Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11451 del 25/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/05/2011, (ud. 13/12/2010, dep. 25/05/2011), n.11451

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

S.M., elettivamente domiciliata in ROMA VIA ROMEO ROMEI

19, presso lo studio dell’avvocato RIITANO BRUNO, che la rappresenta

e difende, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 140/2004 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 24/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2010 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato RIITANO, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. I fatti di causa.

Con atto registrato in data 23.7.1985 S.M. trasferiva a F.A. la proprietà di un terreno agricolo per il prezzo indicato in contratto di L. 35.000.000.

Con avviso di accertamento notificato in data 7.7.1987 l’Ufficio (OMISSIS) del Registro-Atti Privati di Roma rettificava il valore dichiarato in complessive L. 823.000.000 ritenendo che nell’oggetto della compravendita dovessero ricomprendersi anche i fabbricati insistenti sul terreno, valutati in L. 700.000.000.

I ricorsi proposti dalle parti contraenti S. e F. avverso l’atto di accertamento venivano rigettati con sentenza della Commissione Tributaria di 1 grado del 20.4.1993 n. 93/22/0331 e così anche l’appello proposto dal solo F. avverso tale sentenza che passava in giudicato (appello rigettato con sentenza della Commissione Tributaria di 2^ grado in data 16.1.1995).

Analogo avviso di accertamento in rettifica, per il maggior valore di L. 823.000.000, era stato notificato dall’Ufficio del Registro a F.A. in relazione alla compravendita del medesimo terreno intervenuta tra lo stesso F. e la società Marmoroma a r.l. con atto stipulato in data 29.7.1985. Nel successivo giudizio proposto dal F. e dalla società, avente ad oggetto la impugnazione di tale atto impositivo, la Commissione Tributaria di 1 grado con sentenza 5.7.1993 n. 93/06/0518, ritenuta insussistente la prova della esistenza dei fabbricati, disponeva che l’Ufficio provvedesse a nuova determinazione del valore.

In esito al giudizio di appello introdotto dall’Ufficio, in parziale riforma della sentenza impugnata -avendo omesso il giudice di primo grado di provvedere nel merito come disposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 67 -, la Commissione Tributaria di 2^ grado con sentenza depositata in data 10.3.1995 n. 48, rigettava i motivi di appello dell’Ufficio volti a riconoscere la esistenza dei fabbricati sull’area, e provvedeva a rideterminare, con criterio automatico, nell’importo di L. 132.000.000, il maggior valore imponibile dell’atto di compravendita intervenuto tra il F. e la Marmoroma s.r.l..

Avvalendosi del giudicato intervenuto “inter alios” relativo alla accertata inesistenza di corpi edificati sul terreno oggetto della compravendita tra il F. e la Marmoroma s.r.l., S.M. ha proposto ricorso D.Lgs n. 546 del 1992, ex art. 64 in relazione all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 2), per la revocazione della sentenza della Commissione Tributaria di 1 grado in data 20.4.1993 n. 93220331, passata in giudicalo, sul presupposto della sopravvenuta pronuncia dichiarativa della falsità della prova che era stata posta a fondamento di tale sentenza (stima attestante la esistenza dei soprassuoli effettuata dall’UTE in base alla quale era stato emesso l’avviso di accertamento di maggior valore notificato il 7.7.1987 comprensivo del terreno e dei fabbricati). Il ricorso della S. veniva accolto con sentenza della 22^ CTP di Roma n. 313/2002 che revocava la sentenza impugnata, con riduzione dell’accertamento di maggior valore della originaria compravendita intervenuta tra la S. ed il F., nell’importo di L. 132.000.000.

L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza revocatoria è stato rigettato con la sentenza della CTR di Roma depositata il 24.2.2005 n. 140/34/04 impugnata con ricorso per cassazione.

2. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza così motiva il rigetto dell’appello: “Il valore del solo terreno oggetto della prima vendita è stato determinato in base al criterio automatico di cui al D.P.R. n. 131 del 1986 in L. 132.000,000 con espressa esclusione delle accessioni delle quali veniva dichiarata la inesistenza nell’atto del secondo trasferimento registrato il 2/8/85, solo due anni dopo l’UTE ha rinvenuto l’immobile notificando avviso di accertamento avvenuto nel 7.07.87, l’Ufficio non ha fornito elementi probatori nuovi quali la certificazione urbanistica onde dimostrare il proprio assunto….

