Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11446 del 10/05/2017


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Cassazione civile, sez. I, 10/05/2017, (ud. 10/11/2016, dep.10/05/2017),  n. 11446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26059/2011 proposto da:

CONFEMI – CONSORZIO FERROVIARIO MILANESE (c.f./p.i. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE DEGLI SCIPIONI 288, presso l’avvocato

BENEDETTO GIOVANNI CARBONE, che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati SERGIO COLOMBO, CARMINE PUNZI, giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E TRASPORTI, in persona del Ministro

pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

contro

FERROVIENORD S.P.A.;

– intimata –

nonchè da:

FERROVIENORD S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), già Ferrovie Nord Milano

Esercizio S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso

l’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato EZIO ANTONINI, giusta procura in calce al controricorso

e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

CONFEMI – CONSORZIO FERROVIARIO MILANESE (c.f./p.i. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE DEGLI SCIPIONI 288, presso l’avvocato

BENEDETTO GIOVANNI CARBONE, che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati SERGIO COLOMBO, CARMINE PUNZI, giusta procura in calce

al ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1868/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Presidente Dott. SALVATORE SALVAGO;

uditi, per il ricorrente, gli Avvocati ANTONIO D’ALESSIO, con delega,

e BENEDETTO GIOVANNI CARBONE che hanno chiesto l’accoglimento del

ricorso principale;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale FERROVIENORD

S.P.A., l’Avvocato EZIO ANTONINI che ha chiesto l’accoglimento del

proprio ricorso;

udito, per il controricorrente MINISTERO, l’Avvocato ETTORE FIGLIOLIA

che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del quarto

motivo del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Milano con sentenza del 4 ottobre 2005, dichiarò nullo il contratto addizionale (OMISSIS), stipulato tra le Ferrovie Nord Milano s.p.a. (FNME) ed il Consorzio CONFEMI per la costruzione della tratta ferroviaria (OMISSIS) perchè affidato a trattativa privata, in violazione delle norme sull’evidenza pubblica a seguito di atti di corruzione da parte dei dirigenti ed amministratori del Consorzio nonchè delle società consorziate nei confronti di quelli delle Ferrovie cui erano state versate ingenti somme di denaro e promessa una percentuale delle opere assegnate con tale criterio illegittimo: perciò oggetto di una serie di procedimenti penali conclusi, alcuni con sentenze di patteggiamento della pena ex art. 444 c.p., ed altri con sentenze irrevocabili di condanna di tutti gli imputati coinvolti nella corruzione. Compensò le somme dovute restituire dal Consorzio con i corrispettivi dei lavori eseguiti, dovuti da FNME a titolo di indebito arricchimento per le opere realizzate e lo condannò a corrispondere alle Ferrovie la differenza liquidata nella misura complessiva di Euro 43.716.405,90, oltre accessori.

Con sentenza del 23 dicembre 2011, 1a Corte di appello di Milano ha determinato in Euro 69.905.807 l’indennizzo spettante alla CONFEMI per l’arricchimento ed in Euro 113.415.630 l’importo delle somme da restituire a FNME, respingendo nel resto l’impugnazione del Consorzio in quanto: a) la nullità del contratto discendeva direttamente dall’accordo criminoso che lo aveva generato, accertato in sede penale in base ad innumerevoli elementi secondo la giurisprudenza utilizzabili in questo processo, i quali dimostravano come per attribuire (anche) quest’appalto al Consorzio, erano state violate le norme imperative a presidio dell’evidenza pubblica, nonchè per la scelta ed il mercato delle imprese più affidabili e tecnicamente organizzate; b) andava ribadita la restituzione dell’indebito oggettivo percepito dalla CONFEMI in esecuzione del contratto nullo, pari ad Euro 113 milioni circa; così come quella sull’indebito arricchimento da parte di FNME che nel giugno del 1996 aveva preso in consegna le opere realizzate dal Consorzio, utilizzandole regolarmente; c) al relativo indennizzo andava tuttavia aggiunto l’importo di 400 milioni pari al costo dei lavori, cui CONFEMI aveva rinunciato a seguito di una transazione, pur essa travolta dalla nullità del contratto; d) Ferrovienord avrebbe avuto diritto anche al danno non patrimoniale ammissibile anche a favore delle persone giuridiche e tuttavia nella fattispecie non liquidabile perchè non era stato allegato alcun parametro onde consentirne la valutazione equitativa. Per la cassazione della sentenza, CONFEMI ha proposto ricorso per 6 motivi, illustrati da memoria; cui resistono sia il Ministero delle Infrastrutture, che Ferrovienord s.p.a. (succeduto a FNME): quest’ultima ha formulato altresì ricorso incidentale per 3 motivi.

Diritto

RAGIONE DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo, Confemi, deducendo violazione dell’art. 112 c.p.c., si duole dell’omessa pronuncia da parte dei giudici di appello sulla propria eccezione di giudicato in merito alla precedente sentenza della stessa Corte milanese 224/2003 tra le stesse parti, che, decidendo su altro appalto di lavori ferroviari nel medesimo periodo aveva ritenuto la validità del contratto, smentendo le generiche affermazioni del Tribunale sull’esistenza di un accordo corruttivo tra i dirigenti di FNME e quelli del Consorzio; e soprattutto di un collegamento genetico tra detto accordo e l’atto addizionale (OMISSIS), peraltro finalizzato alla realizzazione di opere ferroviarie realmente necessare nell’ambito di un vasto programma di ammodernamento della rete, a prezzi assolutamente regolari. Rileva che la sentenza impugnata, senza prendere in considerazione detto giudicato, si era limitata a recepire acriticamente il castello accusatorio prospettato dalla controparte e tratto da un’inchiesta penale, in tal modo violando l’obbligo di pronunciarsi su tutte le domande e le eccezioni formulate dalla parte, nonchè su circostanze di fatto comunque idonee a comportare una decisione diversa.

Con il secondo, denuncia l’esistenza di numerosi vizi di motivazione sui presupposti della dichiarata nullità del contratto addizionale, senza considerare: a) che il suddetto contratto del (OMISSIS) era conseguente alla convenzione c.d. base del 1985 e da questa previsto nell’art. 5, per cui era stato stipulato alle medesime condizioni ed ai medesimi prezzi del contratto originario; b) che lo stesso si era concluso con una transazione contenuta nel verbale di accordo 15 dicembre 1995, con cui essa società su proposta del Ministero aveva concesso a FNME uno sconto di Lire 440 milioni e rinunciato alla variazione degli indici dei prezzi successiva al 31 dicembre 1994; c) che l’affidamento diretto era stato giudicato legittimo da uno specifico parere del Consiglio di Stato, rientrava nell’ambito di un complesso programma di progetti di ammodernamento e di costruzioni approvato con D.M. 18 gennaio 1984 e D.M. 2 maggio 1984, e rispondeva perfettamente alla fattispecie prevista dalla L. n. 584 del 1977, art. 5, lett. g, di cui lo stesso Ministero aveva chiesto l’applicazione; d) che le c.d. prove raccolte nei procedimenti penali erano generiche ed evanescenti, anche perchè la quasi totalità di essi si era conclusa con sentenza di patteggiamento della pena; e soprattutto non rivelavano alcun collegamento tra i reati di corruzione e la genesi, nonchè a maggior ragione, il contenuto del contratto addizionale, nè vi era prova alcuna della loro influenza sulla causa ovvero sui motivi per cui detta convenzione era stata conclusa.

