Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11442 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/06/2020, (ud. 22/11/2019, dep. 15/06/2020), n.11442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7208-2018 proposto da:

L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL

TRITONE 102, presso lo studio dell’avvocato VITO NANNA,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI IARANGELLI;

– ricorrente –

contro

GIOIOSO ITTICA DI M.G. SAS, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIOVANNI NARDELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1417/2017 del TRIBUNALE di BRINDISI,

depositata il 03/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Giudice di pace di Fasano con decreto del 12.11.2010 ingiungeva a L.A. il pagamento della somma di Euro 4.779,93, oltre interessi e spese legali, in favore di Gioioso Etica s.a.s. di M.G. per il mancato pagamento di forniture di prodotti ittici.

L’intimato L. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo intimato eccependo l’estinzione del credito per essere le forniture regolarmente pagate a I.G., quale collaboratore del fornitore.

Il giudice adito, nella resistenza della società opposta, accoglieva l’opposizione e per l’effetto revocava il decreto ingiuntivo ritenendo che i pagamenti effettuati in buona fede dal L. nelle mani del collaboratore della società Gioioso avessero efficacia liberatoria.

In virtù di appello interposto dalla Gioioso Etica s.a.s., nella resistenza dell’appellato, il Tribunale di Brindisi accoglieva il gravame e per l’effetto rigettava l’opposizione con conferma del decreto ingiuntivo n. 170/2010, ritenendo non provata la sussistenza dei presupposti per la tutela del principio di apparenza.

Avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi, il L. propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi, cui replica la Gioioso Etica con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha curato il deposito di memoria illustrativa.

Atteso che:

con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. In particolare, il L. si duole che il Tribunale non abbia concesso i termini di cui all’art. 190 c.p.c. al momento di riservare la decisione con conseguente nullità della sentenza per aver impedito ai difensori delle parti di svolgere il diritto di difesa.

Il motivo è infondato.

Occorre preliminarmente rilevare che secondo orientamento consolidato di questa Corte, la violazione dell’art. 190 c.p.c. non è di per sè causa di nullità della sentenza stessa essendo indispensabile che la irrituale conduzione del processo abbia prodotto in concreto una lesione del diritto di difesa.

Pertanto, la parte che intenda far valere la dedotta nullità ha l’onere di dimostrare che l’impossibilità di provvedere al deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ha impedito alla difesa di svolgere ulteriori e rilevanti aggiunte o specificazioni a sostegno delle proprie domande o eccezioni rispetto a quanto già indicato nelle precedenti fasi del giudizio (Cass. n. 4020 del 2006). E’ stato, altresì, precisato che occorre la prova di come la mancanza della riferita omissione abbia condotto il giudice ad una decisione diversa da quella effettivamente assunta (Cass. n. 7086 del 2015). Posto ciò, nella specie il ricorrente sostiene la propria doglianza sull’assunto che il giudice del gravame avrebbe incentrato il suo convincimento su due sentenze rese dal Tribunale di Brindisi (n. 388/2015 e n. 1735/2016), depositate dalla difesa della società appellante all’udienza di precisazione delle conclusioni, ma dell’incidenza della stessa non dà ragione e nella sentenza non vi è menzione di siffatti atti nè della produzione nè del loro contenuto ai fini della decisione.

Ne consegue che il motivo è privo di pregio;

– con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1188 e 1189 c.c., nonchè la non congruità della motivazione e l’errata valutazione delle prove testimoniali e delle prove documentali in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

In particolare, il Tribunale di Brindisi avrebbe errato nella valutazione delle prove testimoniali e soprattutto della documentazione depositata, ritenendo le dichiarazioni dei testi generiche e non prendendo in considerazione le fatture quietanzate, che dimostrano come L. avrebbe confidato senza sua colpa nella situazione apparente e soprattutto che la sua erronea opinione sarebbe maturata a seguito di un comportamento colposo del creditore.

Per orientamento consolidato di questa Corte il pagamento fatto al rappresentante apparente, al pari di quello fatto al creditore apparente, libera il debitore di buona fede, ai sensi dell’art. 1189 c.c., ma a condizione che il debitore, il quale invoca il principio dell’apparenza giuridica, fornisca la prova non solo di avere confidato senza sua colpa nella situazione apparente, ma, anche della circostanza che il proprio erroneo convincimento sia stato determinato da un comportamento colposo dello stesso creditore il quale abbia fatto sorgere nel solvens in buona fede una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’accipiens (Cass. n. 20847 del 2013).

In altri termini, non basta l’esistenza di circostanze esteriori tali da fare ritenere il creditore apparente come vero creditore o il rappresentate apparente come vero rappresentante, occorre ulteriormente, che la situazione di apparenza sia stata ingenerata dal comportamento colposo, del vero creditore, facendo da ciò discendere il principio secondo cui in ipotesi di creditore incolpevole questi conserva il diritto alla prestazione, non operando la tutela dell’apparenza.

Nella specie, il Tribunale ha fatto applicazione dei principi di questa Corte affermando che il debitore era tenuto a provare non solo di aver confidato senza sua colpa nella situazione apparente, ma anche che la sua erronea opinione era maturata a seguito di un comportamento colposo del creditore, tale da fare sorgere nel “solvens” in buona fede una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’accipiens.

Il giudice di appello ha ritenute irrilevanti le prove prodotte dal ricorrente al fine di dimostrare la colposità del creditore, tanto da avere definito I.G. un procacciatore d’affari della Gioiasa Ittica e non un rappresentante, poichè tutte le fatture indicavano le coordinate bancarie da utilizzare per effettuare i pagamenti con ciò escludendo la possibilità di pagamento in forma diversa dalla rimessa diretta indicando il nominativo di I. quale “agente”.

Quanto poi alla dedotta produzione di fatture quietanzate le stesse non sono state poste alla base del convincimento del giudice del merito proprio perchè ha escluso che vi fossero in atti.

Nè il ricorrente precisa i termini della quietanza, le somme e l’epoca dei pagamenti limitandosi ad una generica allegazione.

E d’altra parte, per giurisprudenza consolidata la valutazione delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritiene più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1-quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2, Sezione Civile, il 22 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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