione scritta e di indicazione per iscritto della variazione del compenso, come prescritto dall’art. 1659 c.c., comma 2.

Da tale premessa il giudice di seconde cure trae poi contraddittoriamente la conclusione di una inadeguata informazione da parte del direttore dei lavori alla committente in ordine alla entità dei lavori da eseguire e dei relativi maggiori oneri. Il convincimento della Corte di merito al riguardo appare originato dalla sola affermazione dello stesso L. secondo la quale, informata della differenza di prezzo, la M. “sembrava non aver compreso”.

Al riguardo, deve richiamarsi l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità, invocato anche dal ricorrente, alla stregua del quale la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5), disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr., ex plurimis, Cass., SS.UU., sent. n. 19881 del 2014), quale nella specie si ravvisa in parte qua.

5. – Resta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale l’esame del terzo, del quarto e del quinto motivo, con i quali rispettivamente si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1455 e 1460 c.c., per la ritenuta contrarietà alla buona fede del comportamento della committente, che si era rifiutata di adempiere al pagamento del compenso in favore del ricorrente; la violazione dell’art. 112 c.p.c., per extrapetizione in relazione alla riduzione, disposta dal giudice di secondo grado, del compenso del ricorrente ad Euro 7500,00 rispetto al complessivo importo di Euro 19269,06 accertato dalla sentenza di primo grado; la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, in riferimento alla omessa motivazione di detta riduzione nonchè la violazione e falsa applicazione della L. n. 143 del 1949, art. 19, e della allegata tabella B e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione al compenso richiesto per le prestazioni professionali afferenti alle opere idrauliche ed elettriche.

6.- Passando all’esame del ricorso incidentale condizionato, esso si articola in un unico motivo, con il quale si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per apparente, perplessa ed incomprensibile motivazione in ordine al rigetto della domanda di inadempimento formulata dalla committente nei confronti dell’arch. L. in relazione alla predisposizione della D.I.A., prestazione dallo stesso dovuta in relazione all’incarico conferitogli di progettazione.

7. – La censura è fondata.

Risulta, invero, insanabile la contraddittorietà della motivazione dalla quale è affetta sul punto la sentenza impugnata. Da un lato, essa rileva che, sulla base del regolamento edilizio comunale, il locale di cui si tratta (ex ambulatorio) avrebbe potuto essere utilizzato solo come studio, sicchè la D.I.A., predisposta dall’arch. L. era stata erroneamente fondata sulla destinazione del locale stesso ad uso residenziale, con conseguente mancato rilascio del titolo autorizzativo; dall’altro, esclude al riguardo l’inadempimento del professionista. Nè può ragionevolmente affermarsi che la circostanza, pure sottolineata dalla Corte di merito a suffragio del suo convincimento in ordine al mancato raggiungimento della prova della negligenza del professionista, che comunque fosse stata autorizzata, a seguito di sanatoria, l’utilizzazione del locale come studio, cioè ad un uso che non era quello richiesto dalla committente, possa valere ad esimere da responsabilità il professionista.

8. – Conclusivamente, va accolto il secondo motivo del ricorso principale, rigettato il primo ed assorbiti il terzo, il quarto ed il quinto. Va altresì accolto il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia – cui è demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio – che la – riesaminerà alla luce dei rilievi svolti sub 4 e 7.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigetta il primo, assorbiti il terzo, il quarto ed il quinto. Accoglie il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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