Con il terzo, deducendo ulteriori vizi di motivazione, nonchè violazione della L. n. 1 del 1978, art. 12 e del R.D. n. 1447 del 1912, censura la sentenza impugnata per aver insistito sulla necessità dei procedimenti ad evidenza pubblica come condizione per la stipula dell’atto addizionale malgrado gli stessi non fossero previsti dalla normativa del 1912 tuttora vigente sulla concessione di opere e quella del 1978 non fosse applicabile alle opere ferroviarie almeno fino alla Direttiva 90/531/CEE: soltanto il D.M. 30 marzo 198, n. 491, aveva imposto ai contraenti l’osservanza della normativa contenuta nella L. n. 584 del 1977, il cui art. 5, consentiva il ricorso alla trattativa privata, per cui l’asserita inosservanza di queste disposizioni, applicabili per una scelta pattizia, in nessun caso poteva tradursi nella violazione di una norma imperativa.

3. Tutte queste censure sono infondate.

La sentenza impugnata, dopo avere riferito minuziosamente, e confrontato, le contrapposte difese delle parti, ha recepito come già il Tribunale, la ricostruzione della vicenda offerta da Ferrovienord perchè assolutamente aderente alle risultanze istruttorie (Cass. 16130/2009), ribadendo in particolar modo: A) che in seguito a convenzione del 19 luglio 1985 con cui FNME aveva attribuito mediante licitazione privata al Consorzio CONFEMI i lavori di raddoppio dei binari (da anni in esercizio) della tratta ferroviaria (OMISSIS), durante il biennio 1986-1987, tra gli amministratori della stazione appaltante e quelli della CONFEMI, era stato concordato un programma criminoso, accertato in sede penale, cui avevano aderito gli amministratori delle imprese consorziate, in forza del quale tutte le successive opere in quel periodo finanziate dallo Stato per l’ammodernamento della rete regionale sarebbero state affidate al medesimo appaltatore a trattativa privata: in violazione delle normative sull’evidenza pubblica ed in cambio di una c.d. tangente nella misura del sull’ammontare complessivo dei lavori assegnati (e/o che sarebbero stati in futuro assegnati) da corrispondere ai dirigenti nonchè agli amministratori della stazione appaltante che avevano dato esecuzione all’accordo; B) che quest’ultimo aveva generato in particolare, il contratto (OMISSIS), stipulato dal presidente pro tempore di FNME F. e da quello del Consorzio Fi. con il quale era stata affidata al suddetto appaltatore, sempre a trattativa privata, la costruzione ex novo della tratta ferroviaria (OMISSIS) onde garantirne il collegamento con la città di (OMISSIS); e che in cambio di questa come delle altre assegnazioni contra legem, il F. e gli altri amministratori consenzienti avevano ricevuto durante lo svolgimento dell’appalto man mano che i lavori venivano eseguiti ed i finanziamenti concessi, notevoli somme di denaro accertate dall’inchiesta giudiziaria in non meno di Lire 3 miliardi 400 milioni; C) che il collegamento genetico tra l’accordo corruttivo e la conclusione con tale modalità del contratto, non si era limitato a consentire l’elusione delle norme sull’evidenza pubblica onde assicurare comunque l’assegnazione dell’appalto al Consorzio, ma si era esteso alla predisposizione del suo intero contenuto, ed in special modo dei compensi che venivano garantiti all’appaltatore (ed alle consorziate), in quanto: c1) a fronte di un formale ribasso del prezzo offerto, veniva mantenuta la particolare clausola caratterizzante il precedente contratto del 1985 che prevedeva un incremento del 25% su ogni genere di tariffa, prezzo e compenso (anche a corpo), ivi giustificata dal fatto che quei lavori dovevano essere compiuti senza interrompere il traffico ferroviario in atto e ne dovevano quindi essere retribuiti i maggiori costi sopportati dall’imprenditore per eseguirli in tali condizioni più onerose onde garantire comunque l’incolumità dei lavoratori, nonchè la sicurezza della circolazione dei treni; laddove tale situazione non era neppure configurabile nella costruzione di una tratta ferroviaria nuova, quale era quella per l’Aeroporto; c2) era stata altresì aggiunta “una forma di indicizzazione del corrispettivo, detta revisione prezzi” (pag. 41-42 ricorso), malgrado il divieto di una previsione preventiva al riguardo posto non soltanto dalla L. 37 del 1973, ma specificamente ribadito per le opere ferroviarie dalla L. n. 377 del 1974, art. 8, e da ultimo confermato dalla L. n. 41 del 1986, art. 33; c3) per effetto di queste ed altre illecite pattuizioni cui era finalizzata la corruzione, il costo preventivo del nuovo appalto lievitava a tal punto da raggiungere il maggiore importo – calcolato dalle Ferrovie (pag. 27 controric.), senza alcuna contestazione del Consorzio – del 50% in più rispetto alla convenzione base del 1985, di cui pur avrebbe dovuto costituire un mero atto addizionale: apparso talmente abnorme allo stesso appaltatore da indurlo (su sollecitazione del Ministero) con ulteriore accordo del 1995 a concedere ad FNME “uno sconto incondizionato forfettario di Lire 400.000.000 sull’importo dei lavori contrattuali non ancora eseguiti”, nonchè a rinunciare al compenso revisionale per gli indici maturati successivamente al 31 dicembre 1994 (pag.7-8 ric.).

