Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11460 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. II, 30/04/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 30/04/2021), n.11460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8655-2016 proposto da:

G.G., e G.C., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA AUGUSTO RIBOTY n. 23, presso lo studio

dell’avvocato PIETRO ANTONUCCIO, che le rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

G.V., e G.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO n. 37, presso lo studio

dell’avvocato MARCELLO FURITANO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CECILIA FURITANO;

– controricorrenti –

nonchè contro

N.C.;

– intimata –

avverso la sentenza non definitiva n. 200/2015 della CORTE D’APPELLO

di PALERMO, depositata il 10/02/2015, e la sentenza definitiva n.

1774/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il

27/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/01/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 2.7.1985 G.S. evocava in giudizio G.I. innanzi il Tribunale di Termini Imerese, deducendo di essere comproprietario per la quota ideale di 1/3 del totale di un appezzamento di terreno sito in (OMISSIS), acquistato dal fratello G.G. con atto del 24.9.1959 ai rogiti del notaio A. dalla Cassa per la formazione della piccola proprietà contadina, ma in realtà appartenente per 1/3 cadauno ai tre germani S., G. e G.I., come risultava dalla scrittura privata sottoscritta tra i predetti. Deduceva poi che I. era succeduto al fratello G. nei diritti a quest’ultimo spettanti, essendo stato nominato erede universale del germano con testamento pubblicato il 23.4.1981. Chiedeva pertanto che fosse accertato il suo diritto di comproprietà sul bene di cui è causa, pari ad 1/3 del totale, e la condanna del convenuto al risarcimento del danno.

Si costituiva in giudizio G.I., resistendo alla domanda.

Con sentenza n. 250/1989 il Tribunale accoglieva la domanda, dichiarando l’attore comproprietario del terreno contestato per la quota ideale di 1/3 del totale, rigettando la domanda risarcitoria perchè non provata.

Interponeva appello avverso detta decisione G.I. e si costituiva in seconde cure, per resistere al gravame, G.S..

Con sentenza n. 630/1992 la Corte di Appello di Palermo rigettava il gravame.

A seguito di ricorso proposto dal soccombente, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 8475/1995, cassava la decisione di seconda istanza rinviando la causa alla medesima Corte distrettuale, in differente composizione.

Riassunto il giudizio, la domanda dell’originario attore veniva respinta con sentenza della Corte palermitana n. 592/1999, che passava in giudicato.

Con nuovo atto di citazione notificato il 19.10.2005 N.C., G.G. e G.V., eredi di G.S., evocavano in giudizio G.G. e G.C., eredi di G.I., deducendo che la scrittura a suo tempo firmata dai tre germani G. ( S., G. e I.), ancorchè non avente effetti reali, definitivamente esclusi per effetto della pronuncia in giudicato della Corte di Appello di Palermo n. 592/1999, era idonea a spiegare effetti obbligatori. Su tale presupposto, gli attori invocavano l’accertamento dell’inadempimento delle convenute alle obbligazioni derivanti dalla predetta scrittura e la sentenza costitutiva, ex art. 2932 c.c., avente efficacia del contratto non concluso, per il trasferimento in loro favore della quota indivisa pari ad 1/3 del totale della piena proprietà del fondo di cui è causa.

Si costituivano in giudizio le convenute resistendo alla domanda, invocandone il rigetto ed eccependo preliminarmente il giudicato derivante dalla richiamata decisione della Corte di Appello di Palermo n. 592/1999.

Con sentenza n. 255/2009 il Tribunale di Termini Imerese rigettava la domanda condannando gli attori alle spese del grado.

Interponevano appello avverso detta decisione N.C., G.G. e G.V., e si costituivano in seconde cure, per resistere al gravame, G.G. e G.C..

Con la sentenza non definitiva oggi impugnata, n. 200/2015, la Corte di Appello di Palermo accoglieva l’impugnazione, trasferendo agli appellanti la quota indivisa pari ad 1/3 del totale della piena proprietà del fondo oggetto di causa, rimettendo la causa sul ruolo per la domanda risarcitoria. Con successiva sentenza n. 1774/2015, essa pure impugnata, la Corte panormitana condannava G.G. e C. al risarcimento, in favore degli appellanti, della somma di Euro 30.378 oltre rivalutazione, interessi e spese di lite.

Propongono ricorso per la cassazione, tanto della sentenza non definitiva che di quella definitiva, G.G. e G.C., affidandosi a sei motivi.

Resistono con controricorso G.G. e G.V..

N.C., intimata, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, diretto avverso la sentenza non definitiva n. 200/2015, le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sull’eccezione di giudicato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il secondo motivo, sempre diretto avverso la medesima sentenza non definitiva e suscettibile di trattazione unitaria con la prima censura, le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte distrettuale avrebbe dovuto ravvisare l’esistenza del giudicato esterno, derivante dalla sentenza della Corte di Appello di Palermo n. 592/1999, conclusiva del primo giudizio svoltosi tra le parti.

