Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11462 del 12/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 12/05/2010, (ud. 03/03/2010, dep. 12/05/2010), n.11462

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Rhoss s.p.a.. con sede in (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante Z.A., rappresentata e difesa dall’Avvocato

Conchi Ezio, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato

Giuseppe Salacchi in Roma, via Santamaura n. 49.

– ricorrente –

contro

Comune di Carmignano sul Brenta.

– intimato –

avverso la sentenza n. 16/30/04 della Commissione tributaria

regionale del Veneto, depositata il 22.11.2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

3.3.2010 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

Viste le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 27.4.2005, la s.p.a. Rhoss ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 16/30/04 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata il 22.11.2004, che aveva rigettato il suo appello per la riforma della pronuncia di primo grado che aveva solo parzialmente accolto, limitatamente alla riduzione del 20% dei valori attribuiti dall’Ufficio, il suo ricorso per l’annullamento degli avvisi con cui il comune di Carmignano sul Brenta, in relazione alle annualità dal 1995, 1996 e 1997. le aveva chiesto il pagamento dell’ici, oltre interessi e sanzioni, su un’arca di sua proprietà, in precedenza censita al N.C.T. alla partita (OMISSIS), foglio (OMISSIS), di mq. 19.457. In particolare, il giudice di secondo grado dichiarò infondata l’eccezione con cui la contribuente aveva assunto la non autonoma tassabilità dell’area per essere la stessa pertinenza di altro immobile, ritenendo tale circostanza in contrasto con il fatto che la corrispondente variazione catastale, con cui si era disposta la riunificazione dei relativi mappali, fosse avvenuta soltanto nel 2002 e che il vincolo pertinenziale non risultava provato da elementi certi, rigettando altresì, perchè non motivata, la richiesta di non applicazione delle sanzioni.

Il comune di Carmignano sul Brenta non si è costituito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denunzia “Violazione e falsa applicazione della L. n. 504 del 1992, art. 2 e dell’art. 5. Omessa valutazione di risultanza probatoria giù prodotta dalla ricorrente”, censurando la sentenza impugnata per avere respinto l’eccezione della contribuente in ordine alla non autonoma imposizione dell’area in oggetto, in quanto pertinenza di altro immobile. La decisione sul punto, che ha escluso il vincolo pertinenziale, ad avviso della ricorrente, è errata in quanto ha attribuito rilievo al dato formale e quindi di per sè irrilevante della variazione catastale, laddove avrebbe dovuto accertare l’esistenza in concreto della situazione di pertinenza tra gli immobili, in base ai parametri definitori forniti dall’art. 817 cod. civ..

Il secondo motivo di ricorso denunzia “Contraddittorietà della motivazione con riferimento all’art. 817 c.c.”, per avere il giudice a quo, da un lato, correttamente precisato che, ai fini della nozione di pertinenza, deve aversi riguardo alla definizione di cui all’art. 817 cod. civ., e, dall’altro, condotto poi, del tutto incongruamente, il relativo accertamento sulla base del dato formale dell’accatastamento, trascurando la circostanza che la riunificazione dei mappali era stata chiesta dalla contribuente già in data 16.4.1997 e, prima ancora, l’atto notarile di acquisto del 31.12.1977, da cui risultava chiaramente la natura di pertinenza dell’area tassata.

I due motivi, che possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione oggettiva. sono entrambi infondati.

Questa Corte ha invero stabilito che, in sede di applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), in materia di ici, il vincolo pertinenziale che esclude l’autonoma tassabilità dell’arca pertinenziale debba essere accertato a mente del criterio stabilito dall’art. 817 cod. civ., che fonda l’attribuzione della qualità di pertinenza sul dato fattuale, cioè sulla effettiva e concreta destinazione della cosa al servizio o ad ornamento di un’altra (Cass. n. 25127 del 2009; Cass. n. 19161 del 2004). Va però precisato che il relativo accertamento ha natura di apprezzamento di fatto, come tale demandato alla esclusiva competenza del giudice di merito e censurabile in cassazione solo per violazione del criterio legale di qualificazione del vincolo pertinenziale ovvero per difetto di motivazione.

Ciò posto, non sembra dubbio che la disposizione tributaria in questione, laddove sottrae il bene pertinenziale ad autonoma imposizione, stabilisca un regime se non derogatorio, certamente particolare rispetto al principio generale dell’autonoma tassabilità degli immobili posto dall’art. 1, comma 2, del testo di legge citato.

Tale considerazione non è senza effetto ai fini della spettanza dell’onere della prova in giudizio. Se ne può agevolmente dedurre, infatti, che qualora il privato, al fine di contestare la pretesa impositiva, deduca che il bene tassato e pertinenziale rispetto ad altro immobile, grava su di lui e non sull’Amministrazione l’onere di dimostrare il vincolo pertinenziale, vale a dire che il bene colpito avrebbe dovuto essere tassato insieme al bene principale, costituendone, appunto, pertinenza.

E’ lo stesso meccanismo di imposizione (non autonoma) che la legge stabilisce a carico dei beni pertinenziali a comportare, pertanto, che, a fronte della pretesa tributaria di autonoma tassabilità del bene, la situazione predetta integri un’eccezione in senso stretto (Cass. n. 6501 del 2005), vale a dire un motivo di contestazione dell’atto impositivo, che, come tale, deve essere provato dal contribuente.

Alla medesima conclusione, con riguardo all’onere della prova, si giunge riflettendo che il rapporto pertinenziale è caratteristica del bene impressa dal proprietario, con l’effetto che, risalendo la relazione tra bene principale e bene secondario a fatto proprio del contribuente e non dell’ente impositore, tale situazione, qualora eccepita, deve essere provata dal primo e non dal secondo, in base al principio d’ordine generale secondo cui l’onere della prova di un fatto proprio o personale che sia invocato dalla parte a sostegno delle proprie ragioni spetta alla parte stessa.

