Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11456 del 25/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/05/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 25/05/2011), n.11456

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, ed AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

contro

ELSACOM N.V., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via Giovanni Paisiello n. 33,

presso l’avv. Petrecca Stefano, che la rappresenta e difende giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 40/21/05, depositata il 27 aprile 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3

marzo 2011 dal Relatore Cons. Dott. Biagio Virgilio;

uditi l’Avvocato dello Stato Bruno Dettoti per i ricorrenti e l’avv.

P.S. per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

GAETA Pietro, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La ELSACOM N.V., con sede legale in Amsterdam, propose ricorso avverso il provvedimento con il quale l’Agenzia delle entrate, Ufficio di Roma (OMISSIS), aveva ad essa negato il rimborso, richiesto con istanza presentata in data 27 luglio 2000, dell’imposta sul valore aggiunto assolta su fatture passive ricevute nel corso del 1999. Il diniego era stato espresso sulla base della ritenuta tardività della domanda, il cui termine, ai sensi dell’art. 7 dell’ottava direttiva del Consiglio 6 dicembre 1979, n. 79/1072/CEE, e del D.M. 20 maggio 1982, doveva ritenersi scaduto il 30 giugno 2000.

2. L’adita Commissione tributaria provinciale di Roma accolse il ricorso, sulla base della considerazione della natura non perentoria del detto termine.

3. L’appello proposto dall’Ufficio venne rigettato, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale ribadì che il termine dei sei mesi successivi all’anno cui l’imposta si riferisce, previsto dalle norme citate per la presentazione dell’istanza, ha natura meramente ordinatoria.

4. Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione avverso tale pronuncia, insistendo sul carattere perentorio del termine.

La società contribuente resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Con l’unico motivo formulato, i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 7 dell’ottava direttiva del Consiglio del 6 dicembre 1979, n. 79/1072/CEE, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38 ter e del D.M. 20 maggio 1982, art. 1 censurano la sentenza impugnata per avere il giudice a quo ritenuto di natura non perentoria il termine per la presentazione dell’istanza di rimborso.

1.2. Com’è noto, la citata direttiva, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, detta, in particolare, le modalità per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti all’interno del paese, cioè è diretta a stabilire, conformemente alle disposizioni dell’art. 17, n. 4, della sesta direttiva, le modalità di rimborso dell’IVA versata in uno Stato membro ad opera di soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro. E’ previsto, fra l’altro, per quanto qui interessa, che, per beneficiare del rimborso, il soggetto interessato deve “inoltrare presso il servizio competente di cui all’art. 9, comma 1, una domanda conforme al modello di cui all’allegato A alla quale saranno allegati gli originali delle fatture o dei documenti d’importazione” (art. 3, lett. a); “gli Stati membri non possono imporre ai soggetti passivi di cui all’art. 2, oltre agli obblighi di cui agli artt. 3 e 4, alcun altro obbligo oltre a quello di fornire, in casi particolari, le informazioni necessarie per accertare la fondatezza della domanda di rimborso” (art. 6); “la domanda deve essere presentata al servizio competente di cui all’art. 9, comma 1, entro i sei mesi successivi allo scadere dell’anno civile nel corso del quale l’imposta è divenuta esigibile” (art. 7, paragrafo 1, comma 1, ultimo periodo);

“la domanda deve essere compilata in stampatello e deve essere presentata, entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello cui si riferisce la domanda, al servizio competente dello Stato destinatario della domanda” (allegato C, lett. B).

1.3. Per quanto riguarda la normativa nazionale, il D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 793, art. 16 (emanato anche all’espresso fine di adeguare la disciplina dell’IVA alle Direttive europee in materia di esecuzione di rimborsi a soggetti non residenti) ha introdotto il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38 il quale ha, per quanto qui rileva, rimesso ad un decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, il compito di stabilire “le modalità e i termini per la richiesta” dei rimborsi.

Tale decreto è stato emanato il 20 maggio 1982 ed ha previsto, all’art. 1, comma 2, che il rimborso deve essere eseguito “su istanza degli interessati da presentare entro il 30 giugno dell’anno solare successivo” a quello cui appartiene il trimestre di riferimento.

