Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1145 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 29/01/2020, dep. 21/01/2021), n.1145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28233-2014 proposto da:

F.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO SAVATTERI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

sul ricorso 28235-2014 proposto da:

PNEUS ITALIA SAS, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO SAVATTERI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

sul ricorso 28237-2014 proposto da:

F.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO SAVATTERI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

sul ricorso 28239-2014 proposto da:

PNEUS ITALIA SAS, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO SAVATTERI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso le sentenze n. 485/2014, 486/2014, 488/2014 e 489/2014 della

COMM. TRIB. REG. di TORINO, depositate il 01/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/01/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dall’avviso di accertamento emesso dalla Agenzia delle Entrate di Torino n. (OMISSIS) nei confronti di F.R., con il quale era determinata una maggiore pretesa fiscale ai fini irpef, a seguito della rettifica del reddito di impresa della società Pneus Italia sas, e tenuto conto della partecipazione sociale al 50% del socio F., aveva rettificato anche tale reddito.

In particolare l’Agenzia delle Entrate basava l’accertamento sulla circostanza che la Ma. Gomme srl aveva inviato nel corso del 2004 alla Pneus Italia, pneumatici tramite società fittiziamente interposte, in tal modo eludendo il pagamento dell’iva.

Presentava ricorso il contribuente F., eccependo: l’illegittimità della ricostruzione operata, omessa motivazione e comunque contraddittoria, mancato assolvimento da parte dell’ufficio dell’onere probatorio.

La Commissione Tributaria Provinciale di Torino respingeva il ricorso, essendo stata provata, sulla base di presunzioni precise, gravi e concordanti, la cd frode carosello da parte della agenzia.

Avverso la predetta sentenza era proposto appello dal contribuente. La Commissione Regionale con sentenza dell’11.12.2013 n. 489/26/14 confermava la decisione di primo grado.

Propone ricorso in Cassazione il contribuente F.R. affidandosi a vari motivi così sintetizzabili:

i) nullità della sentenza e del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 14, comma 1 e art. 29 e dell’art. 102 c.p.c.;

2) Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3). Violazione dell’art. 2697 c.c. e violazione dell’art. 115 c.p.c.;

3) violazione o falsa applicazione delle norme di diritto art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

4) violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

5) violazione e falsa applicazione di norme di diritto comma 1, n. 3 c.p.c.).

Si costituiva con controricorso l’Agenzia delle Entrate chiedendo il rigetto del ricorso.

Con distinti ricorsi, ma di contenuto analogo, proponevano ulteriori ricorsi in cassazione sia la società Pneus Italia sas, avverso le sentenze della ctr del Piemonte n. 485/26/14, e n. 486/26/14, che l’attuale ricorrente avverso la sentenza della ctr Piemonte n. 488/26/2014.

Anche in tali procedimenti si costituiva l’Agenzia delle Entrate.

I procedimenti erano riuniti nella camera di consiglio del 29.1.2020, per connessione parzialmente soggettiva ed oggettiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo nei distinti ricorsi, si assume la violazione del contraddittorio, non essendo state evocate in giudizio tutte le parti interessate direttamente dalla decisione, non avendo il giudice di primo grado nè quello di appello proceduto alla riunione dei procedimenti sia della società di persone che dei soci.

Il motivo è infondato. La Suprema Corte ha già affermato che “nel processo di cassazione, in presenza di cause decise separatamente nel merito e relative, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone ed alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, non va dichiarata la nullità per essere stati i giudizi celebrati senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (società e soci) in violazione del principio del contraddittorio. Nel caso concreto i ricorsi della società e dei soci erano caratterizzati dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, anzi il contenuto degli stessi era anche caratterizzato da identità oggettiva. Essendo stati i ricorsi esaminati dallo stesso collegio, in maniera strettamente coordinata e per altro nella stessa udienza, con sentenze analoghe, deve escludersi in concreto la violazione del litisconsorzio nell’ambito del primo grado.