Pertanto non è seriamante contestabile la ricorrenza di entrambe le fattispecie di nullità del contratto stabilite dagli artt. 1343 e 1418 c.c.: anzitutto per l’illiceità della sua causa concreta (all’evidenza intesa quale sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello astratto utilizzato: Cass. sez. un. 6538/2010, nonchè 23941/2009), in quanto finalizzata a realizzare un pregresso accordo criminoso corrispondente all’attività vietata dall’ordinamento e penalmente sanzionata nell’interesse pubblico generale con i reati di corruzione: in tal modo perseguendo attraverso la stipulazione dell’atto, la scelta del suo contenuto e l’esecuzione dell’appalto, il risultato vietato dalle norme imperative onde tutelare il buon andamento e l’imparzialità della amministrazione (Cass. 19220/2015; 3672/2010; 24769 ed 11031/2008). E quindi perchè l’area delle norme inderogabili di cui all’art. 1418 c.c., comma 1, ricomprende, oltre le disposizioni relative al contenuto dell’atto, anche quelle che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive e soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipula stessa del contratto, ponendo la sua esistenza in contrasto con la norma imperativa, e non consentendo alcuna possibilità di esenzione dalla relativa osservanza; per cui correttamente è stata dichiarata, pure sotto tale specifico profilo, la nullità del contratto (OMISSIS) per contrasto con norme imperative anche perchè l’omesso svolgimento della gara di appalto (di cui si dirà specificamente avanti) ha integrato nel caso non solo un vizio concernente l’attività negoziale della stazione appaltante, ma anche e soprattutto gli estremi dei reati accertati dall’inchiesta penale (8066/2016; 8462/2014; 25222/2010; sez. un. 26724/2007).

4. D’altra parte, la Corte di appello non ha mancato di apprezzare e riproporre, seguendo lo stesso iter logico, le imponenti risultanze istruttorie rivolte a comprovare detto accordo corruttivo, nonchè il suo collegamento genetico con il contratto del (OMISSIS), individuandole: D) negli interrogatori di tutti gli amministratori che vi parteciparono, resi nel corso dei procedimenti penali a loro carico (nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria c.d. mani pulite), nonchè nelle ampie confessioni di ciascuno di essi (e dal F. in particolare) che non si erano limitate ad ammettere la partecipazione al reato, nonchè il ricevimento della parte di tangenti di loro spettanza, ma avevano permesso di ricostruire in ogni dettaglio il sistema corruttivo condiviso, nonchè il suo svolgimento operativo soprattutto attraverso le opere ferroviarie via via appaltate sempre al Consorzio: tra le quali un ruolo determinante era stato assegnato proprio al contratto del (OMISSIS) ed alle condizioni economiche che erano state ivi concordate; E)nei provvedimenti di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., richiesta da quasi tutti gli imputati (fra cui il Fi.) che avevano direttamente o indirettamente contribuito alla conclusione di detta convenzione; i quali come hanno più volte specificato le Sezioni Unite di questa Corte, costituiscono importanti e decisivi elementi di prova per il giudice di merito soprattutto sulla ricostruzione dei fatti storici e delle relative responsabilità, esonerando nella specie FNME dall’onere della prova: anche perchè il Consorzio non ha neppure prospettato una sola ragione per cui tutti detti amministratori avrebbero ammesso (tutti) una loro insussistente responsabilità (Cass. sez. un. 21591/2013 e 17289/2006, nonchè 3980/2016; 15889 e 15890/2011); F) nel procedimento penale a carico del F. anche per la convenzione del (OMISSIS), concluso da sentenza penale di condanna a diversi anni di reclusione, ormai passata in giudicato, nonchè nei giudizi civili che hanno avuto per oggetto altri appalti affidati da FNME sempre alla Confemi negli stessi anni; G) nelle numerose elusioni (p. 5 e 6) delle norme sull’evidenza pubblica rivolte al fine di consentire per un verso la conclusione di un formale atto addizionale di una precedente convenzione; e per altro verso di alterarne la funzione, nonchè il vincolo sinallagmatico tra le reciproche prestazioni contrattuali, sì da trasformarle in strumento per l’illecito arricchimento dei pubblici amministratori e degli imprenditori interessati. Al lume di questo quadro processuale non è necessario affrontare i problemi dell’efficacia confessoria degli interrogatori degli amministratori, nonchè della valenza in questa sede dei provvedimenti di applicazione della pena agli stessi, essendo sufficiente richiamare il principio del tutto consolidato in dottrina e giurisprudenza, ricavato dagli artt. 651 c.p.p. e segg., che il giudice civile può trarre elementi di prova, dalle dichiarazioni “auto-indizianti” rese nel procedimento penale ed utilizzare le prove raccolte nell’ambito di questo come fonte di prova del proprio convincimento quanto all’accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale nonchè all’affermazione che l’imputato lo ha commesso (Cass. 1948/2016; 12577/2014; 19859/2012; 6502/2001): rendendo del tutto corretta anche la conclusione dei giudici di appello che, a fronte di tali e tanti elementi gravi in merito alla nascita ed alla predisposizione del contratto c.d. addizionale del (OMISSIS), e soprattutto della loro univoca convergenza nel disvelare la sua reale funzione di momento indispensabile di attuazione dell’accordo corruttivo predisposto nel biennio antecedente e definitivamente accertato in sede penale, si rendeva “superflua ogni ulteriore attività istruttoria” rivolta ad apprezzare gli elementi di collegamento tra le due vicende. Il Collegio deve aggiungere che nessuna delle numerose prove ivi acquisite, nè la loro valenza sono state mai contestate o solo poste in dubbio dalla ricorrente, e che per converso Ferrovienord ha nuovamente elencato e trascritto, una per una, tutte dette risultanze nel proprio controricorso indicando, per ciascuna, contenuto e fonte documentale da cui erano state tratte, e neppur esse poste in discussione da Confemi; le cui difese si sono limitate alla mera riproposizione della asserita carenza di prova, già dedotta nell’atto di appello, sulla correlazione tra l’accordo corruttivo ed il contratto di appalto, sulla illiceità della causa, dell’oggetto e dei motivi dello stesso, nonchè sui relativi presupposti, ed infine su presunte carenze di questo o di quell’altro argomento motivazionale di ciascuno dei giudici di merito in nome di apodittici principi puntualmente smentiti dalla normativa sull’affidamento dei lavori pubblici (che sarà esaminata avanti). E soprattutto su una contrapposta soggettiva ricostruzione della vicenda contrattuale che oltre a non tenere in alcun conto nè le contrarie risultanze provenienti dall’inchiesta giudiziaria penale, nè le logiche considerazioni in conseguenza di essa ricavate da entrambi i giudici di merito, non è consentita in questa sede di legittimità: neppure ove prospettata (10 motivo) invocando l’obbligo del giudice di pronunciarsi su tutta la domanda, come Confemi ha fatto riproponendo l’avvenuta formazione di un giudicato sulla validità del contratto ad opera di altra sentenza della Corte di appello di Milano 224/2003: senza contestare l’assunto delle controparti che invece quel giudizio come altri coevi relativi al programma di ammodernamento della rete, si erano conclusi con una transazione che ne aveva definito tutti i rapporti patrimoniali agli stessi relativi; senza riportare le parte della decisione e della transazione che avrebbero avuto una qualche influenza in questa controversia. Ed anzi, riconoscendo più volte che la decisione invocata, aveva avuto per oggetto un appalto “diverso” concretatosi in un rapporto contrattuale “diverso”, riferito ad un’opera ferroviaria “diversa” (ammodernamento della stazione (OMISSIS)) e per di più stipulato in un momento temporale “diverso” (pag. 31-32 ric.). Per cui, il motivo non consente anzitutto di comprendere l’interesse di Confemi ad invocare considerazioni e statuizioni asseritamente assunte in una controversia priva di qualsiasi correlazione fattuale e logico-giuridica con questa, non riportate nel ricorso e comunque superate da una transazione intercorsa tra le parti; e finisce per confondere l’obbligo del giudice di pronunciarsi su tutta la domanda o su ciascun capo di essa con le singole questioni prospettate per sostenerla, per le quali vale invece il principio che il giudice non è tenuto a confutarle tutte, essendo sufficiente che egli, dopo averle vagliate unitamente a quelle contrapposte, nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento. Conseguentemente non è in radice configurabile il vizio di omessa pronuncia o di omesso esame di un punto decisivo della controversia quando la soluzione negativa di una richiesta (ed a maggior ragione, di una questione) sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza con la quale venga accolta una tesi incompatibile con essa.