Rigettando ogni altra eccezione…”.

3. Gli atti introducivi del giudizio di legittimità.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno proposto ricorso per cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Roma depositata in data 24.2.2005 n. 140/34/04 che ha determinato in L. 132.000.000 l’accertamento, con criterio automatico D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 52 del maggior valore del terreno (libero da fabbricati) oggetto della compravendita stipulata in data 2.7.1985 tra S.M. e F.A., respingendo l’appello proposto dalla Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma sez. 22^ in data 7.10.2002 n. 313/22/2002 con la quale era stato accolto il ricorso proposto, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64 da S.M. per la revocazione della sentenza della Commissione Tributaria di 1^ del 20.4.1993 n. 93/22/0331, passata in giudicato, che aveva rigettato la impugnazione proposta dalla stessa S. avverso l’avviso di accertamento di maggior valore della predetta compravendita -per l’importo complessivo di L. 823.000.000, di cui L. 700.000.000 per le accessioni- e notificato il 7.7.1987.

I ricorrenti, precisato in Euro 464.81 1,21 il valore della causa, affidano il ricorso ad un unico motivo articolato in tre distinte censure, concludendo per la cassazione della sentenza impugnata con ogni consequenziale statuizione sulle spese di lite.

4. La difesa.

Ha resistito S.M. con controricorso concludendo per la inammissibilità ed infondatezza del ricorso, con conseguente pronuncia sulle spese di lite.

La intimata ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il motivo di impugnazione proposto.

1.2. la rubrica del motivo.

Il motivo di ricorso è rubricato “violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 64 e 65 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4)”.

1.3. la censura proposta con il motivo.

La parte ricorrente censura i seguenti “errores in procedendo”:

1.3.1- violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 65 essendo ampiamente decorso, alla data del 19.1.2000 di introduzione del giudizio revocatorio, il termine di decadenza di “trenta giorni dalla scoperta della falsità della prova” prescritto per la proposizione del ricorso in revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 2).

1.3.2.- violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 65 in relazione all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 2) per difetto di pregiudizialità dell’accertamento della falsità rispetto alla introduzione del giudizio revocatorio straordinario.

1.3.3.- violazione dl D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 65 in relazione all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 2) per difetto della condizione di ammissibilità dell’azione revocatoria consistente nel riconoscimento o dichiarazione della falsità della prova.

1.4. le argomentazioni addotte a sostegno del motivo di impugnazione.

Relativamente alla censura 1.3.1.:

il ricorso per revocazione straordinaria è stato proposto il 19 gennaio 2000 dunque “oltre cinque anni dalla presunta conoscenza” della sentenza della Commissione Tributaria di 2^ grado depositata in data 10.3.1995 (avente ad oggetto la seconda compravendita tra il F. e la Marmoroma s.r.l.) asseritamente dichiarativa della falsità della prova relativamente alla censura 1.3.2.:

– il giudizio revocatorio straordinario è stato introdotto quando ancora non risultava definito il giudizio relativo alla seconda compravendita essendo pendente la impugnazione proposta avanti la Commissione Tributaria Centrale, difettando in conseguenza un accertamento definitivo in ordine alla falsità della prova al tempo della proposizione del ricorso ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 2).

relativamente alla censura 1.3.3.:

l’asserito giudicato intervenuto “inter alios”, avente ad oggetto la seconda compravendita, ha accertato la inesistenza sul terreno dei fabbricati, ma non ha per ciò stesso dichiarato la falsità della stima UTE del 1987 (che aveva ritenuto la esistenza dei manufatti) posta a fondamento della sentenza della Commissione Tributaria di 1 grado in data 20.4.1993 passata in giudicato ed impugnala per revocazione dalla S.: difetta quindi una pronuncia di accertamento della falsità della prova che costituisce condizione di ammissibilità della domanda di revocazione straordinaria. Peraltro “l’accertamento in fatto risale a due periodi diversi”, intercorrendo ben due anni di distanza tra la Stima UTE del 1987 (che ha ritenuto esistenti i fabbricati) e la perizia giurata (che ha rilevato la inesistenza dei fabbricati) depositata nel giudizio definito nel 1995, non potendosi pertanto escludere che nelle more sia intervenuto un mutamento dello stato dei luoghi.