Con riferimento alla posizione dell’altro socio L.D.M., la stessa ha ritenuto di non proporre appello avverso la decisione di primo grado che la riguardava, con cui era ritenuto inammissibile il proprio ricorso per difetto di procura. In tal caso, la ricomposizione dell’unicità della trattazione nei successivi gradi non era più possibile. In simili circostanze, non è più possibile disporre che il processo ricominci da capo mediante rimessione al giudice di secondo grado, essendo destinato ad una conclusione che risulta già ineluttabilmente segnata, essendo divenuto ormai definitivo, in conseguenza della formazione del giudicato, la pretesa fiscale nei confronti del socio D. per sua scelta processuale, in alcun modo sindacabile.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Nel caso di specie l’Ufficio ha ritenuto che le operazione commerciali oggetto delle fatture, non erano state poste in essere, o non lo erano state tra i soggetti che figuravano nella fatture. Non può mettersi in discussione che tale prova possa essere fornita anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, (analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 39, comma 1, lett. d) (cfr. Cass. 21953/07, che fa riferimento alla possibilità che l’amministrazione produca elementi anche indiziari a sostegno della pretesa fiscale azionata), e nel caso l’Agenzia aveva dedotto che le fatture si inserivano in una frode cd. “carosello”. Anche la stessa Corte Europea mostra di valorizzare appieno la prova indiziaria o presuntiva, laddove afferma che la sussistenza di “indizi”, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente delle fatture, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi. In difetto, non potrà che essere escluso – per le ragioni suindicate – il diritto del medesimo alla detrazione di imposta (C. Giust. CE, 21.6.12, cit.).

Va ribadito, quindi, che (secondo un principio giurisprudenziale ormai consolidato) in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta, che all’IVA, la legge – rispettivamente del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto solo a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi dell’art. 2727 c.c. e ss. e dell’art. 2697 c.c., comma 2″ (Sez. 5, Sentenza n. 9784 del 23/04/2010, Rv. 612593 – 01). Nel caso il giudice ha ritenuto che la prova risultava dal PVC, e dalla circostanza che la Ma. Gomme srl aveva solo formalmente ceduto pneumatici alla alla società monegasca Pneus al prezzo di 228.081,85, pneumatici che dopo ulteriori passaggi alle società interposte Elios srl e Saturn srl erano acquistati dalla Pneus italia sas al prezzo di 195770,10.

Inoltre nella stessa sentenza si evince che le società Elios e Saturn (secondo il PVC) non avevano struttura e personale dipendente, nè tali società avevano provveduto a versare l’Iva. A fronte degli elementi di prova presuntiva forniti dall’amministrazione attraverso la motivazione dell’accertamento, veniva a ricadere, quindi, sul contribuente l’onere di fornire la prova piena in ordine all’esistenza effettiva, delle prestazioni documentate dalle fatture in contestazione. Nel caso il giudice ha anche specificato che non si potesse ritenere fornita la prova contraria da parte del contribuente essendo irrilevante la documentazione fiscale fornita, in quanto l’accertamento induttivo analitico poteva essere emesso anche in presenza di una contabilità formalmente regolare. In altri termini la Ctr ha, invero, del tutto coerentemente ancorato la pretesa fiscale alla luce dei principi sopra ampiamente esposti che le operazioni oggetto di dette fatture fossero soggettivamente inesistenti escludendo il diritto della società ricorrente alla detrazione dell’IVA ed alla deduzione dei costi documentati nelle fatture in contestazione, ritenendo che la mera regolarità formale e fiscale delle operazioni documentate non valessero di per sè -. Inoltre la CTR ha inteso anche motivare circa la consapevolezza, da parte della medesima, di partecipare ad un’operazione fraudolenta, visto che l’emittente non ha versato l’iva, dovendo, anzi rilevarsi la presenza in atti, di elementi sintomatici di tale consapevolezza anche considerando la sostanziale identità del nome della società monegasca Commercial Pneus, primo formale acquirente estero, con il destinatario finale Pneus Italia sas, tramite intermediari privi di qualsiasi organizzazione. Ne consegue che la decisione impugnata non è incorsa in alcuna violazione di legge, attenendosi al principio costantemente affermato secondo cui l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con il quale l’Ufficio finanziario procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, è consentito, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (Cass., sez. trib., 05-10-2007, n. 20857).

Va ricordato, il principio che in genere rimane sottinteso, data la sua ovvietà, ma nel caso non pare essere stato ben ponderato dai ricorrenti, secondo cui il giudizio di cassazione ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità del processo logico seguito, e siccome il relativo profilo di fatto (l’essere stata effettuata una triangolazione tra soggetti al fine di evadere l’iva) costituisce apprezzamento demandato al giudice di merito e, come tale, di per sè incensurabile in sede di legittimità non risolvendosi nè in una violazione di legge nè in un difetto di motivazione, anche il secondo motivo è infondato.