5. Del tutto inconsistente è il tentativo del ricorrente di giustificare il ricorso alla trattativa privata ed all’espediente – in esito ad essa – della stipulazione di un contratto denominato “addizionale”, questa volta richiamando le normative di cui al T.U. appr. con R.D. n. 1447 del 1912 ed al R.D.L. n. 2150 del 1929, che regolavano invece la materia della concessione di ferrovie da parte dello Stato nonchè i soli rapporti con i concessionari (e che significativamente prevedevano l’asta pubblica o la licitazione privata per l’adozione del provvedimento di concessione della costruzione di una ferrovia: art. 42). Ed ancor più abnorme l’assunto che il silenzio del legislatore sulle modalità di aggiudicazione degli appalti alle imprese da parte del concessionario, che non erano oggetto della legge, comportasse non solo la liceità del ricorso senza limiti e condizioni alla trattativa privata, ma precludesse comunque in futuro qualsiasi diversa regolamentazione perfino a seguito dell’ingresso dello Stato italiano nell’ambito della Comunità europea, nonchè alle obbligazioni dallo stesso assunte per l’osservanza dei Regolamenti e delle direttive comunitari in merito al conferimento degli appalti pubblici.

In effetti, solo pochi anni dopo la prima di dette leggi la materia delle aggiudicazioni è stata disciplinata dal R.D. n. 2440 del 1923, il cui art. 3 (con le modifiche via via introdotte fino al D.P.R. n. 627 del 1972) ha stabilito che i contratti dello Stato (e degli enti tenuti a seguire la normativa) “debbono essere preceduti da gare mediante pubblico incanto o licitazione privata, a giudizio discrezionale dell’amministrazione”, perciò capovolgendo l’intera impostazione difensiva del Consorzio ed attribuendo fin da allora alla trattativa privata il ruolo di mera eccezione derogatoria della regola generale (Cons. St. 6797/2007): peraltro specificamente subordinata alla ricorrenza di una delle condizioni indicate dall’art. 41 del Reg. cont. St. nessuna delle quali sussisteva pacificamente nella fattispecie.

La legislazione successiva ha accentuato la natura sempre più straordinaria dell’istituto – anche per il sopravvenire delle disposizioni comunitarie emanate soprattutto a tutela della par condicio di tutte le imprese appartenenti agli Stati della CEE, proprio per garantirne la partecipazione agli appalti di opere pubbliche; – fino alla L. n. 584 del 1977, che ha inteso procedere all’adeguamento della normativa nazionale in tale settore, a quella comunitaria (Dirett. 305/1971; poi 440/1989); la quale, da un lato ha vietato “l’artificiosa suddivisione” di un appalto in più appalti “allo scopo di sottrarlo all’applicazione della presente legge” (art. 2), e dall’altro ha ulteriormente limitato il ricorso alla trattativa privata pur nelle residue ipotesi in cui era consentito dall’art. 5, subordinandolo comunque alla condizione, nel caso neppure prospettata dal Consorzio con riguardo al c.d. contratto base del 1985, che “la possibilità di ricorrere a questa procedura sia stata indicata in occasione del primo appalto”.

E tuttavia la Corte non ritiene necessario esaminare in dettaglio tale evoluzione legislativa (conclusa dalla L. n. 109 del 1994, che ha superato ed abolito l’affidamento diretto), perchè la legge l del 1978, rivolta in base alla sua stessa epigrafe, ad “accelerare le procedure” per lo svolgimento di qualsiasi opera pubblica degli enti territoriali comunque agli stessi riconducibile: Cons. St. Ad. plen. 9/2000), ha dichiarato nell’art. 11 l’inapplicabilità delle normative di aggiudicazione vigenti prima dell’entrata in vigore della L. 8 agosto 1977, n. 584, ad eccezione delle specifiche fattispecie generate da eventi straordinari ivi specificamente individuati; ed in sostituzione delle stesse, ha ribadito nel successivo art. 12 il divieto inderogabile di ricorrere alla trattativa privata ad eccezione della sola ipotesi, che ancora una volta doveva essere espressamente indicata “nei bandi di gara per l’appalto dei lavori del primo lotto” (Cons. St. 6383/2001; 1263/1995), in cui ricorressero contestualmente (per quanto qui interessa) i seguenti presupposti, sostanzialmente mutuati dalla normativa comunitaria: a) doveva trattarsi di unico progetto esecutivo da realizzarsi in più lotti successivi; b) i nuovi lavori consistevano nella ripetizione di opere simili a quelle che avevano formato oggetto del primo appalto; c) il valore non poteva superare il doppio dell’importo iniziale di assegnazione del lotto precedente; d) non era ancora trascorso un triennio dalla data di aggiudicazione dei lavori del lotto precedente.

