Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11460 del 10/05/2017


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Cassazione civile, sez. I, 10/05/2017, (ud. 30/01/2017, dep.10/05/2017),  n. 11460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23195/2012 proposto da:

Trevi Finance 2 S.p.a., (p.i. (OMISSIS)), per essa UNICREDIT CREDIT

MANAGEMENT BANK S.P.A. (già denominata UNICREDITO GESTIONE CREDITI

SOCIETA’ PER AZIONI – BANCA PER LA GESTIONE CREDITI), quale

mandataria di UNICREDIT S.P.A. (quale avente causa di Capitalia

S.p.a.), a sua volta mandataria della predetta Trevi Finance 2

S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Paolo Emilio n. 57, presso

l’avvocato Serra Marco, rappresentata e difesa dall’avvocato Iucci

Roberto, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.V., M.D., M.M.F., in proprio

e quale eredi di M.G., nonchè M.M.T.,

Ma.Ma., elettivamente domiciliati in Roma, Via Suvereto n.

263, presso l’avvocato Mignemi Salvatore, rappresentati e difesi

dall’avvocato Rizzi Ferruccio, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

A.P., quale Commissario Liquidatore di Industria

Alimenti Zootecnici M. S.r.l.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3594/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/01/2017 dal cons. DI MARZIO MAURO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato M. SERRA, con delega verbale,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato F. RIZZI che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CARDINO

Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – L’allora Banca di Roma S.p.A. chiese ed ottenne dal Tribunale di Latina due decreti ingiuntivi nei confronti dell’Industria Alimenti Zootecnici M. S.r.l., quale debitrice principale, nonchè di M.G., M.R., M.V., M.D., M.M.F., Ma.Ma. e M.M.T., quali fideiussori, l’uno per l’importo di Lire 233.419.344 (dovute quale saldo debitore di un conto corrente e di un conto corrente di finanziamento), l’altro per l’importo di Lire 883.190.790 (dovute quale saldo debitore di un conto corrente e di due conti correnti di finanziamento), il tutto oltre accessori.

2. – Tanto la società, ammessa successivamente al concordato preventivo, quanto i fideiussori hanno proposto opposizione ad entrambi i decreti ingiuntivi.

3. – Con distinte sentenze non definitive il Tribunale di Latina ha revocato i decreti ingiuntivi per carenza del requisito della prova scritta del credito vantato dalla banca e per illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, disponendo consulenza tecnica d’ufficio volta alla quantificazione del credito della banca.

4. – Con distinte sentenze definitive, infine, lo stesso Tribunale ha condannato gli originari opponenti in solido al pagamento delle somme di Euro 227.164,10, e di Euro 907.711,89, in entrambi i casi con interessi legali dal 1 gennaio 2004.

5. – Hanno proposto appello i fideiussori e A.P., quale Commissario Liquidatore di Industria Alimenti Zootecnici M. S.r.l..

Ha resistito Capitalia S.p.A., già Banca di Roma S.p.A..

6. – La Corte d’appello di Roma, con sentenza dell’8 settembre 2011, riunite le impugnazioni ha per quanto rileva riformato le sentenze definitive impugnate, rigettando la domanda di pagamento spiegata dalla banca con i ricorsi per decreto ingiuntivo, con integrale compensazione di spese.

Ha ritenuto la Corte territoriale:

-) che fosse infondata l’eccezione di difetto di legittimazione ad impugnare del Commissario Liquidatore, avuto riguardo al principio secondo cui, in caso di intervenuta ammissione del debitore al concordato preventivo, se il creditore agisce proponendo non solo una domanda di accertamento del proprio diritto, ma anche alla domanda di condanna o comunque idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione di riparto del ricavato, si affianca alla legittimazione passiva del debitore quella del liquidatore giudiziale, senza necessità di autorizzazione del giudice delegato;

-) che il credito della Banca non fosse provato a causa della mancata produzione da parte sua degli estratti conto concernenti l’intero arco temporale di durata dei diversi rapporti oggetto del contendere, in ossequio al principio secondo cui, nei rapporti bancari in conto corrente la banca non può sottrarsi all’onere di provare il proprio credito invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre 10 anni dalla data dell’ultima registrazione.