1.5. Il controricorso.

La parte resistente ha eccepito la inammissibilità del ricorso per errata e comunque incomprensibile formulazione del quesito di diritto.

Ha eccepito inoltre la inammissibilità del motivo di ricorso concernente la asserita decorrenza del termine di decadenza per la proposizione della revocazione straordinaria, non essendo stata indicata dai ricorrenti la norma di diritto violata (art. 396 c.p.c.).

Ha evidenziato, inoltre, quanto alla tempestività della impugnazione revocatoria, di aver proposto la azione di revocazione straordinaria dopo aver impugnato -con ricorso rigettato dalla CTP di Roma con sentenza 20.10.1998 – gli avvisi di liquidazione emessi nel 1996 dall’Ufficio – per complessive lire 919.839.000- sulla base della sentenza del 20.4.1993 di accertamento di maggior valore passata in giudicato, essendo venuta casualmente a conoscenza delle decisioni intervenute (inter alios) relative all’immobile in questione.

Ha rilevato altresì la infondatezza dei motivi di ricorso, richiamandosi interamente alle motivazioni delle sentenze revocatorie.

L’intimata ha altresì depositato in Cancelleria memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

2. Le questioni e le eccezioni pregiudiziali e preliminari.

2.1 Va preliminarmente dichiarata ex officio l’inammissibilità per difetto di legittimazione del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che non ha assunto la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svolto avanti la CTR di Roma, introdotto dalla sola Agenzia delle Entrate, in data successiva all’1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 3 (cfr. Corte cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).

2.2 Infondata è la eccezione di inammissibilità del ricorso per difettosa formulazione del “quesito di diritto” proposta dalla controricorrente.

L’onere di formulazione nel ricorso per cassazione del “quesito di diritto”, prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. (norma successivamente abrogata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47), è stato introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 47 e la norma trova applicazione esclusivamente ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto (2.3.2006), ipotesi che non ricorre nel caso di specie (sentenza CTR pubblicata il 24.2.2005).

2.3 Del pari infondata è la eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla resistente ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) per omessa indicazione delle norme di diritto su cui si fonda il motivo. La incompleta indicazione, nella “rubrica”, delle norme che si assumono violate non determina, infatti, la inammissibilità del ricorso laddove tale indicazione venga compiuta nello svolgimento del motivo Stesso (rimanendo in tal caso osservato il requisito di specificità del motivo di ricorso con riferimento alla “esposizione delle ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme”: Corte cass. n. 17125/2007): nella specie la parte ricorrente ha individuato in rubrica nel D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 64 e 65 le norme di diritto violate, e gli argomenti di diritto svolti nel ricorso a sostegno dell’unico motivo consentono di individuare la corrispondente norma processuale del codice di rito la cui errata applicazione e stata censurata in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 65 (“…in primo luogo, occorre osservare che la revocazione è inammissibile per decorrenza del termine di impugnazione, considerato che, ai sensi dell’art. 396 c.p.c., la parte può proporre giudizio di revocazione entro trenta giorni dalla scoperta della falsità della prova…..”: cfr. pag. 4 ricorso.), non essendo ostativo l’improprio riferimento all’art. 396 c.p.c. alla corretta individuazione della censura formulata in relazione alla rilevanza della data della scoperta della falsità della prova dichiarata giudizialmente ai fini della decorrenza del termine perentorio di impugnazione, potendo dunque accedere il ricorso al sindacato di legittimità per il denunciato vizio del procedimento, con conseguente potere-dovere della Corte, quale giudice del fatto-processuale, di procedere all’esame diretto ed alla interpretazione degli atti del giudizio di merito (cfr. da ultimo Cass. sez. lav. 22.7.2009 n. 17109; id. 14.1.2010 n. 488, ric. Ambesi res. Min. Interno).

3. La valutazione della Corte sulla fondatezza del motivo.

3.1 Venendo all’esame delle censure prospettate con il motivo di impugnazione, la Corte ritiene fondalo il motivo in relazione alla censura indicata sub. 1.3.1.