Non una di dette condizioni era presente nel caso concreto:a cominciare dall’ultima, una volta che l’aggiudicazione con licitazione privata del presunto lotto precedente, individuato dalla stessa CONFEMI nella realizzazione del raddoppio dei binari della esistente tratta (OMISSIS), era avvenuta con convenzione del 19 luglio 1985, 1addove la costruzione della nuova tratta (OMISSIS) era stata aggiudicata dopo la scadenza di detto triennio, con il menzionato “atto addizionale” del (OMISSIS). Le due opere ferroviarie non erano poi previste in un unico (o unitario) progetto generale esecutivo del complesso delle opere da realizzare (Cons. St. 2640/2001; 5/1994), posto che quello relativo alla nuova costruzione non solo era del tutto autonomo rispetto al precedente, ma non era neppure esistente all’epoca della prima aggiudicazione, essendo ad essa sopravvenuto ed approvato con D.M. 13 settembre 1986, n. 1608; mentre quello relativo alla tratta (OMISSIS) era stato approvato in epoca addirittura antecedente al 17 luglio 1984, data di pubblicazione del relativo bando:nel quale, da quanto riferito dallo stesso Consorzio (pag. 2 ric.), non era espressamente prevista nessuna possibilità di aggiudicare eventuali lotti conseguenti a trattativa privata: a nulla perciò rilevando le riserve inserite dalla stazione appaltante in una successiva lettera di invito inviata all’appaltatore, nè tanto meno l’art. 5 di detta convenzione che si riferiva peraltro a mere “prestazioni” dell’appaltatore relative ad “opere analoghe” (pag. 3 ric.). Ancor più palese è l’elusione dei presupposti sub a) e b) attraverso l’espediente della stipulazione con il medesimo imprenditore di una convenzione c.d. base per l’attuazione del primo progetto e di un successivo atto denominato addizionale (o aggiuntivo) per il secondo, pur difettando l’unicità dell’intervento da realizzare suddiviso in lotti, nonchè il carattere ripetitivo (o analogo) dei lavori da eseguire in ciascuno di quelli successivi rispetto al primo appalto. E ricorrendo per converso la fattispecie tipica di due distinte ed autonome opere pubbliche, concepite mediante progettazioni autonome anche temporalmente (cfr. anche L. n. 210 del 1985, art. 25), anche perchè la prima incideva su di una struttura già esistente e doveva conseguirne l’ampliamento mediante il complessivo quadruplicamento dei binari già esistenti, mentre l’altra comportava la costruzione di un impianto ferroviario ex novo; sovvenzionate con strumenti finanziari distinti e perfino indirizzate a scopi del tutto diversi (c.d. elemento teleologico): il raddoppio dei binari già in esercizio, al potenziamento ed ammodernamento della ferrovia regionale onde fronteggiare le crescenti esigenze del traffico pendolare in costante aumento tra il capoluogo ed i centri viciniori della Regione; mentre la costruzione della nuova tratta (OMISSIS) (perciò solo postulante lavori tutt’altro che “analoghi” rispetto a quelli dell’altra) rispondeva alla raccomandazione comunitaria di istituire un collegamento sicuro e veloce mediante il mezzo ferroviario, (in particolare) tra le città metropolitane e gli aeroporti (soprattutto se internazionali) di loro appartenenza. A meno di non pervenire alla conseguenza paradossale, seppur propugnata dal Consorzio, che tutte le costruzioni ferroviarie (così come per analogia, quelle stradali o aeroportuali e simili), quale che ne sia la struttura, la funzione, la consistenza e l’impegno economico, l’epoca di esecuzione e l’ubicazione nel territorio nazionale, costituiscono sempre e comunque un’unica ed unitaria opera pubblica, suddivisa in lotti per il fatto di appartenere alla medesima rete:con sovvertimento totale proprio nei settori degli appalti più rilevanti anche sotto il profilo dell’impegno finanziario, del rapporto regola eccezione tra procedimenti peculiari dell’evidenza pubblica predisposti dalla legislazione nazionale (e dall’art. 12 Legge 1978 in paricolare), e l’istituto sempre più straordinario ed eccezionale della trattativa privata (cfr. anche L.R. Lombardia n. 70 del 1983, art. 29): in forza di tale interpretazione assurto, invece, a strumento generale e non controllabile di elusione delle norme imperative ed inderogabili predisposte a presidio dell’interesse generale per l’individuazione del contraente più affidabile, ed ora anche delle disposizioni comunitarie sulla concorrenza. Il quale non a caso ha consentito nella fattispecie la lievitazione del prezzo dell’appalto in misura superiore al 50% dell’intero costo dell’opera precedente (e non soltanto di un ipotetico primo lotto di essa), perciò giustificando a pieno titolo la più grave sanzione della nullità radicale del contratto (OMISSIS) anche alla stregua dell’art. 1418 c.c., comma 1.

6. Si deve aggiungere, per completezza, che la convenzione suddetta ha violato anche la normativa della L. n. 584 del 1977, che la CONFEMI ha ripetutamente riconosciuto obbligatoria e vincolante, riferendo che ne era stabilita l’applicazione non solo nel bando propedeutico alla licitazione privata di cui alla convenzione 9815/1985, ma anche dal D.M. 30 marzo 1998, in relazione alla costruzione della nuova tratta per l’Aeroporto. Non essendo infatti seriamente sostenibile che tale ripetuto richiamo dell’amministrazione statale concedente all’applicazione di detta legge “per l’affidamento dei lavori” in questione fosse in realtà rivolta al solo fine di escluderla ai sensi del suo art. 3, quanto meno perchè l’interpretazione dei provvedimenti in questione è del pari soggetta alla regola dell’art. 1367 c.c., per cui la stessa deve compiersi nel senso in cui possono avere un qualche effetto “anzicchè in quello in cui non ne avrebbero alcuno”, giova rilevare che con il decreto in questione il Ministero dei Trasporti non autorizzò affatto la concessionaria FNME a procedere all’attribuzione della nuova opera ferroviaria a trattativa privata, e tanto meno al Consorzio CONFEMI. Al contrario, concesse esclusivamente l’autorizzazione all’affidamento immediato dei relativi “lavori e forniture” (che è concetto diverso dall’aggiudicazione a trattativa privata), non senza ribadire che “per l’affidamento dei lavori dovranno essere seguite le procedure di cui alla L. n. 584 del 1977…” (pag. 62 ric.): che nel caso erano costituite dalla gara internazionale di cui all’art. 1, nonchè, per attuarla, dagli strumenti operativi indicati dall’art. 9 della legge pubblici incanti, licitazione privata o appalto concorso anche perchè il precedente art.5 nella fattispecie escludeva nuovamente la possibilità straordinaria di ricorso alla trattativa privata per le medesime ragioni già esaminate a proposito della L. n. 1 del 1978, art. 12, in quanto (per quanto qui interessa): 1) richiedeva egualmente la preventiva indicazione di utilizzare l’istituto già in occasione del primo appalto; concedeva del pari un termine non superiore al triennio dalla data di stipulazione dello stesso per la conclusione del nuovo contratto e prevedeva infine la conformità dei nuovi lavori al progetto di base che era stato oggetto del primo appalto; 2) era ammissibile soltanto nelle ipotesi alternative (da interpretare con rigore in base alle direttive comunitarie da cui peraltro erano derivate: Cass. 24952/2015) che si trattasse di lavori complementari non figuranti nel progetto posto a base del primo appalto concluso, e pur tuttavia resi necessari da una circostanza imprevista per l’esecuzione dell’opera e non tecnicamente o economicamente separabili dall’appalto principale oppure (ove tecnicamente separabili) strettamente necessari al perfezionamento dell’appalto stesso (lett. f). Ovvero (in caso, invocato dalla Confemi, di nuovi lavori: lett. g) che gli stessi consistessero nella ripetizione di opere simili a quelle formanti oggetto del primo appalto. Senza considerare che la sussistenza delle particolari ragioni richieste dalla norma dovevano essere oggetto di specifiche valutazioni da effettuare negli atti amministrativi che escludevano la gara, e non potevano essere prospettate per la prima volta ex post in sede giurisdizionale (Cons. St. 1257/1994; 854/1993). Per cui perfino “per disposizione amministrativa” non era consentito prescindere dalle norme di legge per l’affidamento dell’appalto della nuova tratta ferroviaria a trattativa privata; delle quali anzi pure l’amministrazione concedente e finanziatrice dei lavori con le prescrizioni riportate dal Consorzio aveva sollecitato l’applicazione.