7. – Per la cassazione della sentenza Trevi Finance 2 S.p.A. e per essa Unicredit Credit Management Bank S.p.A. quale mandataria di Unicredit S.p.A. ha proposto ricorso per due motivi illustrati da memoria.

M.V., M.D., M.M.F., in proprio e quali eredi di M., nonchè Ma.Ma. e M.M.T. hanno resistito con controricorso.

L’intimata Industria Alimenti Zootecnici M. S.r.l. in Concordato non ha spiegato attività.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso contiene due motivi.

1.1. – Il primo motivo è svolto sotto la rubrica: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 2697, 1832 e 1813 c.c.. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

Sostiene la banca ricorrente che la Corte territoriale avrebbe fatto erronea applicazione del pur condivisibile principio giurisprudenziale secondo cui, nei rapporti bancari in conto corrente, la banca non può sottrarsi all’onere di provare il proprio credito invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione, in quanto tale obbligo, volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi estranei all’attività imprenditoriale, non può sollevarla dall’onere della prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore.

Ed infatti, nel caso di specie, soltanto una parte del credito traeva origine dal saldo debitore di un rapporto di apertura di credito regolata in conto corrente, mentre altra parte derivava dal saldo passivo di tre “conti correnti di finanziamento”, i quali accedevano a contratti di mutuo aventi ad oggetto somme corrisposte ad Alimenti Zootecnici M. S.r.l. per provvedere al pagamento di tre fatture per forniture di merci.

1.2. – Il secondo motivo è rubricato: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 75 e 100 c.p.c., del R.D. n. 267 del 1942, artt. 35, 167 e 182 ante riforma”.

Il motivo è volto a denunciare l’erroneità della pronuncia con cui la Corte d’appello ha disatteso l’eccezione di difetto di legittimazione ad impugnare del Commissario Liquidatore di Industria Alimenti Zootecnici M. S.r.l., tanto più perchè mancante di autorizzazione giudiziale.

2. – Il ricorso va accolto nei limiti che seguono.

2.1. – Il primo motivo, come eccepito dai controricorrenti, è inammissibile.

Qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 22 aprile 2013, n. 8206; Cass. 11 aprile 2016, n. 7048; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; Cass. 30 novembre 2006, n. 25546).

Nel caso in esame, la sentenza impugnata non menziona affatto la questione se i diversi rapporti intrattenuti da Industria Alimenti Zootecnici M. S.r.l. avessero tutti la medesima natura e fossero pertanto egualmente regolati dal principio rammentato dagli stessi ricorrenti nel corpo del primo motivo (principio ribadito tra le ultime da Cass. 26 gennaio 2011, n. 1842; Cass. 18 settembre 2014, n. 19696; Cass. 20 aprile 2016, n. 7972), ovvero se alcuni di essi fossero sorti in dipendenza dalla stipulazione di contratti di mutuo e, conseguentemente, si sottraessero all’applicazione del detto principio.

Al contrario, riferisce la sentenza d’appello che la banca, nel corso del giudizio di primo grado, aveva indifferentemente addotto “l’impossibilità di elaborazione dei dati in considerazione dell’ultradecennalità dei rapporti stessi e, comunque, l’inesistenza di un obbligo di conservazione delle scritture contabili per un periodo superiore al decennio”.

Ne discende che la banca, la quale non ha del resto neppure dedotto di aver espressamente sollevato la questione nella fase di merito, risulta aver prospettato soltanto in questa sede l’esigenza di procedere all’accertamento in fatto in ordine alla natura dei diversi rapporti.

Di qui l’inammissibilità della doglianza.