1.4. Va, poi, in linea generale ricordato che:

a) nell’ordinamento tributario italiano vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza dal relativo diritto, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta (per le imposte dirette cfr.

il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38), o, in mancanza di queste, dalle norme sul contenzioso tributario (il vigente D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, stabilisce, con carattere di norma generale e di chiusura del sistema, che la domanda di restituzione non può essere presentata “dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”), e tale regime impedisce, in linea di principio, l’applicazione della disciplina prevista per l’indebito di diritto comune;

b) la decadenza nella quale il contribuente sia incorso per mancato rispetto dei termini per richiedere il rimborso di un tributo è rilevabile d’ufficio, anche in sede di gravame (salvo che si sia già formato sul punto il giudicato interno), essendo quei termini dettati per finalità di interesse pubblico e di essi non potendo neppure l’Amministrazione disporre, con la conseguenza che la decadenza può essere appunto rilevata di ufficio, ai sensi dell’art. 2969 cod. civ., trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti, per tale ritenendosi non soltanto quella che riguarda i diritti indisponibili, ma anche quella disciplinata da un regime legale che escluda qualsiasi potere di disposizione delle parti, nel senso che esse non possono derogarvi, rinunciarvi o comunque modificarlo (da ult., Cass. n. 791 del 2011).

2. In presenza di tale complessivo quadro normativo, il Collegio ritiene che la questione relativa alla natura, perentoria o meno, del termine per la presentazione della domanda di rimborso, non possa prescindere dalla interpretazione della menzionata normativa comunitaria, della quale quella interna ha carattere meramente riproduttivo.

Come noto, il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto all’obbligo di rimettere alla Corte di giustizia la questione di interpretazione di una norma comunitaria rilevante ai fini della decisione sollevata da una delle parti solo quando la corretta applicazione della stessa norma si impone con evidenza tale da non lasciar spazio a ragionevoli dubbi: detto giudice, infatti, non deve rimettere la questione interpretativa alla Corte di giustizia o quando non la ritenga rilevante ai fini della decisione, o quando ritenga di essere in presenza di un acte claire, che, in ragione dell’esistenza di precedenti pronunce della Corte, ovvero della “evidenza” dell’interpretazione, rende inutile (o non obbligato) il rinvio pregiudiziale (cfr. Corte di giustizia 6 ottobre 1982, in causa C-283/81, Cilfit) (da ult., Cass. n. 22103 del 2007).

Ma non è questo il caso della controversia in esame, non sussistendo nella specie, ad avviso del Collegio, i predetti requisiti, sia in considerazione della mancanza di precedenti pronunce della Corte sul punto, sia della circostanza che, in ordine alla interpretazione delle norme interne sopra citate (come detto, meramente riproduttive della disciplina comunitaria), si sono registrate interpretazioni difformi nella giurisprudenza di questa Corte (e tenuto conto, altresì, del principio secondo il quale il giudice nazionale ha l’obbligo di adottare, tra diverse possibili letture di una norma interna, quella maggiormente aderente al diritto comunitario: Cass. nn. 7120 del 2002, 5559 del 2005).

3. In conclusione, poichè questa Corte è giudice di ultima istanza e la questione sollevata non ha trovato specifica risposta nella giurisprudenza comunitaria, è necessario domandare alla Corte di giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sulla seguente questione: “se il termine di sei mesi successivi allo scadere dell’anno civile nel corso del quale l’imposta è divenuta esigibile, previsto, per la presentazione della domanda di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto da parte dei soggetti passivi non residenti all’interno del paese, dall’art. 7, par. 1, comma 1, ultimo periodo, dell’ottava direttiva del Consiglio del 6 dicembre 1979, n. 79/1072/CEE, abbia carattere perentorio, sia cioè stabilito a pena di decadenza dal diritto al rimborso”.

Il rinvio pregiudiziale comporta la sospensione del processo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE visto l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e l’art. 295 cod. proc. civ., chiede alla Corte di giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla questione di interpretazione del diritto comunitario indicata in motivazione.

Ordina la sospensione del processo e dispone che copia della presente ordinanza sia trasmessa alla cancelleria della Corte di giustizia.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2011

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