7. Egualmente infondato è il quarto motivo con cui la ricorrente deducendo violazione dell’art. 2033 c.c., nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, si duole che la sentenza impugnata in conseguenza della dichiarata nullità del contratto, abbia ordinato la restituzione a Ferrovienord dell’intero importo da quest’ultima versato all’appaltatore a titolo di corrispettivo dei lavori senza detrarre l’importo dell’IVA (pari ad Euro 6.084.981,02) sulle fatture emesse, da quest’ultimo dovuto versare all’Erario: non considerando che FNME, essendo anch’esso un imprenditore soggetto ad IVA, avrebbe dovuto portare in detrazione i relativi importi nelle dichiarazioni dei redditi e solo se non ne avesse avuto la possibilità poteva avvalersi della ripetizione di indebito.

Come infatti si ricava dallo stesso tenore letterale dell’art. 2033 c.c., colui il quale abbia ricevuto in pagamento una somma oggettivamente non dovuta è esposto all’obbligo della restituzione per il solo fatto che ne siano accertati i due requisiti costitutivi e cioè, che abbia ricevuto un pagamento e che il pagamento non fosse dovuto. E l’obbligazione comprende l’intera somma ricevuta, a nulla rilevandone la suddivisione degli importi che la compongono, ovvero le ragioni dell’indebita dazione ed eventuali profili di indebito arricchimento del solvens o dell’accipiens che riguardano tutt’altro rapporto: così come quello fiscale che ciascuno dei due soggetti debba ex lege intrattenere con lo Stato, i1 quale costituisce un’obbligazione del tutto autonoma rispetto al loro rapporto di credito/debito. Il che è d’altra parte evidenziato proprio dalla giurisprudenza di questa Corte invocata dalla ricorrente (Cass. 4098/1990; 3078/1992), la quale si riferisce peraltro alla fattispecie opposta a quella in esame, in cui la stazione appaltante richieda all’appaltatore la restituzione non dei compensi indebitamente allo stesso corrisposti, bensì dell’IVA dovuta corrispondere allo Stato ed effettivamente versata: perciò ripetibile nel solo caso in cui non abbia portato in detrazione o non abbia comunque la facoltà di portare in detrazione la relativa somma nella propria dichiarazione d’imposta (che altrimenti ne conseguirebbe il rimborso due volte, dallo Stato e dall’appaltatore). Laddove nel caso nessun versamento di tale imposta risulta eseguito da Ferrovienord o richiesto in ripetizione, e d’altra parte restava ferma la facoltà dell’imprenditore di includere la quota di tale tributo ove dallo stesso effettivamente versato tra i costi dell’appalto, di cui peraltro ha già ottenuto il pagamento.

8. Con il quinto motivo CONFEMI, deducendo violazione dell’art. 2041 c.c., nonchè L. n. 741 del 1981, art. 8, si duole del calcolo del valore delle opere attribuitole a titolo di indebito arricchimento senza considerare: a) che lo stesso doveva comprendere la revisione dei prezzi per gli aumenti sopravvenuti fino alla esecuzione dei lavori, immotivatamente non concessa dai giudici di merito; b) che seppure la sentenza avesse inteso aderire all’orientamento restrittivo recepito dalle Sezioni Unite (sent. 23385/2008) che la esclude nell’ipotesi di contratto di appalto nullo, i consulenti l’avevano correttamente calcolata per determinare il valore delle opere tenendo conto non solo dell’art. 15 della convenzione base 9815/85 e del D.M. n. 2173 del 1979, che la prevedevano quale componente obbligatoria per eseguirne la stima, ma anche dell’art. 3 dell’atto addizionale che l’aveva espressamente recepita unitamente ad ogni altra condizione del precedente contratto: perciò rendendo comunque applicabile la relativa clausola; c) che in forza di tale meccanismo pattizio le due disposizioni e quella ministeriale avevano perduto la loro originaria funzione di attribuire la revisione dei prezzi contrattuali, costituente una mera facoltà dell’amministrazione, per assumere quella non percepita dalla Corte territoriale, di operarne una preventiva ridefinizione all’epoca della nuova aggiudicazione, raggiungendo la finalità di garantirne proprio quell’aggiornamento espressamente previsto dalla L. n. 741 del 1981, art. 8, che attribuisce indubbiamente all’esecutore dei lavori un diritto soggettivo perfetto a conseguirlo.

Per converso Ferrovienord, deducendo violazione dell’art. 2041 c.c., censura la sentenza impugnata per avere incluso nel calcolo dell’indennizzo anche la maggiorazione del 25% su tutti i prezzi contrattuali prevista dal c.d. contratto base del 1985 e collegata esclusivamente alle speciali disagiate condizioni in cui si erano svolti i relativi lavori senza la sospensione del traffico ferroviario: in tal modo attribuendo all’appaltatore non il rimborso dei costi sopportati, ma un beneficio aggiuntivo connesso con un utile contrattuale non dovuto secondo la citata giurisprudenza di legittimità.

Il Collegio ritiene fondata quest’ultima censura, e che quelle contrapposte del Consorzio devono essere disattese.

La sentenza impugnata, pur dichiarando di ben conoscere e condividere il noto indirizzo giurisprudenziale recepito dalle Sezioni Unite (sent. 23385/2008; 1875/2009 e succ.: Cass. 14526/2016; 19986/2015; 23780/2014; 20648/2011; 3905/2010) sui criteri di calcolo dell’indennizzo dovuto a titolo di indebito arricchimento, dalla p.a. all’esecutore di lavori pubblici in mancanza ovvero per la nullità del contratto di appalto, lo ha in realtà disapplicato non soltanto questo liquidando in misura corrispondente all’intero valore delle opere realizzate, ma altresì includendo nella determinazione il maggior profitto del 25% in aggiunta ai prezzi contrattuali; che, seppure aveva una giustificazione per i lavori di raddoppio dei binari della tratta ferroviaria (OMISSIS), era divenuto senza causa nel contratto (OMISSIS). Sicchè la sua automatica estensione anche alla nuova tratta per l’Aeroporto aveva costituito uno degli indici più palesi del collegamento dell’atto c.d. addizionale con l’accordo corruttivo (p. 3); cui in definitiva la Corte di appello con la statuizione adottata in conformità alla relazione di consulenza, ha continuato di fatto a dare esecuzione, garantendo al Consorzio uno degli specifici benefici intimamente connessi all’accertata causa illecita del contratto.