Premesso che nell’ambito del giudizio tributario è data una disciplina speciale dei termini perentori previsti per la proposizione del ricorso revocatorio straordinario, prescrivendo il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, comma 2 -cui rinvia l’art. 66 dello stesso D.Lgs.- che “nel caso di revocazione per i motivi di cui all’art. 395 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 6 il termine di sessanta giorni decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo, o sono state dichiarate false le prove, o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza che accerta il dolo del giudice”, rileva il collegio che la apparente non coincidenza del tenore letterale della norma processuale indicata (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, comma 2), rispetto alla formulazione testuale dell’art. 326 c.p.c. -secondo cui il “dies a quo” per la proposizione del ricorso in revocazione decorre dalla data della “scoperta” della falsità della prova – deve essere ricomposta e superata alla stregua del criterio di interpretazione sistematica e degli insegnamenti della Corte costituzionale in materia di processo tributario volti in particolare ad affermare il principio di effettività della tutela giurisdizionale, secondo cui le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in armonia con i valori della “tutela delle parti in posizione di parita”, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità” (sentenze Corte cost. nn. 189 del 2000 e 520 del 2002) e che, in particolare, le norme volte a paralizzare in limine l’accesso alla tutela, precludendo al giudizio di proseguire fino al suo naturale esito con la pronuncia sul merito-, “proprio per il loro rigore sanzionatorio, devono essere interpretate in senso restrittivo, e cioè riservando loro un limitato campo di operatività, comprensivo cioè di quei soli casi nei quali il rigore estremo dell’inammissibilità (vera e propria extrema ratio) è davvero giustificato” (Corte cass. 5^ sez. n. 6391/ 2006 ; conf. Cass 5^sez. 15.5.2008 n. 12185; Cass 5^ sez. n. 15444/2010; Cass. 5^ sez. 30.10.2005 n. 21170; Cass. 30.6.2006 n. 5159; vedi Cass. 14.5.2007 n. 1098).

Ritiene il collegio di uniformarsi agli indicati principi, dovendo in conseguenza essere individuato nel momento della scoperta della falsità della prova (e non nel momento della pronuncia dichiarativa della falsità), il “dies a quo” del termine di decadenza previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, comma 2 alla stregua dei seguenti elementi interpretativi:

a) la specialità del processo tributario non è ex se idonea a giustificare la diversa disciplina della decorrenza del termine prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51 e dall’art. 326 c.p.c.:

in particolare la diversa decorrenza del termine perentorio non risponde ad alcuna peculiare esigenza del processo tributario, non può giustificarsi in relazione alla natura del rapporto obbligatorio oggetto delle relative controversie, essendo identica la struttura del rimedio straordinario, previsto in caso di sopravvenuta dichiarazione di falsità della prova, nel giudizio civile ed in quello tributario, e rispondendo in entrambi i casi alla medesima necessità dell’ordinamento giuridico di bilanciare la esigenza di certezza e stabilità dei rapporti giuridici con la tendenziale intrinseca necessità della funzione giurisdizionale di impedire gli effetti di decisioni gravemente ingiuste;

b) a favore della tesi interpretativa volta a ravvisare una “mera imprecisione lessicale” nella formulazione letterale del testo del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, comma 2 depone inoltre il confronto testuale con l’art. 64, comma 2 del medesimo decreto legislativo:

quest’ultima norma – corrispondente all’art. 396 c.p.c. – prevede, infatti, che la “scoperta” della falsità dichiarata (giudizialmente) deve sopravvenire alla formazione del giudicato (alla scadenza del termine per proporre appello), dando quindi inequivoco rilievo al momento della conoscenza della dichiarazione giudiziale della falsità della prova da parte del ricorrente in revocazione, tanto più apparendo illogica una differenziazione della decorrenza del termine di decadenza, nell’art. 326 c.p.c. e nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, comma 2 riferita esclusivamente alla ipotesi revocatoria straordinaria di cui all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 2), mantenendo invece identica, entrambe le norme processuali in confronto, la decorrenza del termine perentorio per tutte le altre ipotesi di revocazione straordinaria previste dai nn. 1, 3 e 6 del medesimo art. 395 c.p.c., differenziazione che appare ulteriormente incoerente sotto il profilo sistematico, avuto riguardo alla complessiva disciplina processuale del giudizio di revocazione dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992 che, per il resto, risulta del lutto corrispondente a quella disciplinata dal codice di rito (cfr.