Sulla base di tali considerazioni d’ordine generale, si ritiene che la sentenza della Commissione tributaria regionale si sottragga agevolmente alle censure contestate in quanto: a) con riferimento alla denunzia di violazione di legge, il giudice territoriale ha correttamente interpretato la disciplina normativa, rappresentando la necessità di interpretare la nozione di pertinenza in base alla definizione fornita dal codice civile; b) quanto al vizio di motivazione, considerato che l’eccezione della società contribuente è stata respinta sulla base dell’affermazione, avente natura di apprezzamento di fatto, che dagli atti di causa non emergevano elementi certi ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale – nella premessa implicita, quindi, che l’onere della prova gravasse sulla contribuente medesima – rilevando anzi che dalla visura catastale risultava che la riunificazione dei mappali risaliva al 2002, cioè in epoca ben posteriore al periodo d’imposta in discussione.

Vero che, come afferma la ricorrente, la risultanza catastale è un dato formale, come tale non decisivo. Ma una volta ben chiaro il principio che l’onere della prova ricadeva sulla contribuente medesima, è evidente che la contestata affermazione del giudice a qua, che pur sembra attribuire eccessivo valore a questo dato, appare obiettivamente inconferente rispetto al decisum, tenuto conto del rilievo finale del giudicante in ordine alla insussistenza degli clementi probatori per addivenire all’accertamento del dedotto vincolo di pertinenza.

La circostanza poi che il ricorso affermi che, al contrario di quanto sostenuto dal giudicante, tali elementi probatori esistevano ed erano stati dedotti, consistendo, in particolare, nella richiesta di riunificazione catastale dell’aprile del 1997 e, soprattutto, nell’atto di acquisto del 1977, costituisce asserzione che, per come formulata, non appare apprezzabile da questa Corte. Il contenuto del ricorso, infatti, non appare adeguarsi al principio di autosufficienza, che. nel giudizio di legittimità, impone a ehi deduca l’omessa considerazione da parte del giudice di merito di elementi di prova, l’onere di riprodurre esattamente il contenuto dei documenti e delle prove che si assumono non esaminate e di indicare il momento processuale in cui essi sono stati prodotti, al fine di porre questa Corte, che attesa la natura non processuale del vizio non ha accesso diretto agli atti, nella condizione di valutarne la regolarità e decisività rispetto al denunziato errore di motivazione o di valutazione da parte del giudice di merito (Cass. n. 18506 del 2006; Cass. n. 3004 del 2004).

Il terzo motivo di ricorso denunzia “Violazione e falsa applicazione della L. n. 504 del 1992, art. 2, lett. b). Omessa motivazione su un punto decisivo prospettato dalla parte (non ulteriore edificabilità del terreno in questione secondo gli strumenti urbanistici richiamati dalla norma)”, censurando la sentenza impugnata per avere disatteso, senza alcuna motivazione, l’argomentazione con cui la contribuente aveva dedotto che l’area tassata non poteva considerarsi edificabile, in quanto, sulla base degli indici di edificabilità del piano regolatore del comune, la contribuente, considerata l’estensione complessiva dei suoi terreni, aveva già raggiunto la massima copertura, trascurando di considerare le risultanze offerte dalla contribuente sul punto. Inoltre, prosegue il ricorso, il giudicante non ha tenuto conto che nelle sue controdeduzioni il comune aveva precisato che l’area complessiva di proprietà della Rhoss sarebbe stata non di mq. 8.468, ma di mq. 6.753, con l’effetto che l’ammontare dell’imposta dovuta dalla contribuente avrebbe dovuto essere nettamente inferiore a quello richiesto dal comune medesimo.

La decisione impugnata infine, conclude il ricorso, è errata anche laddove ha respinto, perchè non motivata, l’istanza di riduzione delle sanzioni applicate, tralasciando di considerare che la rendita catastale del fabbricato e la stessa estensione dell’area erano state rettificate dall’Ufficio in corso di causa.

Il mezzo è inammissibile.

L’affermazione secondo cui il giudice di secondo grado non avrebbe valutato le risultanze istruttorie prodotte dalla società contribuente a sostegno del proprio assunto circa la superficie del terreno ed il suo stato di non effettiva edificabilità non appare sorretta dalla necessaria indicazione, imposta dal principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, del contenuto degli atti e dei documenti da cui tale situazione risulterebbe, nè del momento processuale in cui essi sarebbero stati prodotti.

Sotto altro profilo, occorre osservare che la società ricorrente non ha specificato in modo appropriato di avere svolto la censura in discorso fin dall’atto introduttivo del giudizio, riproducendone esattamente il contenuto. Per la medesima ragione appare inammissibile anche la doglianza di omessa motivazione sul punto. In ogni caso, poichè la relativa doglianza non risulta in alcun modo esaminata dal giudice di primo grado, che non ne fa alcuna menzione, la ricorrente avrebbe dovuto dedurre il vizio di omessa pronuncia.

per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., e non di omessa motivazione (Cass. n. 12952 del 2007; Cass. n. 24856 del 2006).

La censura che investe il capo della decisione che ha respinto la richiesta della parte di riduzione delle sanzioni appare assorbita dalle precedenti considerazioni, atteso che essa si fonda sulla medesima ricostruzione del fatto, che è apparsa priva di riferimenti concreti e puntuali agli atti ed ai documenti di causa.

Il ricorso va pertanto respinto.

Nulla si dispone sulle spese di giudizio, non avendo le parti intimate svolto attività difensiva.

PQM

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2010

 

 

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