Le due doglianze sono infondate.

La Corte di Appello ha ritenuto che “Dalla convenzione sottoscritta dai germani G. emerge inequivocabilmente che G.G. ha acquistato il fondo di contrada (OMISSIS) con denaro fornito da tutti i fratelli (nominativamente e specificamente menzionati nella clausola) e anche nel loro interesse, pur senza aver speso il loro nome nella stipula dell’atto di acquisto del 24.9.1959, tanto che, nella stessa scrittura, è stato posto a carico di S. e G.I. l’obbligo di corrispondere a G. la loro quota della somma complessiva da pagare all’ente alienante, cioè la Cassa per la formazione della proprietà contadina, oltre alle tasse che ne sono derivate. Il rapporto sottostante la convenzione ben può essere qualificato, pertanto, come mandato senza rappresentante, con la conseguenza che, a mente dell’art. 1706, comma 2, il mandatario ha l’obbligo di ritrasferire ai mandanti i beni immobili acquistati per loro conto, obbligo che può essere oggetto di esecuzione coattiva, anche ex art. 2932 c.c.” (cfr. pagg. 3 e 4 della sentenza non definitiva n. 200/2015).

In tal modo, pur non affrontando direttamente l’eccezione di giudicato esterno proposta dalle odierne ricorrenti, la Corte ha statuito implicitamente sulla stessa, rigettandola. La pronuncia sulla domanda proposta dalla parte appellante, odierna controricorrente, presuppone infatti logicamente la sua proponibilità, e quindi il superamento dell’eccezione di giudicato di cui si discute.

In proposito, va ribadito che “Non è configurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise – sia pure con una pronuncia implicita della loro irrilevanza o di infondatezza – in quanto superate e travolte, anche se non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di altra questione, il cui solo esame comporti e presupponga, come necessario antecedente logico-giuridico, la detta irrilevanza o infondatezza; peraltro, il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte” (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 13649 del 24/06/2005, Rv. 582099; nella specie, era stata dedotta l’inammissibilità dell’appello in quanto privo di specifici motivi e questa Corte ha rilevato che il giudice di merito, nell’esaminare e nel valutare nel merito le ragioni poste a base dell’impugnazione, aveva implicitamente ritenuto infondata l’eccezione al riguardo formulata dall’appellato; negli stessi termini, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10422 del 15/04/2019, Rv. 653579; nonchè Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25154 del 11/10/2018, Rv. 651158, relativa al mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di un’eccezione di inammissibilità dell’intervento del terzo per asserita “errata costituzione” di quest’ultimo). Anche in relazione all’ipotesi in cui il giudice di merito non si pronunci esplicitamente sull’eccezione di giudicato esterno, ma esamini comunque la domanda nel merito, si deve configurare un rigetto implicito dell’eccezione preliminare di cui anzidetto, con conseguente riaffermazione del principio generale per cui “Il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1876 del 25/01/2018, Rv. 647132).

Con il terzo motivo, sempre diretto avverso la sentenza non definitiva, le ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 1418,1325,1350 c.c., e art. 1705 c.c. e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte siciliana avrebbe erroneamente ravvisato l’esistenza di un mandato senza rappresentanza, conferito da G.S. al fratello G.G. per l’acquisto dell’immobile, pur in assenza della necessaria forma scritta.

Con il quarto motivo, ancora diretto avverso la sentenza non definitiva, le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 1362 c.c. e art. 1363 c.c. e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte isolana avrebbe erroneamente interpretato la scrittura privata sottoscritta tra i tre germani G., senza alcuna analisi specifica, nè del testo letterale della stessa, nè del comportamento delle parti stipulanti, prima, durante e dopo la conclusione del contratto, nè del tenore complessivo dell’accordo negoziale emergente dal documento di cui si discute.

Con il quinto motivo, pure rivolto avverso la sentenza non definitiva, le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1703,1705,1706 e 2932 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè a fronte della natura ricognitiva, attribuita dalla Corte territoriale alla scrittura privata firmata dai tre fratelli G., non avrebbe potuto farsi derivare dalla medesima uno specifico e circostanziato conferimento di incarico.

Le tre censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili.