D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64, comma 1 – art. 395 c.p.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64, commi 2 e 3 – art. 396, commi 2 e 3; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 65, comma 2 – art. 398 c.p.c., comma 2; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 65, comma 2 – art. 400 c.p.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 67, comma 1 – art. 402 c.p.c., comma 1; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 67, comma 2 – art. 403 c.p.c., comma 2);

c) la mera interpretazione letterale della norma del processo tributario verrebbe, peraltro, ad esporta a sospetto di illegillimità costituzionale – sotto il profilo della violazione del criterio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost.- laddove, individuando la decorrenza del termine perentorio della proposizione della revocazione straordinaria “dalla data della pronuncia” di falsità della prova (anzichè dalla scoperta), si limiterebbe in modo ingiustificato la tutela giurisdizionale della parte rimasta ignara, per fatto alla stessa non imputabile, dell’intervenuto accertamento della falsità della prova.

3.2 Tanto premesso osserva il collegio che non vi è motivo di discostarsi dai principi di diritto affermati da questa Corte in tema di ammissibilità della domanda di revocazione secondo i quali:

la esatta individuazione della data in cui si è verificato l’evento indicato dall’art. 395 c.p.c. (scoperta del dolo o della falsità o recupero dei documenti), rilevante agli effetti della decorrenza del termine di impugnazione, prescritta, a pena di inammissibilità della domanda, dall’art. 398 c.p.c., comma 2 (e dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 65, comma 2 in materia di processo tributario), “deve essere fin dall’inizio di chiara ed immediata percezione, di guisa da consentire la possibilità di accertare l’osservanza o meno del termine perentorio di impugnazione ” (Cass. 11 sez. 18.2.1963 n. 387) e costituisce, pertanto, un onere di allegazione della parte istante, oggetto di un preciso “thema probandum”, in quanto consente di dare ingresso al giudizio rescindente;

– è onere, pertanto, di colui che agisce in revocazione indicare, a pena di inammissibilità della domanda, le prove rilevanti ai fini dell’accertamento del dies a quo di decorrenza dei termini perentori relativi alle diverse ipotesi previste dall’art. 395 c.p.c., nonchè richiedere l’espletamento delle predette prove sulle circostanze indicate nell’atto introduttivo, al fine di fare risultare in concreto la tempestività della impugnazione nei termini perentori di cui all’art. 326 c.p.c. (Corte cass. 3^ sez., 28.5.1968 n. 1627);

ne consegue che non vale ad escludere la sanzione di inammissibilità, la integrazione di tali indicazioni negli atti difensivi successivi a quello introduttivo, nè la eventuale indagine compiuta dal giudice intesa a precisare il giorno della scoperta che verrebbe a risolversi in una “relevatio ab onere probandi” della parte non consentita (Corte cass. 1^ sez. 7.4.1971 n. 1030; Corte cass. SU 11.6.1973 n. 1670 -che evidenzia altresì la esigenza che la controparte sia messa immediatamente in grado di apprestare le proprie difese anche in relazione alla tempestività della impugnazione revocatomi-; Cass. sez. lav. 21.6.1983 n. 4289);

inoltre la parte istante per assolvere compiutamente all’onere di provare il momento in cui è venuta a conoscenza del riconoscimento o della dichiarazione della falsità della prova sulla base della quale è stata pronunciata la sentenza revocando “non può limitarsi ad affermare di essere venuta a conoscenza del fatto dedotto a motivo di revocazione per una determinata circostanza e in un momento determinato, ma deve dedurre la prova non solo di quella circostanza, ma anche del fatto che essa escluda, secondo un ragionamento realistico, sul piano fattuale e logico, l’eventualità di una conoscenza anteriore, tanto più quando il fatto rivelatore sia anticipatamente ipotizzatile e prevedibile e la presa di conoscenza di esso dipenda da una minima attivazione dell’interessato, in particolare, ai fini dell’individuazione del termine di decorrenza per la proposizione del ricorso per revocazione, la prova della data dell’avvenuta dichiarazione o del riconoscimento della falsità della prova concerne la conoscenza effettiva e non la conoscenza “legale” di tali fatti e deve essere tale da escludere che, secondo criteri di ragionevolezza, considerata la peculiarità del caso concreto, l’interessato fosse venuto ancor prima a conoscenza della dedotta declaratoria di falsità ” (Corte cass. sez. lav. 14.7.2005 n. 14821;

Cass. 1^ sez. 18.2.1986 n. 950 secondo la quale ai fini dell’indicazione delle prove che, a pena d’inammissibilità”, deve essere contenuta nella citazione introduttiva del giudizio di revocazione, è sufficiente che si enunci il tipo di prova offerto (non escluse le presunzioni) e si indichino con gli opportuni dettagli le circostanze in cui è avvenuta la scoperta del dolo o della falsità).