9. Ed infatti, quanto al primo profilo, questa Corte ha riconosciuto la facoltà dell’esecutore di ottenere il valore venale delle opere realizzate (pur se più elevato del corrispettivo determinato in base ai prezzi contrattuali pattuiti) soltanto nella più favorevole ipotesi di risoluzione del contratto di appalto per inadempimento del committente (che non possa restituire l’opus conseguito): ciò per l’esigenza di reintegrarne interamente ex art. 1453 c.c., la situazione patrimoniale lesa dall’inadempimento dell’altro contraente, con riferimento al momento della pronuncia di risoluzione, nella quale l’obbligazione, che ha natura risarcitoria, trova la sua fonte (Cass. 12162/2007; 2871/1992).

Ma nel caso concreto ricorre l’ipotesi per costui assai meno favorevole di nullità del contratto di appalto per fatto illecito (anche) a lui ascritto ed accertato, per cui giudici di merito hanno stabilito che gli spetta soltanto l’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c., per l’eventuale locupletazione conseguita dalla controparte; il quale non è rivolto, secondo il citato arresto delle Sezioni Unite, ad assicurargli il “giusto corrispettivo” dei lavori compiuti ed a maggior ragione i benefici e le aspettative connessi con la controprestazione pattuita quale corrispettivo dell’opera non percepito, come esemplificativamente, i vari profitti di impresa, nonchè ogni altra posta rivolta a garantirgli egualmente quanto si riprometteva di ricavare dall’esecuzione del contratto: anche indirettamente tramite il ricorso ai parametri di quest’ultimo, come ha fatto il c.t.u. ed hanno avallato i giudici di merito. Pertanto l’indennizzo in questione non doveva tener conto nè del c.d. lucro cessante, nè di ogni altro beneficio derivante dall’atto addizionale del (OMISSIS) (fra cui quelli dell’art. 3), privo di effetti per la dichiarazione giudiziale della sua nullità, divenuta definitiva: altrimenti trasformandosi “in un rimedio premiale “extra ordinem” che, da un lato, comprende tutti i vantaggi derivanti da un contratto valido, e dall’altro lo trascende per aggiungervi anche quelli altrimenti non consentiti dalle condizioni e dai limiti che nell’ordine normativo presidiano l’attività negoziale degli enti pubblici” (Sez. un. 23385/2008 cit.). E doveva essere rapportato nei limiti dell’arricchimento ricevuto da FNME, all’importo della diminuzione patrimoniale sofferta dal Consorzio, corrispondente in concreto alle spese sostenute nonchè ai costi (non virtuali, ma effettivamente affrontati e rigorosamente documentati) per la costruzione della nuova tratta ferroviaria (cfr. anche Cass. 20747/2007; 22667/2004). Il che d’altra parte trova puntuale seppur indiretta conferma nelle disposizioni legislative relative all’ipotesi analoga di rescissione (o risoluzione) del contratto di appalto per inadempimento dell’appaltatore agli obblighi ed alle condizioni contrattuali, in cui la L. n. 2248 del 1865, art. 340, All. F (poi recepito dal D.P.R. n. 554 del 1999, artt. 119-121) gli attribuisce “soltanto il pagamento dei lavori eseguiti regolarmente”; ed anche per tale ragione escludeva in radice nel caso concreto l’illegittimo incremento del 25% sui prezzi contrattuali sbrigativamente concesso dal c.t.u. e dalla sentenza impugnata per il solo rinvio dell’art. 3 dell’atto, pur dichiarato inapplicabile, alle “condizioni” della precedente convenzione 9815/85, che peraltro la stessa Corte territoriale, recependo sul punto le considerazioni di Ferrovienord, aveva accertato non sussistenti nella costruzione del nuovo collegamento ferroviario.

10. Questa situazione ha del resto correttamente indotto entrambi i giudici di merito a respingere la richiesta di revisione dei prezzi, inutilmente fondata da Confemi sul menzionato art. 3, nonchè sull’art. 15 della Convenzione del 1985, in quanto finalizzata a remunerare “l’utile d’impresa” e comunque l’aumento percentuale subito dai prezzi di mercato (materiali, manodopera ecc.) nel periodo considerato, sì da determinare (e compensare) la variazione assoluta presunta della spesa complessiva dell’opera nel periodo considerato dal contratto: perciò necessariamente richiedendo quale dato iniziale di raffronto quanto meno i prezzi di capitolato, indispensabili per quantificare l’eventuale differenza soprattutto dopo la L. n. 41 del 1986, il cui art. 33, comma 2, la consente soltanto “a decorrere dal secondo anno successivo alla aggiudicazione e con esclusione dei lavori già eseguiti nel primo anno e dell’intera anticipazione ricevuta, quando l’Amministrazione riconosca che l’importo complessivo della prestazione è aumentato o diminuito in misura superiore al 10 per cento per effetto di variazioni dei prezzi correnti intervenute successivamente alla aggiudicazione stessa” (Cass. 21222/2011; 23670/2006; 3698/2000).

Si deve aggiungere per completezza che nel caso la revisione non era ammissibile neppure se l’atto addizionale del (OMISSIS) fosse stato giudicato valido e vincolante: poichè anche ad interpretare le citate disposizioni contrattuali ed il D.M. n. 2173 del 1979, in effetti rivolte esclusivamente a stabilirne i criteri di calcolo nonchè le tabelle di incidenza, come riconoscimento preventivo del diritto dell’appaltatore ad ottenere la revisione, lo stesso non sfuggirebbe alla sanzione della nullità assoluta: posto che la L. n. 37 del 1973, ha vietato ogni genere di patti in materia, oerciò escludendo che il riconoscimento della revisione possa avvenire in via preventiva in sede di stipulazione del contratto (ovvero di atti aggiuntivi), e consentendolo soltanto mediante un atto successivo, unilaterale dell’amministrazione che può, dunque, sopravvenire soltanto durante lo svolgimento dell’appalto (e dei lavori), ovvero al termine di esso (Cass. sez. un. 23385/2008 cit.; 21292/2005; 18126/2005; 6993/2005). Il che del resto trova conferma proprio nella L. n. 377 del 1974, art. 8, per le opere e le concessioni di costruzioni aggiudicate dall’Azienda FS, invocato dal Consorzio, che ha attribuito a detta amministrazione la sola “facoltà di procedere al riconoscimento di compensi per rincari derivanti da variazioni dei prezzi di mercato”, perciò ribadendo il divieto della loro pattuizione concordata in via preventiva; nonchè da ultimo dal menzionato L. n. 41 del 1986, art. 33, che (sempre e soltanto) detta facoltà ha attribuito alle stazioni appaltanti, tuttavia limitandola ai lavori eseguiti a partire dal secondo anno, nonchè dal D.L. n. 333 del 1992, art. 3 e L. n. 498 del 1992, art. 15, che l’hanno definitivamente soppressa.