Come già evidenziato in occasione dello scrutinio dei primi due motivi di ricorso, la Corte palermitana ha ravvisato, nella scrittura intercorsa tra i tre germani G., un mandato senza rappresentanza, conferito dai fratelli S. e I. in favore di G., affinchè questi procedesse, anche nell’interesse dei due mandanti, all’acquisto del podere oggetto di causa dalla Cassa per la formazione della proprietà contadina, utilizzando denaro proveniente da tutti e tre i paciscenti. Questo apprezzamento, che si sostanza in un giudizio di merito, non è – in sè stesso – sindacabile in questa sede, posto che “In tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 29111 del 05/12/2017, Rv. 646340; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 420 del 12/01/2006, Rv. 586972).

Con le censure in esame le ricorrenti non contestano tanto l’inquadramento giuridico della convenzione esaminata dalla Corte distrettuale, quanto l’operazione logica, condotta dal predetto collegio di merito, della comune intenzione delle parti; le doglianze, di conseguenza, rimangono sul piano del merito.

Peraltro il percorso argomentativo seguito dalla Corte isolana è conforme ai precedenti di questa Corte. Il collegio di seconda istanza, infatti, ha ritenuto non condivisibile l’assunto del Tribunale, secondo cui il rapporto derivante dalla scrittura intercorsa tra i germani G. doveva essere considerato nullo per difetto di forma scritta, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “In ossequio al principio di libertà delle forme, il mandato senza rappresentanza per l’acquisto di beni immobili non necessita della forma scritta, che occorre soltanto per gli atti, come la procura, che costituiscono presupposto per la realizzazione dell’effetto reale del trasferimento della proprietà” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20051 del 02/09/2013, Rv. 627719; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22989 del 11/11/2015, Rv. 637848; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21805 del 28/10/2016, Rv. 642964).

Il criterio interpretativo è stato ribadito anche in relazione al patto fiduciario avente ad oggetto un immobile, che si innesti su un acquisto effettuato dal fiduciario per conto del fiduciante, sul presupposto che detto accordo costituisce un “atto meramente interno tra fiduciante e fiduciario che dà luogo ad un assetto di interessi che si esplica esclusivamente sul piano obbligatorio; ne consegue che tale accordo, una volta provato in giudizio, è idoneo a giustificare l’accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di ritrasferimento gravante sul fiduciario” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6459 del 06/03/2020, Rv. 657212).

Nè sussiste dubbio sul fatto che il rimedio ex art. 2932 c.c., consistente nell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di trasferire al mandante l’immobile acquistato dal mandatario, sia esperibile anche quando il contratto di mandato sia senza rappresentanza e privo di forma scritta, ovviamente a condizione che la sua esistenza venga dimostrata nel corso del giudizio di merito (cfr. ancora Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20051 del 02/09/2013, Rv. 627720).

Con il sesto ed ultimo motivo, rivolto avverso entrambe le decisioni impugnate, le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 1218 c.c. e dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte palermitana avrebbe erroneamente accolto la domanda risarcitoria spiegata dagli appellanti e condannato le ricorrenti medesime alle spese del giudizio di merito.

La doglianza è inammissibile, tanto quanto al profilo relativo all’accoglimento della domanda risarcitoria, che con riguardo a quello concernente le spese di giudizio.

Sotto il primo aspetto, infatti, le ricorrenti sollecitano un riesame del giudizio di fatto condotto dal giudice di merito, estraneo alla natura ed ai fini del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

La Corte di Appello, con la sentenza non definitiva n. 200/2015, ha correttamente osservato che dall’accoglimento della domanda di esecuzione del contratto in forma specifica deriva anche quello della conseguente domanda di risarcimento del danno che gli odierni controricorrenti lamentavano per effetto del mancato godimento del cespite oggetto di lite dal dicembre 1984, data della prima messa in mora da essi formulata. Con la successiva decisione definitiva n. 1774/2015, la Corte isolana ha quantificato il risarcimento, all’esito di C.T.U. sulla determinazione delle fruttificazioni del fondo in contestazione, nella somma di Euro 30.378, pari ad 1/3 del totale accertato dall’ausiliario. La valutazione condotta dal giudice di merito, dunque, si fonda sull’adesione alle risultanze della C.T.U., che in sè non necessita di specifica motivazione, laddove il giudice ritenga di condividere le conclusioni raggiunte dal perito e non constino specifiche censure tempestivamente proposte dalle parti, delle quali l’ausiliario non abbia tenuto conto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12703 del 9/06/2015, Rv. 635773; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1815 del 02/02/2015, Rv. 634182).

Con riferimento, invece, alla condanna delle odierne ricorrenti alle spese del doppio grado di giudizio, contenuta nella sola sentenza definitiva n. 1774/2015, essa consegue all’accertata soccombenza delle ricorrenti medesime. Nessuna violazione della norma di cui all’art. 91 c.p.c., dunque, è configurabile nel caso di specie.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo nei confronti della parte controricorrente, seguono la soccombenza. Nulla invece per la parte rimasta intimata, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte di quest’ultima nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

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