2.2. – Il secondo motivo è fondato nel senso che segue.

Come si è già visto, le originarie opposizioni ai decreti ingiuntivi sono state proposte, oltre che dai fideiussori, odierni controricorrenti, da Industria Alimenti Zootecnici M. S.r.l., che, come risulta dalla sentenza impugnata, non ha proposto appello, avendo invece appellato, oltre ai M., A.P., con separato atto, quale Commissario Liquidatore di Industria Alimenti Zootecnici M. S.r.l..

A fronte di ciò la banca appellata ha formulato eccezione di difetto di legittimazione ad impugnare del Commissario Liquidatore, eccezione che la Corte d’appello ha respinto con la motivazione in precedenza ricordata.

Tanto premesso in fatto, si deve in generale ricordare che questa Corte ha più volte ribadito il principio della piena legittimazione del debitore ammesso alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni sia dal lato passivo, in ordine all’accertamento in via ordinaria di ogni pretesa creditoria, sia dal lato attivo, in ordine all’esercizio delle azioni relative alle attività cedute (per tale indirizzo, con esclusione della legittimazione passiva, salva la facoltà di intervento, del Commissario Liquidatore, v. Cass. 10 settembre 1999, n. 9663; Cass. 6 aprile 1995, n. 4033; Cass. 30 ottobre 1991, n. 1142).

Ciò in quanto nella cessione dei beni ai creditori, che costituisce una particolare modalità di attuazione del concordato preventivo (disciplinata dalla L. Fall., art. 160, comma 2, n. 2, art. 181, comma 1, n. 3, art. 182 e art. 186, comma 2, ovviamente nel testo previgente), inquadrabile nell’ambito dell’istituto della cessio bonorum regolata dal codice civile, non si attua il trasferimento di proprietà dei beni ceduti, ma soltanto della legittimazione a disporne in favore degli organi della procedura: così risolvendosi in un mandato irrevocabile, perchè conferito anche nell’interesse dei terzi creditori, a gestire e liquidare i beni ceduti (Cass. 13 maggio 1998, n. 4801; Cass. 21 febbraio 1995, n. 1909; Cass. 21 gennaio 1993, n. 709).

Per l’accoglimento della doglianza spiegata dalla banca occorrono poi ulteriori considerazioni.

Nel caso in esame, difatti, va osservato che, ammessa la società debitrice al concordato preventivo, esso, come riferisce la stessa ricorrente a pagina 22 del ricorso, è stato omologato con sentenza del 21 novembre 1995. Sicchè si deve avere ulteriormente presente che, se per un verso l’ammissione al concordato preventivo, anche se con cessione dei beni, non priva l’imprenditore nè dell’amministrazione dei suoi beni, nè della legittimazione processuale nelle controversie ad essi inerenti (fermo restando il controllo degli organi della procedura e le conseguenze di eventuali iniziative od omissioni pregiudizievoli per i creditori), per altro verso con l’omologazione del concordato stesso insorgono gli autonomi poteri (e la relativa legittimazione processuale) del Commissario Liquidatore, rispetto ai beni oggetto della cessione (Cass. 12 gennaio 1988, n. 136, la quale ha negato la legittimazione ad impugnare proprio in una situazione in cui non era stato ancora omologato il concordato).