Il terzo motivo ed il quarto motivo è da rigettare in quanto la parte mette in discussione ancora una volta la fittizietà delle fatture, questione già esaminata sopra. Una volta accertata la fittizietà delle fatture correttamente era recuperata l’iva, fraudolentamente non versata dal cedente, di cui la società ricorrente era consapevole, nè tale fattura di acquisto costituiva costo da detrarre non documentando la realtà economica in essa trasfusa.

Con il quinto motivo i ricorrenti deducono la violazione della applicazione dello ius superveniens. Infatti, riguardo alle imposte sui redditi, a norma della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, (nella formulazione introdotta con il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, conv. in L. n. 44 del 2012) sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una frode carosello), per il solo fatto che essi sono sostenuti, anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del TUIR siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità. (Cass. 10167/12; conf. 3258/13, 12503/13, 21992/13, 24429/13, 1565/14).

Inoltre, in base a tale disposizione, non sono deducibili i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo (Cass. 5342/13). In altri termini solo relativamente a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati, le fatture non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica. Trattasi di disciplina che ha effetto retroattivo, atteso il tenore del richiamato art. 8, comma 3, (C. Cost. 190/12 e 248/12; conf. Cass. 5342/13, 8011/2013 e 27797/13), la cui pertinenza al caso di specie impone il rilievo anche ex officio (Cass. 661/14). Non rileva, in questa sede, delibare la portata dell’espressione direttamente utilizzati, onde verificare se la stessa comprenda soltanto i costi dei beni e servizi direttamente sostenuti per la commissione di un delitto non colposo, ovvero anche quelli strumentali o correlati ad attività illecite (es. costi di beni e servizi acquistati per una finalità lecita ma concretamente adoperati per commettere il delitto). Infatti, l’art. 8 cit. precisa una regola per l’accertamento tributario ai fini delle imposte sui redditi senza riflesso sulla responsabilità penale in dipendenza delle condotte punite dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 (Cass. 661/14; conf. Cass. pen. 41694/13, 29061/13, 40559/12; vedi Cass. pen. 36916/13). Peraltro, nella specie, va osservato da un lato che i pneumatici acquistati dalla Pneus Italia sas non sono stati utilizzati per commettere reati ma per essere commercializzati, nè risulta esercitata alcuna azione penale nei confronti della Pneus o dei suoi soci. Tanto premesso, la novella del 2012, pienamente applicabile al caso in esame, non supera affatto – anzi rafforza – il tema pregiudiziale dell’inerenza del costo che il contribuente intende dedurre ove questo tragga origine da un’operazione soggettivamente inesistente. L’eventuale reato (peraltro neppure specificato formalmente) riguardava solo l’evasione iva, e quindi l’iva senza dubbio non poteva essere detratta, ma non certamente il costo per l’acquisto dei pneumatici. Ne deriva che, alla luce dello ius superveniens, non è possibile ritenere che i costi per le operazioni contestate, sebbene solo soggettivamente inesistenti, fossero di per sè stessi indeducibili dal reddito assoggettabile ad IRPEF, nonchè dalla produzione lorda soggetta ad IRAP. Pertanto la Ctr avrebbe dovuto constatare se si trattasse di costi effettivamente sostenuti e correttamente imputati al conto economico dell’esercizio di competenza, ovverosia di elementi negativi concorrenti a determinare il reddito netto dell’impresa, a prescindere dall’eventuale falsità ideologica delle relative fatture circa il cedente, e proprio tale valutazione è mancata nel caso in esame. Poichè tale verifica non è possibile effettuare in sede di legittimità, va devoluta al giudice di merito in sede di rinvio, il quale dovrà accertare se si tratti di costi che, a norma del TUIR, siano concretamente rispettosi dei principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

Pertanto il motivo in questione va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, sul punto, con rinvio alla ctr del Piemonte in diversa composizione che riesaminerà nel merito la questione e regolerà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riuniti i ricorsi n. 28233, 28239, 28235, 28237, del 2014 rigetta i motivi nn. 1, 2, 3, 4, accoglie il solo 5 motivo, cassa la decisione impugnata e rinvia alla ctr di Torino, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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