E la ricorrente appare ben al corrente di tale quadro normativo dato che ha riferito (pag. 43 ric.) di avere rinunciato con il ricordato verbale del 15 dicembre 1995 alle variazioni revisionali accertate dagli indici successivi al 31 dicembre 1994: all’evidenza consapevole che a seguito del divieto introdotto da quest’ultima normativa (Cass. sez. un. 8519/2007), in nessun caso avrebbero potuto esserle riconosciuti. Laddove si appalesa del tutto inconsistente il tentativo di aggirarlo modificando il tenore della richiesta, e cercando di dimostrare che in realtà la stessa per il periodo 1985-1988 intendeva indicare non la revisione in senso proprio, bensì il diverso istituto dell’aggiornamento dei prezzi di progetto: consentito anche dalla L. n. 741 del 1981, art. 8. Anzitutto perchè fondata sui presupposti che si è visto erronei, che l’ammodernamento della tratta (OMISSIS) e la costruzione della nuova linea (OMISSIS) costituissero un’unica opera ferroviaria; e comunque che il ruolo dell’azione di indebito arricchimento sia quello di neutralizzare ed aggirare le regole sulle condizioni, sui termini e sui procedimenti tassativamente posti dalla legge per l’applicazione dell’istituto della revisione e/o dell’aggiornamento. Nel caso, infine è stata stravolta la funzione anche di quest’ultimo istituto che postula, da un lato la sussistenza dei prezzi di progetto, e dall’altro l’aggiudicazione mediante gara pubblica, nonchè infine l’avvenuto aggiornamento (discrezionale) dei prezzi suddetti “prima della gara senza necessità di sottoporre di nuovo il progetto agli organi consultivi e di controllo”; laddove il Consorzio ne ha preteso l’utilizzazione ex post in una fattispecie in cui difettavano tutti indistintamente i presupposti in questione a causa dell’illecito affidamento diretto dell’appalto all’impresa ricorrente, nonchè dell’assenza di un bando di gara e conseguentemente dell’avvenuto aggiornamento prima di essa ad opera del committente, dei prezzi di progetto (peraltro neppure allegati dalla ricorrente).

11. Fondato è infine il primo motivo del ricorso incidentale con cui Ferrovienord, deducendo violazione dell’art. 1226 c.c., si duole che la sentenza di appello le abbia da un lato riconosciuto il diritto a percepire il danno non patrimoniale all’immagine sofferto per la vicenda corruttiva, ma dall’altro ne abbia omesso la determinazione perchè non ne era stato allegato alcun parametro idoneo a consentirne la quantificazione anche equitativa: senza considerare che detti elementi erano ricavabili tutti dalla gravità dell’illecito ampiamente documentata nonchè dagli atti del procedimento penale peraltro già presi in esame dalla Corte di appello per accertarne effetti e conseguenze nel presente giudizio.

Detti giudici, invero, non hanno posto in dubbio che anche nei confronti della persona giuridica è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica dell’ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione; che fra tali diritti rientra l’immagine della persona giuridica o dell’ente, allorquando si verifichi la lesione di tale immagine; e che i fatti lesivi comprendano a pieno titolo il reato di corruzione idoneo a pregiudicare l’immagine e credibilità della persona giuridica che l’ha subito ed a configurare quindi anche tale tipologia di responsabilità risarcitoria a carico degli autori (o coautori) per la diminuzione della considerazione nella quale si esprime la sua immagine: sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell’agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi dell’ente e, quindi, nell’agire di questo, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica di norma interagisca (Cass. 18082/2013; 12929/2007; 7642/1991).

Sennonchè dopo tali esatte premesse anche sulla qualificazione del danno (dalla giurisprudenza definito come danno conseguenza), e dopo aver convenuto sulla opportunità di una valutazione equitativa dello stesso ex art. 2056 c.c., la sentenza impugnata ha omesso di provvedervi “per non avere la parte allegato alcun parametro ex art. 1226 c.c., idoneo alla sua quantificazione”: senza considerare che tale “allegazione” secondo la giurisprudenza, doveva consistere in base ai principi generali (Cass. 19647/2004) proprio nella indicazione degli elementi costitutivi e delle circostanze di fatto da cui dedurre, sia pure in via presuntiva, l’esistenza del danno in questione; e nel caso specifico della gravità dell’illecito, nonchè di tutti gli elementi della fattispecie in modo da rendere il risarcimento adeguato al caso concreto (Cass. 26590/2014; 22909/2012; 392/2007; 517/2006). E senza avvedersi, soprattutto, di avere già dato atto nelle dettagliate considerazioni svolte nella parte precedente della motivazione che Ferrovienord non soltanto aveva allegato, ma anche documentalmente provato tutti gli elementi del complesso accordo corruttivo acquisiti nei procedimenti penali (interrogatori, confessioni, ecc.) che ne disvelavano sotto ogni profilo la particolare gravità sia con riferimento a tutti i soggetti che vi avevano preso parte nonchè alle funzioni apicali dagli stessi ricoperte, sia con riferimento all’entità del pregiudizio arrecato alla reputazione ed alla credibilità dell’ente, lesa soprattutto dalla disistima che aveva generato presso utenti, pubblico in genere, nonchè ogni altro operatore del settore: a tal punto che la stessa Corte di appello ha concluso siffatta indagine osservando che “in effetti sulla notorietà della vicenda per cui si procede nell’ambito della Tangentopoli Milanese non occorre diffondersi più di tanto, stante la notorietà nazionale del caso” (pag. 36). E rimarcando che la stessa aveva altresì oltrepassato perfino i confini nazionali in quanto le notizie dei conseguenti ritardi del collegamento ferroviario con l’Aeroporto internazionale avevano raggiunto la Commissione europea che aveva dovuto adottare una serie di decisioni gravose per lo Stato italiano, inducendolo a sospendere il trasferimento dei voli al nuovo impianto (pag. 37). Per cui il giudice di rinvio dovrà procedere alla liquidazione omessa del danno all’immagine, adeguandola ai molteplici elementi evidenziati dalla stessa sentenza di appello.

12. Assorbiti conclusivamente il restante motivo del ricorso incidentale e quelli non esaminati del principale, la decisione va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla medesima Corte di appello di Milano che in diversa composizione si adeguerà ai principi esposti e provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, rigetta i primi cinque motivi del ricorso principale, accoglie il primo ed il secondo dell’incidentale ed assorbiti l’ultimo, nonchè quelli restanti del principale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2017

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