Questa Corte ha sull’argomento precisato che, in caso di intervenuta ammissione del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni, se il creditore agisce proponendo non solo una domanda di accertamento del proprio diritto, ma anche una domanda di condanna o comunque idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione e di riparto del ricavato, alla legittimazione passiva dell’imprenditore si affianca, una volta intervenuta l’omologazione e nominato il Commissario Liquidatore, quella di quest’ultimo, quale contraddittore necessario (Cass. 29 aprile 1999, n. 4301; Cass. 26 luglio 2001, n. 10250, la quale ha chiarito che, qualora la sentenza di omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni nella quale si provveda alla nomina del liquidatore giudiziale intervenga dopo che l’imprenditore sia stato convenuto in giudizio da un creditore con domanda di condanna, è necessario provvedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti del liquidatore, onde evitare che la sentenza sia inutiliter data; Cass. 5 aprile 2001, n. 5055, nel medesimo senso della necessaria integrazione del contraddittorio nei confronti del liquidatore in caso di domanda di condanna; Cass. 27 luglio 2006, n. 17159; Cass. 30 luglio 2009, n. 17748, secondo cui il commissario liquidatore può per tale ragione intervenire in fase di appello). Veste, quella di contraddittore necessario del Commissario Liquidatore, peraltro nel caso in esame ormai non più rilevabile, non essendo stata sollevata alcuna questione di incompletezza del contraddittorio nell’arco dell’intero giudizio ed essendo pertanto il punto ormai coperto da giudicato interno.

Quanto poi alla legittimazione ad impugnare, è agevole rammentare che, in linea generale, essa spetta esclusivamente alle parti tra le quali risulti essere stata formalmente emessa la sentenza impugnata alla stregua dei soli dati desumibili dal testo della medesima (Cass. 14 maggio 1975, n. 1863; Cass. 23 luglio 1994, n. 6886; Cass. 7 aprile 1995, n. 4063; Cass. 9 luglio 1996, n. 6249; Cass. 14 luglio 2006, n. 16100).

In applicazione di tale principio si è in particolare precisato che non rileva in contrario che il soggetto, rimasto estraneo al giudizio conclusosi con la decisione impugnata, a differenza del contumace, deduca a fondamento della proposta impugnazione – cosa che peraltro nella vicenda in discorso non ha avuto luogo – la propria qualità di litisconsorte sostanziale indebitamente pretermesso (Cass., Sez. Un., 18 novembre 1994 n. 9753; Cass. 1 ottobre 1999, n. 10894; Cass. 21 febbraio 2006, n. 3688; Cass. 15 dicembre 2010, n. 25344): potendo il litisconsorte necessario pretermesso, oltre a proporre opposizione di terzo, sempre intervenire in appello (p. es. Cass. 14 maggio 2005, n. 10130).

Va da sè che, sotto l’aspetto considerato, il Commissario Liquidatore non era legittimato ad impugnare, e non lo sarebbe stato neppure se avesse allegato a fondamento dell’impugnazione la sua qualità di litisconsorte necessario pretermesso.

D’altronde, il Commissario Liquidatore nella procedura di concordato preventivo, il quale subentra soltanto nella gestione dei beni ceduti e più in generale nelle questioni attinenti alla liquidazione ed al carattere concorsuale del credito, neppure possiede la qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso (Cass. 27 ottobre 2000, n. 14206), sicchè la strada dell’impugnazione era preclusa al Commissario Liquidatore, nel nostro caso, anche per tale via.

Ha in conclusione errato la Corte d’appello nel non riconoscere l’inammissibilità dell’appello proposto dal Commissario Liquidatore.

3. – In definitiva, dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio nella parte in cui ha accolto l’appello del Commissario Liquidatore, rimanendo ferma per il resto.

4. – Le spese seguono la soccombenza nei rapporti tra la banca ricorrente ed i controricorrenti nonchè in quelli tra la stessa banca ed il Commissario Liquidatore.

PQM

dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e cassa per l’effetto la sentenza impugnata senza rinvio nella parte in cui ha accolto l’appello, che dichiara inammissibile, del Commissario liquidatore di Industria Alimenti Zootecnici M. S.r.l.; condanna la banca ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese sostenute per questo giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge; condanna il Commissario liquidatore di Industria Alimenti Zootecnici M. S.r.l. al rimborso, in favore della banca ricorrente, delle spese sostenute per il grado d’appello e per questo grado del giudizio, liquidate, quanto al grado d’appello, in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, e quanto al giudizio di cassazione in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 30 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2017

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