3.3 Orbene venendo ad applicare i predetti principi alla fattispecie sottoposta all’esame di questa Corte, risulta che il ricorso per la revocazione del sentenza della Commissione Tributaria di 1^ di Roma del 20.4.1993 n. 93/22/0331, proposto dalla S. con atto notificato in data 19.1.2000 e depositato in data 7.2.2000, non conteneva alcuna specifica allegazione, nè tanto meno indicazione di mezzi di prova, in ordine alla individuazione della data in cui la ricorrente era venuta a conoscenza della dichiarazione di falsità della prova (asseritamente pronunciata dalla Commissione Tributaria di 2^ grado di Roma con sentenza deliberata in data 20.1.1995 e depositata in data 10.3.1995 n. 48 resa tra il F., Marmoroma s.r.l e l’Ufficio finanziario), circostanza confermata, peraltro, dalla stessa intimata nel controricorso (pag. 11) ove afferma che “il ricorso per revocazione è stato proposto soltanto quando casualmente la dott.ssa S. è venuta a conoscenza delle decisioni intervenute e relative all’immobile de qua”.

Ne consegue che, indipendentemente dalla prova presuntiva della effettiva conoscenza della sentenza n. 48/1995 da parte della S. al momento della data 10.3.1995 di pubblicazione della stessa, che la parte ricorrente desume “dagli atti……in assenza di dichiarazione espressa” contenuta nell’atto introduttivo del giudizio rescindente (cfr. pag. 4 ricorso), il Giudice della sentenza gravata per cassazione non ha fatto corretta applicazione delle norme processuali (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64 e art. 65, comma 2) che gli imponevano di dichiarare inammissibile il ricorso per revocazione, privo della indicazione essenziale della data della conoscenza della falsità della prova dichiarata giudizialmente, in difetto della prova della tempestività della impugnazione.

4. La decisione sul ricorso e sulle spese.

4.1 Il ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate deve in conseguenza essere accolto in relazione alla prima censura (inammissibilità del ricorso in revocazione per decorso dei termini perentori di impugnazione), rimanendo assorbiti gli altri motivi dedotti in relazione alla seconda e terza censura.

La sentenza impugnata deve essere, in conseguenza, cassata senza rinvio e, non occorrendo procedere ad ulteriori accertamenti di fatto, va dichiarato inammissibile per decorrenza del termine perentorio D.Lgs. n. 54 del 1992, ex art. 51, comma 2 il ricorso per revocazione della sentenza Commissione Tributaria di 1 di Roma del 20.4.1993 n. 93/22/0331, proposto da S.M. con atto notificato in data 19.1.2000 e depositato in data 7.2.2000.

4.2 Attesa la soccombenza la intimata è tenuta a rifondere le spese del giudizio di cassazione e dei gradi di merito come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE – dichiara il difetto di legittimazione a ricorrere del Ministero della Economia e delle Finanze;

– accoglie il ricorso, quanto al primo motivo, dichiarando assorbiti gli altri motivi, e per l’effetto cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile per decorrenza del termine perentorio D.Lgs. n. 54 del 1992, art. 51, comma 2 il ricorso per revocazione della sentenza della Commissione Tributaria di 1 di Roma del 20.4.1993 n. 93/22/0331, proposto da S.M. con atto notificato in data 19.1.2000 e depositato in data 7.2.2000.

Condanna la parte resistente alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 8.500,00 per onorari oltre le spese prenotate a debito, nonchè delle spese dei gradi di merito che si liquidano in Euro 720,00 per onorari , Euro 1.033,00 per diritti, per il primo grado, ed Euro 3.080,00 per onorari, Euro 1.033,00 per diritti, per il giudizio di appello.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2011

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